Palestina

Ipotesi per la tonnara di Gaza

Alla ricerca delle cause prossime e delle cause remote del crimine contro l'umanità compiuto a Gaza.
26 gennaio 2009
Lorenzo Galbiati

Il 17 settembre 1948, mentre era in corso la guerra arabo-israeliana, l’emissario dell’ONU Folke Bernadotte fu ucciso a Gerusalemme da alcuni terroristi israeliani.

Durante la II Guerra mondiale Bernadotte era stato molto attivo nella Croce Rossa svedese per salvare gli ebrei dai campi di concentramento nazisti e per questo motivo Israele lo aveva accettato come mediatore ONU: evidentemente, il governo sionista non si aspettava che si sarebbe prodigato per salvare i palestinesi dalla pulizia etnica israeliana. Bernadotte arrivò in Palestina il 20 maggio 1948 e in breve tempo riuscì a ottenere una tregua nella guerra arabo-israeliana e a porre le fondamenta per l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, l’UNRWA. Nell’indifferenza generale degli osservatori ONU, Folke Bernadotte non rimase a guardare con le mani in mano la popolazione civile palestinese minacciata e terrorizzata dai bombardamenti, espulsa dalle proprie case, dai propri villaggi, molti dei quali poi rasi al suolo, e propose alle Nazioni Unite di ridividere la Palestina in due, e di dare il diritto di ritorno ai profughi palestinesi. Fu dopo il suo assassinio che l’ONU, nel dicembre 1948, deliberò la risoluzione 194 sul ritorno incondizionato di tutti i profughi espulsi da Israele - risoluzione che è stata sistematicamente disattesa dallo stato ebraico dal 1948 a tutt’oggi.

Gli uccisori di Bernadotte erano terroristi dei Combattenti per la Libertà d’Israele (Lehi), una formazione paramilitare sionista che si distinse per la sua ricerca di una guerra totale all’impero britannico, tanto che già nel 1941 tentò di allearsi formalmente con la Germania nazista al fine di liberare la terra di Israele dal nemico inglese - i nazisti non risposero alle loro richieste.

Israele condannò alcuni dei capi del Lehi e gli attentatori, ma l’amnistia del 1949 li rese subito liberi. Alla cospirazione per uccidere Bernadotte prese parte anche Yitzhak Shamir, uno dei capi del Lehi, che più tardi ammise di non averla ostacolata. Shamir sarebbe diventato poi Primo ministro israeliano.

Sessant’anni dopo questi fatti, il 14 dicembre 2008 l’inviato speciale dell’ONU nei territori palestinesi Richard Falk è stato arrestato al momento del suo arrivo all’aeroporto di Tel Aviv, incarcerato senza accuse e poi espulso dallo stato ebraico per volontà del Primo ministro Olmert. In un articolo per il «Guardian», Falk ha scritto che: “Israele avrebbe potuto o rifiutarsi di accettare i visti o comunicare alle Nazioni Unite che non mi avrebbero permesso di entrare, ma non è stata presa nessuna delle due misure. Sembra che Israele abbia voluto impartire a me, e in modo assai più significativo alle Nazioni Unite, una lezione: non vi sarà nessuna collaborazione con coloro che esprimono forti critiche sulla politica di occupazione israeliana. Dopo che mi è stato negato l’ingresso, sono stato tenuto in custodia cautelare insieme a circa altre 20 persone con problemi d’ingresso. Da questo momento, sono stato trattato non come un rappresentante delle Nazioni Unite, ma come una sorta di minaccia per la sicurezza, sottoposto ad una perquisizione corporale minuziosa e alla più puntigliosa ispezione dei bagagli che abbia mai visto.
Sono stato separato dai miei due colleghi delle Nazioni Unite, a cui è stato permesso di entrare in Israele, e condotto nell’edificio di detenzione dell’aeroporto, distante circa un miglio. Mi è stato chiesto di mettere tutti i miei bagagli, insieme al cellulare, in una stanza e sono stato portato in un piccolo locale chiuso a chiave che puzzava di urina e di sudiciume. Conteneva altri cinque detenuti e costituiva uno sgradito invito alla claustrofobia. Ho passato le successive 15 ore rinchiuso in questo modo, il che è equivalso ad un corso intensivo sulle miserie della vita carceraria, inclusi lenzuola sporche, cibo immangiabile e luci che passavano dal bagliore all’oscurità, controllate dall’ufficio di guardia.”

