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Appunti sulla nozione di riconciliazione

11 novembre 2011


Appunti sulla nozione di Riconciliazione

Nel libro collettivo "Teoria e pratica della Riconciliazione" Edizioni Qualevita, 2009

di Enrico Peyretti

 

Una riconciliazione è vera se avviene su base di verità (riconoscimento dei fatti) e di giustizia (riconoscimento dei diritti). Dunque è da distinguere da una riconciliazione falsa, apparente, superficiale, instabile.
Per preparare una riconciliazione in un conflitto occorre esaminare bene perché essa manca, in quella data situazione, valutando bene l’oggetto del conflitto da superare e gli atteggiamenti delle parti.
Una semplice pace (pax-patto) non è detto che sia riconciliazione; può essere soltanto una transazione che spartisce vantaggi e svantaggi, per la riduzione del danno, certamente apprezzabile; oppure può essere l’imposizione della volontà del vincitore al vinto, quindi un atto violento, che sancisce la disparità delle forze. Così sono per lo più le “paci” registrate nella storia, con cui si conclude un conflitto violento, una guerra (quando non sono una semplice tregua, sospensione, senza alcuna conclusione stipulata). È da notare che fino a metà del Novecento la guerra moderna tra stati, in qualche modo regolata dal diritto bellico internazionale, veniva dichiarata e conclusa, mentre le guerre recenti cominciano e finiscono senza atti giuridici, sono puri fatti.
L’idea stessa di riconciliazione contiene una speranza, il ricupero di una conciliazione che c’è stata e si è incrinata, o perduta. Riconciliazione è cosa diversa da un contratto, un accordo, un patto. Due persone che si sposano non si riconciliano, ma si amano e si accordano: prima erano sconosciuti l’uno all’altra, si sono incontrati, mettono insieme la vita. Possono riconciliarsi se hanno perduto e ritrovano la loro pace. Riconciliarsi è incontrarsi di nuovo.
Una vera riconciliazione è un orizzonte grande, è la ri-umanizzazione reciproca, negata nel rapporto di ostilità. Avviene quando «i nemici diventano amici» (titolo del libro di Hildegard Goss-Mayr). Dall’ostilità a questo risultato grande, sono necessari alcuni passaggi, che possono essere la tregua, la trattativa, il raggiungere una transazione, incontrarsi in una convenzione, concludere un accordo, stabilire scambi (dalla semplice cortesia tra persone a rapporti commerciali e culturali tra gruppi).
Una vera riconciliazione implica il perdono (vedi il libro di Desmond Tutu per il Sudafrica), cioè il consapevole superamento dell’ostilità, dell’odio, dei sentimenti distruttivi, delle immagini negative, cioè una trasformazione nonviolenta del conflitto.
La riconciliazione è una ricostruzione umana, un processo complesso, a più stadi, che possono essere percorsi più o meno rapidamente e veramente, a seconda dello spirito, dell’educazione, della volontà dei contendenti, e delle circostanze.
Una particolare situazione che abbiamo considerato è quella del conflitto che trasmette nel tempo certi effetti su generazioni successive: p. es. figli di nazisti e figli di vittime della shoah; palestinesi espulsi e israeliani nati nelle case tolte ai palestinesi; generazioni di tedeschi nati dopo il nazismo e loro tendenza a rimuovere e ignorare più che a prendere coscienza critica del passato. Hanno valore costruttivo di riconciliazione quelle esperienze di conoscenza, incontro, riconoscimento delle differenze e sofferenze reciproche tra le diverse parti, o tra il presente e il passato.
È evidente che questa elaborazione ha bisogno di avvenire su una base accurata di verità storica e di giustizia.

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Nel lavoro di riconciliazione, a partire dalla situazione di conflitto per trasformarlo da acuto, o violento, in vivibile, può essere importante la figura del mediatore, una persona terza. Il lavoro di mediazione consiste essenzialmente nel costruire un terreno comune, un passaggio, un ponte, fra i territori psicologici e di interessi e diritti, finora separati, incomunicanti (se non nella reciproca minaccia e distruttività), dei due contendenti. Alcuni principi importanti si trovano, per esempio, nel paragrafo sulla mediazione, dal capitolo 9, del libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza.
Il mediatore si interpone nel rapporto a due dei protagonisti (persone o gruppi) del conflitto, tra i due avversari e mira a far passare i due dalla av-versione (dal latino ad-versus, posizione contro) alla con-versazione (dal latino con-versari, volgersi verso qualcuno), cioè mira a condurli uno verso l’altro per parlarsi, capirsi e, se possibile, trovare una via alla riconciliazione. Il mediatore tenta di rompere la relazione “binaria” dei due avversari, per stabilire una relazione “ternaria”, nella quale potranno comunicare tramite un intermediario. Nella relazione binaria degli avversari, due ragionamenti, due logiche si affrontano senza che alcuna comunicazione permetta un riconoscimento e una comprensione reciproci. Si tratta di passare da una logica di competizione binaria a una dinamica di cooperazione ternaria.
Il “terzo” mediatore cerca di creare uno “spazio intermediario”, una distanza tra gli avversari in modo che ognuno dei due possa fare un passo indietro rispetto al conflitto che li rende lividi. Questo spazio separa gli avversari – come si separano due uomini che si battono – e può permettere la comunicazione. È uno spazio di “ri-creazione” nel quale i due avversari potranno riposarsi dal loro conflitto e ricreare le loro relazioni in modo calmo e costruttivo, un luogo in cui gli avversari possano imparare o reimparare a comunicare, per poter arrivare a vivere insieme, se non in una vera pace, almeno in una coesistenza pacifica.
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I principi e le regole della mediazione possono ugualmente essere applicati entro conflitti propriamente politici, sia sul piano nazionale che internazionale. Conflitti, crisi, guerre potranno così essere disinnescati con la mediazione esercitata da un paese terzo che apra canali di dialogo, che abbia l’inventiva per suggerire soluzioni che le parti non sanno vedere, perché sono “fissate” sulla posizione presa. La mediazione può essere una delle più efficaci “armi” di una diplomazia di pace. Oltre a simili iniziative pubbliche, istituzionali, sono state tentate e sperimentate in recenti conflitti tra popoli o stati, anche iniziative di base, della società civile, della “diplomazia popolare”, come p. es. le “ambasciate di pace” stabilite in alcuni casi nei luoghi di conflitto, con lo scopo preciso della mediazione come sopra descritta.

 

 

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di Enrico Peyretti

Note: Per una bibliografia

Hildegard Goss-Mayr, Come i nemici diventano amici, edizioni Emi, 1997
Desmond Tutu, Senza perdono non c’è futuro, Feltrinelli 2001
Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Pisa University Press, 2004
Merita segnalare anche il fascicolo di Concilium, rivista internazionale di teologia, n. 5/2003, Riconciliazione in un mondo di conflitti, Editrice Queriniana, Brescia, www.concilium.org . Vi sono contenuti quattordici articoli su esperienze storiche, principi e metodi, raccolti in tre parti: I. Giustizia e diritti: iniziative di riconciliazione; II. Giustizia e speranza: prospettive religiose per la riconciliazione; III. Giustizia e pace: prevenzione del conflitto e processo di riconciliazione.
Appunti sulla nozione di Riconciliazione
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