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Natale 2012

Lucia Valori


E’ stata la settimana della luce, quella accecante che solo il Marocco sa regalare, quella degli incontri umani che riscalda il cuore, quella spirituale dei momenti di preghiera condivisi.
Ero partita con tanto entusiasmo, con un pizzico di temerarietà e di spirito di avventura, non completamente conscia di quello che mi aspettava a Meknes, città del nord del Marocco, e sono tornata arricchita, appagata e desiderosa di condividere quest’esperienza unica.
La terrazza della casa nella medina, ossia la città vecchia, che ha ospitato me ed altre tre ragazze italiane mi ha ricordato un po’ quella descritta così bene dalla scrittrice marocchina Fatima Mernissi, luogo di incontro e di scambio.
La nostra giornata cominciava proprio lì, tra colazione, due chiacchiere, godendoci il sole e la vista fantastica in quella viuzza a due passi dal Centro di formazione linguistica S.Antonio e dalla casa dei missionari francescani, tra cui Frate Pietro Pagliarini, il nostro angelo custode.
I francescani sono una presenza importante in città, anche se non numerosa. Hanno una parrocchia, ovviamente frequentata solo da pochi stranieri, visto che la maggioranza della popolazione è di fede musulmana e si occupano anche dell’insegnamento linguistico a studenti marocchini nel Centro S.Antonio.
Ogni mattina, noi volontarie ci recavamo nella città nuova all’ospedale Mohammed V dove si trova l’orfanotrofio della Fondazione Zniber nel quale svolgere la nostra attività.
Gli sguardi ed i vagiti dei neonati ci accoglievano mentre ci preparavamo ad aiutare le educatrici nella poppata. Un po’ di timore mi assaliva nello stringere fra le braccia quei corpicini e qualche lacrima mi velava gli occhi al pensiero del loro futuro incerto: saranno adottati o no..
Ma l’atmosfera così familiare, la professionalità e l’umanità dello staff mi aiutava a superare le ansie iniziali.
Seguivano poi momenti ludici con i bambini più grandicelli, dai 2 ai 4 anni, spesso in compagnia di Sharifa, la responsabile, con la quale intessevo conversazioni alternando le mie reminiscenze di francese al mio stentato arabo marocchino. Poi ci spostavamo nel reparto dei disabili dove c’erano ragazzi adolescenti con varie problematiche. I primi giorni cercavo di passare più tempo coi i bambini, non sentendomi pronta alla realtà più difficile della disabilità, ma poi le manifestazioni di affetto dei ragazzi, i loro sorrisi mi hanno aiutata e resa più forte.
Sono rimasta molto colpita dall’umanità di tutti coloro che lavorano nell’orfanotrofio, i ragazzi e i bambini possono respirare davvero un clima disteso ed accogliente.
Frate Pietro è molto amato, tutti i ragazzi lo aspettano con gioia. Durante la settimana ha organizzato con noi volontarie due escursioni, una al parco e l’altra in piscina. Per i ragazzi disabili sono stati momenti di grande serenità molto attesi.
E’ stato molto toccante visitare anche l’altro istituto della Fondazione dove sono ospitati i ragazzi che non sono stati adottati. Anche lì regna un clima di grande familiarità mista a sana disciplina. Non potrò mai dimenticare la felicità di una ragazzina che al nostro arrivo si è precipitata da Frate Pietro per comunicargli di essere in partenza per la Francia perché finalmente adottata!
E’ stato bellissimo condividere tutte le emozioni accumulate durante le varie giornate con le mie “compagne di avventura”! La sera, in terrazza o passeggiando per la medina, ci raccontavamo le sensazioni vissute, e mano a mano abbiamo cominciato ad aprirci l’una all’altra, parlando delle nostre vite, delle inevitabili delusioni, delle aspettative. E, interrogandoci sul perché stessimo lì a dare una mano in quell’orfanotrofio, la fede, che era un po’ assopita in alcune di noi, si è risvegliata.
Complice il Marocco, paese incantato, si è creato un rapporto intenso fra di noi e la convivenza è stata piacevolissima e molto costruttiva.
Porterò nel cuore anche le belle conversazioni serali attorno alla mensa preparataci dai frati. Oltre a gustare prelibati piatti locali, si creava sempre un’atmosfera allegra di grande condivisione in cui abbiamo discusso davvero di tutto ed in particolare del dialogo interreligioso che, da sempre, mi appassiona.
Frate Pietro ci ha parlato della iniziale difficoltà di integrazione in un paese musulmano, ma ha sottolineato anche la tolleranza che contraddistingue il Marocco, senza dubbio uno dei paesi più aperti del mondo arabo.
Ma credo che il senso di tutta la settimana abbia trovato il suo culmine nella celebrazione della messa; noi quattro ragazze attorno alla mensa eucaristica nella cappelletta dei frati ci siamo sentite più unite che mai e, mentre frate Pietro consacrava il pane, dalla finestrella spalancata sulla medina entrava il canto del muezzin alla preghiera.
Era come se l’umanità intera si unisse nella lode al Dio unico.
Allora, commossa, pensavo che queste esperienze contribuiscono ad affratellare i popoli, a superare i pregiudizi ed a rispettarsi reciprocamente nell’ambito delle proprie identità e mi riecheggiava nella mente il grandioso discorso di Giovanni Paolo II ai giovani marocchini a Casablanca nel 1985, che auspicava proprio la realizzazione di un avvenire migliore con la collaborazione fra tutti i credenti, nel rispetto delle reciproche differenze e in nome dell’unico Dio.
Lucia