Richard Falk è un professore di diritto internazionale della Princeton University che nell’estate del 2008 ha accusato Israele di violare la legge internazionale, le leggi umanitarie internazionali e la convenzione di Ginevra; ha descritto le politiche di Israele contro i palestinesi e l’assedio di Gaza come ” crimini di guerra”, “tendenze genocide”, “risvolti da Olocausto” e ” Olocausto in corso”; ha esortato il Tribunale Criminale Internazionale ad indagare sulla possibilità di incriminare i leader israeliani per crimini di guerra. Falk è insomma una persona non gradita a Israele in quanto “ebreo antisemita”, ossia “ebreo che odia se stesso” – queste le accuse rivoltegli da vari ambienti sionisti, come ha spiegato lo stesso Falk in un’intervista recente.

Quello che ha denunciato Falk all’ONU, sessant’anni dopo Bernadotte, è il continuo del crimine della pulizia etnica del popolo palestinese compiuta dallo stato ebraico, crimine che comprende eccidi cronici come la carneficina appena compiuta a Gaza. Non si possono capire le ragioni profonde che guidano una siffatta politica criminale se non si comprende approfonditamente l’ideologia sionista, che costituisce il movente della nascita di Israele e del suo operato dal 1948 a oggi.

Per esempio, perché Israele dichiarando la “tregua unilaterale” ha affermato – esattamente come fece nel 2006 dopo la guerra di invasione al Libano - di aver raggiunto gran parte dei suoi obiettivi?

C’è da chiedersi innanzi tutto quali fossero questi obiettivi.

Di certo tra essi non c’era la fine del lancio di razzi Qassam. Del resto, la guerra anzi il massacro compiuto da Israele a Gaza non è iniziato come risposta al lancio dei Qassam. È stato infatti inequivocabilmente dimostrato che Israele ha rotto per primo la tregua con Hamas a novembre, con le incursioni militari via terra e via mare nella Striscia di Gaza che hanno provocato l’uccisione di sei miliziani di Hamas (49 palestinesi in totale, tra Gaza e Cisgiordania) e il sequestro di 15 pescatori palestinesi e tre volontari dell’ISM, tra cui l’italiano Vittorio Arrigoni, rapito in acque palestinesi da un’operazione israeliana di pirateria internazionale, condotto in Israele, incarcerato in condizioni al limite della tortura e poi espulso.

L’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza, per ammissione del ministro della Difesa israeliano Barak alla conferenza stampa di sabato notte, è stata premeditata e giustificata come “guerra di opportunità”. Una chiara guerra elettorale, quindi. Lo aveva già dichiarato il pacifista israeliano Uri Avnery in un suo ficcante articolo del 3 gennaio, in cui tra l’altro scriveva: “qualche tempo fa ho scritto che la chiusura di Gaza è stato un esperimento scientifico progettato per capire in quanto tempo si può far morire di fame una popolazione giocando con la sua vita in un girone dantesco prima di farla collassare. Questo esperimento è stato condotto con il generoso aiuto di Europa e Stati Uniti. Fino ad ora, non ha avuto successo. Hamās è diventata più forte e la gittata dei Qassam è diventato più lunga. L’attuale guerra è la continuazione di questo esperimento con altri mezzi.”

Uri Avnery denuncia cioè le stesse cose che riportava all’ONU Richard Falk, senza fare riferimenti al genocidio della Shoah. Cambiano le parole, ma la sostanza è la stessa: crimini contro l’umanità. Avnery fornisce anche un elenco delle tante guerre elettorali sostenute da Israele, facendo capire come il consenso degli israeliani lo si conquista colpendo e umiliando il popolo palestinese: in questo senso, Barak e Livni non vogliono essere da meno di Netanyahu.

