Fare economia senza nuocere agli altri e altre

L’economia dovrebbe essere l’arte della cura per avere i supporti della convivenza, un‘economia di servizio che riesce a non escludere ed a non affamare.
3 febbraio 2009
Nadia Nappo

L’economia dovrebbe essere l’arte della cura per avere i supporti della convivenza, un‘economia di servizio che riesce a non escludere ed a non affamare. Oggi, invece, tutta la società è ridotta a economia, un esempio è la tanta fame che esiste tra gli esseri umani; non solo non si elimina ma la si produce. La vita dell’intero pianeta è ancora organizzata secondo la logica del dominio e il dominio prende le forme dell’economia. Scrive Roberto Mancini: “Di tutte le sfere di esperienza dell’essere umano, l’economia è quella che riguarda la sopravvivenza. Ma la sopravvivenza fine a se stessa è tutt’altro che naturale. Quando viene posta come scopo unico dell’esistenza, si deforma la condizione umana. La vita, nell’anelito che la fa respirare -cioè la vita umana ma anche la vita della natura- non cerca solo la sopravvivenza, tende a una condizione nuova […] Ridurre ogni cosa a economia significa fabbricare un sistema in cui la sopravvivenza bruta si sostituisce alla vita e, ancor più, a ogni possibilità di vita vera e di felicità condivisa. Se siamo un tessuto di esseri unici, tutti legati tra loro e tendenti a una liberazione integrale, ridurre la condizione dei viventi alla trappola dell’economia capitalista significa isolare ogni filo del tessuto. E costringerlo a fare qualsiasi cosa” (Idee eretiche «Altraeconomia», n.99)
Ognuno/a crede che può vivere senza l’altro, volendosi garantire vantaggi e diritti che si promettono a tutti, ma sono di pochi; così si punta su se stessi, sulla propria cultura e religione, ci si sente unico in un mondo globalizzato e consumistico dove tutto si rovina: esseri viventi e l’intero patrimonio della terra; ci si sforza di ottenere più di altri e di soddisfare se stessi al di sopra di ogni altro/a.
È tempo che donne e uomini pensino a nuove forme di cambiamento economico, avendo la vita e le relazioni umane come orientamento politico a partire dalla sapienza domestica e dall’esperienza di tante donne impegnate in una economia diversa che mette insieme dono e mercato. Si vogliono trovare rimedi a questa crisi mondiale, che porta arricchimento a pochi e guerre, violenze, miserie, devastazioni a tanti, e rimedi che si allontanino dalle logiche del “più forte”. Anna Di Salvo delle Città vicine di Catania scrive: “Si può pensare di intervenire con una politica nuova nel merito di un sistema economico che pretende d‘imporsi secondo logiche di profitto e di mercato nella gestione e nel divenire della città? È proponibile pensare che la pratica politica delle donne agita nella città possa apportare contributi fecondi per la creazione di una nuova civiltà attraverso la tessitura di scambi, relazioni e apertura di conflitti creativi?”(La politica nuova fa politica nuova).
Il contributo delle donne nella società e nelle loro famiglie è enorme e spesso non riconosciuto; ancora non viene considerato il lavoro informale, dove la presenza femminile è alta, e tutto il lavoro familiare - domestico, di cura, dei servizi -. Se non si riesce ad ottenere un cambiamento della teoria che vita e lavoro vanno separati, non si produrranno spostamenti di valore materiali e simbolici su quanto i lavori familiari agiscono sulle attività e gli scambi del mercato e del denaro; economia infatti significa originariamente “legge dell’ambiente domestico”.
Scrive Silvia Marastoni: “Le donne sono protagoniste del microcredito (l’85,2% dei destinatari più poveri, secondo The State of the Microcredit Summit Campaign Report 2007, e il 97% di tutti quelli di Graameen Bank) e dell’agricoltura di sussistenza, che garantiscono la vita di milioni di persone. In molti luoghi sono impegnate a proteggere i beni comuni, le risorse naturali, la pace, e guidano lotte, movimenti e iniziative concrete a loro difesa. Inventano “imprese” che modificano vite e contesti: come l’indiana Ela Bath, fondatrice, nel 1972, del primo sindacato auto-organizzato di lavoratrici dell’economia informale, il Self Employment Women’s Association, che oggi conta un milione di associate” (Il lavoro che fa differenza, «Altraeconomia», n. 99). Oggi molte donne, in tutto il mondo, sanno che cos’è il lavoro. La loro esperienza si relazione alla società, “mette in questione gli assetti del mercato del lavoro e i sistemi di welfare, forza i confini dei discorsi, dell’organizzazione e della valorizzazione del lavoro tradizionalmente inteso” (Lorenza Zanuso). Per lo più sono donne che propongono trasformazioni del lavoro e ne sperimentano nuove forme e modalità.
In un articolo di Ina Praetorius si legge: “si fa strada lentamente una sensazione: non si è più certi che i dogmi, che hanno rappresentato il fondamento da tanto tempo, possano servire veramente, a lungo andare, a costruire una vita soddisfacente. […] La mia conferenza vuole partire da questo presupposto del disorientamento […] e vorrei porre di nuovo alcune domande decisive:
Chi siamo noi esseri umani?
Cosa ci tiene in vita e cosa fornisce senso alla nostra esistenza?
Come possiamo essere qui presenti e essere attivi senza nuocere all’altro e senza rendere impossibile una vita buona ai nostri discendenti?” (Il mondo come ambiente domestico). Quest’articolo lo troviamo pubblicato in La vita alla radice dell’economia, a cura di Vita Cosentino e Giannina Longobardi, editato dalla Mag Verona. Questa pubblicazione nasce da un seminario tenuto a Verona 1'11 e il 12 maggio 2007, presso la sala convegni della Banca Popolare di Verona, come momento conclusivo del progetto Ec.co.mi. Le giornate di studio sono state organizzate da Mag di Verona, dalla Libera Università dell'economia Sociale - Lues, dalla Libera Università dell'incontro, dalla Rete delle Città Vicine e dalla Libera università del bene Comune.
L'idea di partenza era ripensare all'economia riportandone il senso all'origine – la radice del termine rimanda infatti all'oikos, la casa.
Alcune donne in nero di Napoli, proprio leggendo questo opuscolo, hanno considerato interessante presentare il testo perché si può discutere con altre e altri di come pensare ad un’altra economia a partire dalla pratica politica di donne che credono nelle differenze, nelle relazioni e in una nuova gestione dei conflitti. Per trovare con altre e altri rimedi ad una economia di sopraffazione, ricercando nei tanti esempi che abbiamo nel mondo di altra economia. Provare ancora a rispondere alle domande che pone Ina Praetorius: essere attivi senza nuocere all’altro.
Per questo noi Donne in nero di Napoli abbiamo organizzato, con la libreria delle donne Evaluna, la rete delle Citta vicine, la Mag di Verona, un incontro il 6 febbraio, alle ore 18,30 da Evaluna - piazza Bellini, per ragionare su vita e economia con Giovanna Borrello e Stefania Tarantino.

Nadia Nappo

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