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Come gli esperti sono stati convinti

La testimonianza dell'ex tecnico israeliano Vanunu sulla produzione di armi nucleari a Dimona
Insight
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Sunday Times - 05 ottobre 1986

E’ cominciato come una probabile bufala che si è rapidamente sviluppata fino a convincere alcuni dei migliori esperti di armi nucleari del mondo. La profondità dei dettagli divulgati da Mordechai Vanunu e le 60 e più fotografie a colori che lui ha scattato con una macchina fotografica introdotta di nascosto all’interno di Dimona forniscono, stando a quanto dicono, la prima prova diretta che Israele abbia la bomba.
Cinque settimane fa un vivace giornalista colombiano è arrivato alla nostra sede di Madrid portando alcune istantanee a colori che, lui affermava, erano le bombe al neutrone israeliane. Un reporter è andato ad intervistare Oscar Guerrero in Spagna. La sua storia non era molto convincente. Riferiva di aver aiutato un importante scienziato israeliano di Dimona a disertare e che, inseguiti dal Mossad, erano scappati da Israele, liberandosi dei loro inseguitori e trovando una casa sicura a Sidney in Australia.
Era troppo campato in aria, le bombe nelle foto erano ovviamente dei modelli e Guerrero stesso era una figura molto poco credibile. Ma uno o due scatti erano indubbiamente di Dimona. Alcuni dettagli strutturali dimostravano che le foto erano state fatte nel sito nel deserto. Un menbro del team Insight del Sunday Times con conoscenze di fisica ha accompagnato Guerrero in Australia. Alla peggio eravamo incappati in una intrigante bufala. A Sidney, comunque, cominciò ad emergere una storia seria. Il nervoso e in un primo tempo riluttante "importante scienziato israeliano" corresse subito il bizzarro racconto di Guerrero. Non era uno scienziato e non se ne era andato di nascosto da Israele. Difatti era venuto in contatto con Guerrero a Sidney quando il vanaglorioso sedicente giornalista stava dipingendo una chiesa dalla quale ad un certo punto è caduto per 80 piedi.
Ma aveva lavorato a Dimona, disse Vanunu. Le “bombe”, disse spontaneamente, erano modelli che aveva trovato in una stanza nei sotterranei. Mostrò altre foto e documenti.
In Israele, Insight iniziò a verificare la sua storia. I suoi docenti all’università di Beersheba, gli ex compagni di università ed altri conoscenti riconobbero la sua foto e confermarono che aveva lavorato a Dimona. Aveva lasciato Dimona lo scorso novembre. Due anni prima aveva iniziato a Beersheda un corso di laurea part-time in filosofia e geografia e si era ritrovato coinvolto in politiche studentesche, specialmente il problema degli arabi della West Bank, ed era stato indagato dagli agenti della sicurezza di Dimona per le sue tendenze di sinistra. Risultò quindi come personale in esubero assieme ad altri 180 lavoratori. In seguito andò a Sidney, via Bangkok, con l’intenzione di andare a trovare suo fratello in America. I rullini da sviluppare erano rimasti nella sua borsa fino a quando non incontrò Guerrero che lo convinse a svilupparli.
Vanunu volò a Londra dove venne interrogato da esperti nucleari incaricati di verificare gli aspetti tecnici. Vanunu fu interrogato per due giorni da Frank Barnaby, un fisico nucleare che lavorò al centro di installazione di armi nucleari di Aldermaston prima di diventare direttore dell’Istituto Svedese per le Ricerche di Pace, che controlla la proliferazione delle armi nucleari.
Barnaby, ora in pensione, ha incrociato i risultati degli interrogatori effettuati assieme ad altri tre esperti, inclusi un fisico nucleare ed un chimico nucleare.
“In quanto fisico nucleare, mi era chiaro che i dettagli che mi diede erano scientificamente accurati e facevano chiaramente intendere che lui non solo vi aveva lavorato, ma conosceva anche i dettagli delle tecnologie utilizzate”, dice Barnaby. “Anche i flussi prodotti, che lui cita con precisione, confermano le quantità di plutonio che venivano estratte. La sua testimonianza è totalmente convincente”, conclude Barnaby.
Nel frattempo un simile interrogatoro scientifico di migliaia di parole venne preso, assieme alle foto, dagli stessi scienziati dell’industria atomica britannica che avevamo contattato all’inizio della nostra indagine, che si erano dichiarati disponibili a collaborare solo con garanzia dell’anonimato.
Riassumendo le loro opinioni, uno degli esperti ha detto: “Avevo il presentimento che la fonte fosse vera, ma adesso ne sono più convinto che mai.” Ho poi aggiunto che le fotografie erano interamente conformi a quelle di un impianto per la separazione del plutonio.