Possibile che vi sia la volontà di uccidere e distruggere a prescindere dall’obiettivo della sicurezza nazionale?

Possibile.

Infatti, il lancio di razzi è stato interrotto dall’aggressione sionista? No, è aumentato e ha provocato subito 4 morti tra i civili israeliani. La minaccia del terrorismo è più lontana ora che milletrecento persone sono state uccise? No, è più vicina. Il consenso ad Hamas si è indebolito? Al contrario, si è rafforzato sia tra la popolazione civile palestinese sia all’estero e, se si fosse indebolito, lascerebbe ora spazio a movimenti terroristici integralisti. Se Israele avesse come primo obiettivo la propria sicurezza, non avrebbe provocato una emergenza umanitaria a Gaza chiudendo i valichi, non avrebbe infranto la tregua con incursioni, uccisioni e rapimenti per provocare la prevedibilissima reazione di Hamas e avere così il pretesto per compiere la carneficina da poco – forse – conclusasi nella Striscia di Gaza.

È possibile quindi che l’aggressione e la distruzione della Striscia di Gaza siano state pianificate da anni, per esempio dal governo Sharon, quello che ha posto fine all’occupazione costringendo al ritorno i coloni. E’ quanto sostiene Michel Chossudovsky in un articolo in cui scrive che: “Fonti dell’establishment della difesa hanno dichiarato che il ministro della difesa Ehud Barak ha ordinato alle Forze Aeree Israeliane di prepararsi per l’operazione più di sei mesi fa, anche mentre Israele iniziava a negoziare un accordo per il cessate il fuoco con Hamas” […]. L’operazione “Piombo Fuso” è intesa, del tutto deliberatamente, a provocare vittime civili. Ciò con cui stiamo trattando è un “disastro umanitario pianificato” a Gaza in un’area urbana densamente popolata. L’obiettivo a più lungo termine di questo piano, come formulato dai funzionari politici israeliani, è l’espulsione dei palestinesi dalle terre palestinesi: “Terrorizzare la popolazione civile, garantendo la massima distruzione delle proprietà e delle risorse culturali… La vita quotidiana dei palestinesi deve essere resa insopportabile: dovrebbero essere bloccati in città e villaggi, impediti ad esercitare una normale vita economica, rimossi dai luoghi di lavoro, dalle scuole e dagli ospedali. Questo incoraggerà l’emigrazione ed indebolirà la resistenza a future espulsioni”. (Ur Shlonsky, citato da Ghali Hassan, Gaza: The World’s Largest Prison, Global Research, 2005). L’operazione “Piombo Fuso” fa parte della più ampia operazione militare e di intelligence iniziata nel 2001 al principio del governo di Ariel Sharon. È stato sotto l’”Operazione Vendetta Giustificata” di Sharon che sono stati inizialmente utilizzati quegli aerei da caccia F-16 per bombardare le città palestinesi. L’”Operazione Vendetta Giustificata” è stata presentata nel luglio del 2001 al governo israeliano di Ariel Sharon dal capo di stato maggiore dell’IDF Shaul Mofaz, sotto il titolo “La distruzione dell’Autorità Palestinese ed il disarmo di tutte le forze armate”.

“Lo scorso giugno [2001] è stato redatto un piano di contingenza, dal nome in codice di Operazione Vendetta Giustificata per rioccupare tutta la Cisgiordania e forse la Striscia di Gaza al costo probabile di “centinaia” di vittime israeliane” («Washington Times», 19 marzo 2002).”

Secondo altri analisti, Gaza potrebbe essere annessa dall’Egitto e la Cisgiordania dalla Giordania, o diventare uno stato bantustan sotto il controllo israeliano.

Come andrà a finire?

Staremo a vedere.

