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Suggerimenti per un uso responsabile delle liste di Peacelink

Diritto alla libertà di espressione e possibili conseguenze penali e civili dell'uso non corretto delle Liste di PeaceLink

1) ALCUNE POSSIBILI CONSEGUENZE PENALI E CIVILI DELL´USO NON CORRETTO DELLE LISTE
PeaceLink - pur non ritenendosi responsabile dei messaggi inseriti - vuole comunque segnalare che un messaggio potrebbe causare una citazione in giudizio per “danno”. “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” (art.2043 del Codica Civile).
Vi sono poi i “reati contro l´onore” come l´ingiuria e la diffamazione (elencati dagli articoli 594-595-596-597-598-599 del Codice Penale): l´ingiuria è l´offesa all´onore e al decoro di una persona presente (ad esempio ad un partecipante di una lista di discussione) e comporta la reclusione da 2 a 6 anni; se la persona offesa è assente allora scatta il reato di “diffamazione” (art 595 c.p. comunicazione con più persone in assenza del soggetto passivo, reclusione fino ad un anno oppure multa fino a 2 milioni di lire) su querela della persona offesa, che diviene “aggravata” se il fatto e´ commesso a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicita´. A cio´ si puo´ aggiungere una citazione in giudizio “per danno”, che puo´ comportare una richista di risarcimento per cifre molto alte (ad esempio 50 mila euro, ma vi sono richieste di risarcimento per 500 mila euro e oltre!). E´ utile sapere che e´ considerata offesa anche quella recata all´onore o al prestigio di organi pubblici (corpo politico, amministrativo o giudiziario) o di pubblici ufficiali e impiegati.
Non vanno dimenticati - per quanto alcuni siano grotteschi reati ereditati dal passato fascita - i “reati contro lo Stato”:


  • eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell´autorità (reclusione fino ad un anno oppure multa fino a 400 mila lire)
  • vilipendio delle Forze Armate, della nazione italiana, della bandiera o di altro emblema dello Stato (reclusione da uno a tre anni)
  • istigazione di militari a disobbedire alle leggi (reclusione da uno a tre anni)
  • disfattismo politico in tempo di guerra (l´art.265 del Codice penale punisce con la reclusione fino a 15 anni e diventa ergastolo “se il compevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico”)
  • propaganda ed apologia sovversia o antinazionale (ma la reclusione da sei mesi a due anni finalizzata a “distruggere o deprimere il sentimento nazionale” e´ stata dichiarata illegittima con sentenza 87/1966 della Corte Costituzionale)
  • offesa all´onore dei Capi di Stati esteri e contro i rappresentanti di Stati esteri (reclusione da uno a tre anni)
  • pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l´ordine pubblico (arresto fino a 3 mesi oppure ammnda fino a 600 mila lire)
  • procurato allarme presso l´autorità (arresto fino a 6 mesi oppure ammenda da 20 mila a 1 milione di lire)

Questi ultimi reati vogliono punire gli “allarmisti”...
E´ bene sapere che, quando vengono diffusi messaggi o foto relativi a questioni militari (siti militari, armi dislocate, installazioni), essi sono ancora soggette ad un regio decreto del 1941; vi sono percio´ norme per reprimere i seguenti reati:

  • rivelazione di documenti segreti (reclusione fino a 3 anni oppure multa da 200 mila a 2 milioni di lire)
  • agevolazione colposa nello spionaggio (reclusione da 1 a 5 anni)
  • rivelazione di segreti di Stato (reclusione non inferiore a 5 anni)
  • procacciamento di notizie sulla sicurezza dello Stato (reclusione da 3 a 10 anni)
  • spionaggio politico o militare (reclusione non inferiore a 15 anni)

E´ bene sapere che messaggi relativi alla “disobbedienza civile”, una pratica sociale ereditata anche dalle tradizionali lotte nonviolente di Gandhgi e Martin Luther King, possono incappare (se scritti senza le opportune cautele) nei seguenti reati:

  • istigazione a commettere contravvenzioni (reclusione fino a 1 anno oppure multa fino a 400 mila lire)
  • istigazione a commettere delitti (reclusione da 1 a 5 anni)
  • apologia di delitti (reclusione da 1 a 12 anni)

E´ bene anche aver presente i seguenti reati associativi:

  • associazioni antinazionali (reclusione da 6 mesi a 3 anni)
  • associazione sovversiva (reclusione da 5 a 12 anni)
  • associazione segreta (reclusione da 1 a 5 anni)
  • organizzazione di associazione con finalità di terrorismo o di eversione (reclusione da 7 a 15 anni)

Vi sono anche i “reati contro la religione”:

  • vilipendio della religione (reclusione fino a 2 anni)
  • offesa alla religione mediante vilipendio delle cose (reclusione da 1 a 3 anni)
  • offesa alla religione mediante vilipendio di persone (reclusione fino a 2 anni)

Chi inserisce messaggi su questioni delicate, spinose, controverse, ecc. che potrebbero essere soggetti a querele o citazioni per danni, e´ bene che conservi (a volte per anni) le fonti e che le citi nel messaggio, ben sapendo che - nel caso sia necessario e a scopo di cautela propria - occorrerebbe una verifica della fonte appurare anche la veridicita´ della stessa e anche la sua stessa esistenza. Cio´ non toglie nulla al diritto di cronaca e alla necessita´ di raccontare anche cose di cui non è del tutto certa la verita´, nel qual caso e´ buona norma usare il condizionale; ad esempio: “Tizio sarebbe coinvolto nel tal fatto, secondo quanto ha scritto Caio nel Corriere del Pomeriggio del 12/1/1993”. In tal caso e´ opportuno conservare il ritaglio di giornale con la data e la fonte in una cartellina nella propria biblioteca (se il giornale non e´ reperibile con facilità).
Se si registra un´intervista e la si trascrive, occorre sapere che anche la semplice trascrizione e diffusione via Internet di frasi “diffamatorie” può far scattare la querela di parte nei confronti “anche” di chi ha scritto (e non “solo” di chi ha detto). Che fare in simili casi? Censurare o obbedire al diritto di cronaca e di informazione? Un espediente è quello di riportare “con distacco” e prendendo formalmente le distanze. Ad esempio Tizio dice: “Ho visto Caio che stava rubando”. In tal caso occorre che l´intervistatore dica cose del tipo: “Lei sta facendo delle gravi affermazioni, si spieghi meglio”. Insomma occorre che l´intervistatore non sia scambiato per un “amplificatore” dell´intervistato e che usi tutte le cautele per prendere le distanze (non per condannare). L´intervistatore puo´ aggiungere in coda delle righe che spieghino che l´intervistatore, pur non condividendo necessariamente le parole dell´intervistato, ha sentito il dovere morale o civile di riportarle, chiedendo magari anche a Caio un´intervista.
Se la notiza è tratta da un sito web occorre citare l´indirizzo Internet del sito e, possibilmente, conservare la videata (memorizzandola o stampandola) in quanto e´ gia´ accaduto che notizie “delicate” o “scomode” siano apparse e poi scomparse dal web (ad esempio e´ accaduto a proposito del “giallo” di Ustica su un sito statunitense sui disastri aerei).
E´ bene sapere che - anche se Tizio ha rubato ed e´ stato condannato per tale reato - si può essere egualmente condannati per diffamazione scrivendo: “Tizio e´ un ladro”. Occorre scrivere: “Tizio e´ stato condannato per... ecc. ecc.”
La querela per diffamazione può scattare anche se si scrive “Tizio non conosce la Costituzione” e poi si scopre che... Tizio e´ un avvocato o un magistrato; se invece Tizio e´ un insegnante di letteratura le cose cambiano ed egli puo´ querelare se si scrive: “Tizio non conosce la Divina Commedia”.
Va detto che per evitare le querele non vi sono regole fisse e che occorre regolarsi caso per caso sulla base di principi generali, tenendo ben presente che a volte una querela dipende da una singola parola (un aggettivo azzardato o un verbo all´indicativo anziche´ al condizionale).
Va pero´ aggiunto anche che la Corte di Cassazione in data 18 ottobre 1984 ha approvato una dettagliata sentenza di 35 pagine sulla libertà di stampa e quindi sul diritto di critica, in cui vengono codificati i criteri che i giornalisti devono rispettare per non incorrere nei rigori della legge (si veda a pagina 1020 del libro di Franco Abruzzo “Codice dell´Informazione” edito dal Centro di Documentazione Giornalistica). E´ una sentenza che appare abbastanza restrittiva e sancisce ad esempio che nel campo dell´informazione:

  • vi puo´ essere un illecito civile anche in assenza di un illecito penale;
  • la verita´ dei fatti non e´ rispettata se e´ “mezza verita´”, o verita´ incompleta e che in tal caso la “mezza verita´” puo´ essere equiparata alla notizia falsa;
  • il giornalista non deve ricorrere ad “insinuare” attraverso l´uso delle virgolette (è il “sottinteso sapiente”, tale da far leggere fra le righe una verita´ non detta del tutto);
  • non bisogna ricorrere a “accostamenti suggestionanti” (ad esempio scrivere di una persona che si vuol mettre in cattiva luce e scrivere nella frase successiva “il furto e´ sempre da condannare”);
  • non bisogna usare insinuazioni con la tecnica di frasi del tipo “non si puo´ escludere che...” in assenza di alcun serio indizio;
  • e´ offesa anche il ricorso a toni sproporzionatamente scandalizzati o sdegnati, specie nei titoli.

Questa sentenza è stata cosi´ commentata da Miriam Mafai (allora presidente del sindacato dei giornalisti): “L´unico giornale possibile, secondo la Cassazione, e´ la Gazzetta Ufficiale”.
Un´altra sentenza del 23 ottobre 1984 delle sezioni unite penali della Cassazione stabilisce che non esistono “fonti informative privilegiate” e che e´ dovere del cronista esaminare, controllare e verificare i fatti oggetto della sua narrazione.
In teoria un giornalista potrebbe venire querelato per diffamazione per aver riportato - senza opportuna verifica - un comunicato delle forze dell´ordine che - pur effettivamente emesso da fonte istituzionale “certa” - si rivelasse poi “non veritiero” e lesivo di altrui diritti.
E´ complesso discutere se, o in che misura, l´informazione sulle liste diffuse via Internet sia assimilabile all´informazione giornalistica e sia assoggettabile a tale sentenza. In ogni caso, a scopo di cautela, questa policy intende richiamare gli utenti ad un insieme di cautele in un settore - quello dell´informazione via Internet promossa da liberi cittadini - in cui la normazione sta prendendo corpo spesso “di fatto” tramite i processi.

2) DIRITTO ALLA LIBERTA´ DI ESPRESSIONE
Tutte le informazioni, norme e cautele fino ad ora esposte non vogliono scoraggiare assolutamente chi scrive su PeaceLink: la verità e la libertà di informazione non vanno assolutamente scoraggiate; i riferimenti normativi, pur nelle loro a volte eccessive rigidita´, vanno tenuti presenti non al fine di non informare ma al fine di informare con l´avvedutezza necessaria a schivare eventuali querele e citazioni in giudizio.
Il principio che ogni persona abbia “diritto alla liberta´ di espressione e che questo diritto comprenda la liberta´ di opinione e la liberta´ di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorita” e´ sancito dall´articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle liberta´ fondamentali (legge dello Stato italiano 4/8/1955 n.848).
L´articolo 19 del Patto Internazionale di New York sui diritti civili e politici (legge dello Stato italiano del 25/10/1977 n.881) sancisce: “Ogni individuo ha il diritto alla liberta´ di espressione; tale diritto comprende la liberta´ di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.
La dichiarazione universale dei diritti dell´Uomo (approvata dall´Assemblea Generale dell´ONU il 10/12/1948) all´articolo 19 sancisce il diritto alla “liberta´ di opinione e di espressione” consiste nel “cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Infine la Costituzione Italiana, all´articolo 21, sancisce: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

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