Di Vanunu ha detto: “Avevo inserito quest’uomo nella categoria dei giovani tecnici. Tutte le cose che ha detto succedono in un impianto nucleare. Sembrava che lui conoscesse i dettagli del processo e che lui stesso vi lavorasse. Ma ci sono delle mancanze nelle sue conoscenze a cui lui onestamente dice di non sapere come rispondere. Se qualcuno avesse tentato di imbrogliarvi non penso che si sarebbe dimenticato di tali misteri.”
A questo punto Insight portò un riassunto dei dettagli tecnici, la storia di Vanunu, copia del suo passaporto, le fotografie e le relazioni scientifiche all’ambasciata israeliana a Londra. La risposta fu: "Non è la prima volta che storie di questo genere sono apparse sulla stampa. Non hanno fondamenti nella realtà ed ogni commento da parte nostra è superfluo." Abbiamo quindi invitato le autorità di Tel Aviv ad aiutarci a svelare se si trattasse di una bufala. Dopo due ore la risposta fu "no-comment".
Due settimane fa Oscar Guerrero riapparve a Londra. Telefonò al Sunday Times chiedendo 300.000 dollari altrimenti avrebbe venduto la storia ad un altro giornale. Non venne all’appuntamento con noi e telefonò di nuovo per dire che lo avrebbe portato al Sunday Mirror. La settimana scorsa la storia è debitamente apparsa facendo fare a Guerrero la figura del bugiardo e dell’imbroglione e mostrando la storia come una bufala colossale.
Il servizio del Mirror era corredato anche da una foto di Vanunu fatta in Australia dall’inviato di Insight e "presa in prestito" da Guerrero. Quando Vanunu la vide lo scorso lunedì cominciò ad agitarsi.
Aveva cominciato a temere per la sua sicurezza e, preoccupato che agenti israeliani fossero sulle sue tracce, sparì lasciando la sua testimonianza dettagliata e le sue fotografie.
Così il team di Insight volò a Washington e mostrò le foto di Vanunu e la sua lunga e dettagliata testimonianza al dott. Theodore Taylor, uno dei maggiori esperti nucleari del mondo.
Dopo 36 ore di studio e decisione disse: “Tenendo conto che le fotografie sono state fatte a Dimona, i modelli delle componenti interne di un’arma nucleare sono veri e il riconoscimento di Vanunu della natura e dello scopo dei vari dispositivi e dei materiali corrispondenti ai "modelli" sono in genere corretti.
“Le informazioni ottenute dalle dichiarazioni di Vanunu e dalle fotografie presentatemi sono interamente in accordo con la capacità di Israele di produrre almeno da cinque a dieci armi nucleari all’anno, armi che sono significativamente più piccole, più leggere e più efficienti dei primi tipi di armi nucleari sviluppate negli Stati Uniti, Unione Sovietica, Inghilterra, Francia e Cina.”
Alcune fotografie in particolare hanno fatto reagire Taylor, indipendentemente condivise da Barnaby. Esse mostrano modelli in scala di componenti di bombe e in un caso un componente fatto in litio. Entrambi presumono che i dispositivi raffigurati nelle foto non rappresentano solo una semplice bomba atomica, ma una bomba termonucleare. Ci sono vari tipi di queste bombe, da un’arma atomica potenziata alla bomba all’idrogeno.
Nel frattempo gli inviati di Insight portarono lo stesso plico di informazioni agli scienziati che si occupano della fabbricazione delle testate nucleari britanniche. Si mostrarono scettici su tre punti. Trovarono che le informazioni tecniche di Vanunu erano incontestabili, ma dissero che si sarebbero aspettati maggiori mancanze nella conoscenza acquisita da un mero tecnico. In secondo luogo credevano che il reattore da 26 Megawatt avrebbe dovuto essere completamente ricostruito o rifatto per produrre così tanto plutonio. Terzo credevano che i suoi movimenti sarebbero stati controllati dalla stanza di controllo della sicurezza e che non sarebbe mai stato lasciato solo a scattare fotografie: non c’è nessuna persona in alcuna foto.
Più tardi il Sunday Times ha verificato con altri fonti di esperti e ha scoperto che tanto scetticismo può essere smorzato. Gli specialisti dei reattori hanno confermato la fattibilità dell’incremento della potenza del reattore fino a 150 Megawatt senza grandi cambi strutturali.
Anche i tecnici britannici che lavorano nelle sale di controllo negli impianti nucleari sono spesso lasciati soli perché hanno bisogno di investigare sugli allarmi e sul le irregolarità che vengono segnate sui loro pannelli di controllo e necessitano quindi di libertà di movimento. Per quanto riguarda l’assenza di persone dalle foto, Vanunu ha una semplice risposta: “ Non andavo certo a scattare foto davanti ai miei colleghi.”

Note: A cura di PeaceLink, traduzione di Chiara Panzera
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