Personalmente, non credo possibili i suddetti esiti, almeno in tempi brevi, né tanto meno ritengo possibile uno stato palestinese in Cisgiordania, viste le numerosissime enclave israeliane presenti e il rifiuto israeliano di cedere Gerusalemme est ai palestinesi – senza contare il problema del ritorno dei profughi.

Allo stato attuale, cioè, non vedo nessuna possibile soluzione a breve termine alla fine dell’oppressione del popolo palestinese; forse, la soluzione di uno stato binazionale, laico e democratico, per quanto a tutt’oggi inverosimile, è la più praticabile “sul campo” oltre a essere, per certi versi, la soluzione ideale per una riconciliazione tra ebrei e palestinesi.

Peraltro, non vedo nemmeno all’opera un piano israeliano lungimirante volto a eliminare ogni possibilità di dare uno stato ai palestinesi, credo anzi che l’agire sionista poggi su basi irrazionali, che non rendono possibile il raggiungimento di obiettivi a lungo termine. È l’effetto della follia morale che pervade la classe dirigente israeliana; ne parla Uri Avnery in un articolo pubblicato su Il Manifesto il 13 gennaio a proposito del massacro di Gaza, in cui si legge: “Nell’atto della morte, ogni bambino si trasformava in un terrorista di Hamas. Ogni moschea bombardata diventava istantaneamente una base di Hamas, ogni palazzina un deposito di armi, ogni scuola una postazione terroristica, ogni edificio dell’amministrazione pubblica un «simbolo del potere di Hamas». Così l’esercito israeliano manteneva la sua purezza di «esercito più morale del mondo». La verità è che le atrocità sono un risultato diretto del piano di guerra. Questo riflette la personalità di Ehud Barak - un uomo il cui modo di pensare e le cui azioni sono una chiara esemplificazione di quella che viene chiamata «follia morale», un disturbo sociopatico. […] Chi dà l’ordine di una simile guerra, con tali metodi, in un’area densamente popolata, sa che causerà il massacro di civili. A quanto pare, ciò non lo ha toccato. O forse credeva che loro avrebbero «cambiato modo» e la guerra avrebbe «marchiato a fuoco la loro coscienza», per cui in futuro non oseranno resistere a Israele. […] Le persone affette da follia morale non riescono a capire le motivazioni delle persone normali, e devono indovinare le loro reazioni. «Quante divisioni ha il papa?» se la rideva Stalin. «Quante divisioni hanno le persone con una coscienza?» potrebbe chiedersi oggi Ehud Barak. Ma, come stiamo vedendo, ne hanno qualcuna. Non tante. Non molto veloci a reagire. Non molto forti e organizzate. Ma a un certo momento, quando le atrocità dilagano e masse di persone si uniscono per protestare, questo può decidere di una guerra. […] Nella coscienza del mondo, resterà impressa a fuoco l’immagine di Israele come un mostro lordo di sangue, pronto in qualunque momento a commettere crimini di guerra e non intenzionato a rispettare alcun freno morale. Questo avrà gravi conseguenze a lungo termine per il nostro futuro, per la nostra posizione nel mondo, per la nostra chance di raggiungere la pace e la tranquillità. In fondo, questa guerra è anche un crimine contro noi stessi, un crimine contro lo stato di Israele.”

“Follia morale”, un disturbo sociopatico. Avnery lo attribuisce solo a Barak, non ha il coraggio di dire che è presente in molti governanti sionisti e in larghi strati della società civile, altrimenti non si spiegherebbe l’appoggio di gran parte dei cittadini israeliani all’operazione “Piombo fuso”, benché occorra considerare anche il condizionamento della censura governativa e della propaganda mediatica sulla formazione delle opinioni del popolo israeliano.

Che cosa sta alla base di questo fenomeno che Avnery chiama follia morale? O, in altre parole, perché Israele fa quello che fa, con il consenso della maggior parte della sua cittadinanza, di molte comunità ebraiche delle diaspora e, in generale, dell’Occidente?

Credo che la radice di questa diffusa distorsione del senso morale sia da ricercarsi nel meccanismo psicologico della negazione del crimine della pulizia etnica, crimine senza il quale probabilmente Israele non sarebbe nato come stato ebraico, visto che la popolazione palestinese residente all’interno dei suoi confini era, alla fine del 1947, il 45% del totale - per poi ridursi a meno del 20% alla fine del 1948, a pulizia etnica completata. Per lo più, l’opinione pubblica israeliana nega, rimuove il fatto che Israele è stato creato distruggendo interi quartieri di città e villaggi palestinesi, per poi edificare abitazioni per soli ebrei e parchi nazionali sulle rovine della civiltà palestinese. Circa ottocentomila persone, gran parte di un popolo inerme è stata sradicata dalla terra in cui viveva da secoli, la sua cultura distrutta o ghettizzata. È quella che i palestinesi chiamano la Nakba, la “Catastrofe”, termine che solo da pochi anni sta diventando, confusamente, patrimonio linguistico dell’Occidente perché la politica e la storiografia hanno commesso, e per lo più stanno ancora commettendo, un crimine contro la storia e la cultura, il suo memoricidio.

Chi sa, per esempio, che le città di Ashkelon e di Sderot, le più colpite dai razzi Qassam, sono state costruite rispettivamente sulle rovine dei villaggi di Al-Jura e Najd, distrutti nel 1947-49 per mano dei sionisti, come documenta lo storico palestinese Walid Khalidi nel suo libro All that remains?

Scrive Ilan Pappe che conoscere “il “trattamento” riservato ai palestinesi in quegli anni è collegato con l’emergere di questioni spiacevoli rispetto alla legittimazione del progetto sionista nel suo complesso. Per gli israeliani è quindi fondamentale sostenere e rafforzare il meccanismo della negazione, non solo per far fallire le rivendicazioni palestinesi nel processo di pace, ma - molto più importante - per ostacolare ogni discussione significativa sulla natura e sui fondamenti morali del sionismo. Per gli israeliani, riconoscere i palestinesi come vittime delle azioni di Israele è fonte di profondo turbamento, almeno per due motivi. Sia perché dovrebbero fare i conti con l’ingiustizia storica che metterebbe Israele sotto accusa per la pulizia etnica della Palestina del 1948 e in dubbio gli stessi miti fondanti dello Stato di Israele, sia perché […] scatenerebbe anche ripercussioni morali ed esistenziali sulla psiche degli ebrei israeliani: dovrebbero riconoscere di essere divenuti l’immagine speculare dei loro incubi peggiori.”

In ultima analisi, alla domanda sul perché del crimine contro l’umanità commesso da Israele nella Striscia di Gaza si può rispondere almeno in due modi, a seconda di quanto si voglia scavare nel presente e nel passato della storia israeliana per trovare le risposte. Le cause prossime del crimine risiedono senz’altro nella ricerca del consenso elettorale da parte dei governanti israeliani. Ma questa causa non spiega la “follia morale” con cui la leadership israeliana ha compiuto questo crimine. Per poter rendere conto di un tale complesso di superiorità morale credo occorra considerarlo come l’effetto di un ossessivo rafforzamento del meccanismo di negazione sul peccato originale che ha contraddistinto la nascita dello stato ebraico, ossia la pulizia etnica del popolo palestinese.

 

 

Note: Fonti:

Su Richard Falk:

1) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5479&mode=&order=0&thold=0

2) http://pensatoio.ilcannocchiale.it/post/2132534.html

3) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5391

Sugli obiettivi raggiunti da Israele e su chi ha violato la tregua:

1) http://it.peacereporter.net/articolo/13786/La+reputazione+%26egrave%3B+tutto

2) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5455

L’articolo di Michel Chossudovsky:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5436

Su Ashkelon e Sderot:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5423

Gli articoli di Avnery:

http://www.peacelink.it/palestina/a/28335.html

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090113/pagina/05/pezzo/239282/

Lo scritto di Ilan Pappé:

Da Ilan Pappé, La pulizia etnica della Palestina, Fazi editore, pag. 292.

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