10 febbraio 2005 - Relazione al Dipartimento di studi politici Università di Torino

Storia del concetto di disarmo

Distinzione tra forza e violenza - Disarmo morale e materiale
Culture antiche, moderne, contemporanee
Transarmo - Proposte politiche della cultura nonviolenta
8 ottobre 2012
Fonte: Relazione al Dipartimento di Studi Politici Università di Torino - 02 ottobre 2012

ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO
(PARTE PRIMA)
Relazione tenuta il 10 febbraio 2005 al seminario "Historia magistra" diretto dal professor Angelo D'Orsi presso il Dipartimento di studi politici dell'Universita' di Torino. Pubblicata su “La nonviolenza è in cammino” online, del 5, 6, 8 giugno 2005. Per contatti: enrico.peyretti at gmail.com

Sommario
I. Dis/armo - non/violenza. Arma - violenza - nonviolenza; Distinzione tra
forza e violenza; Arma come forza e arma come violenza
II. Disarmo morale e disarmo materiale. Culture antiche, moderne,
contemporanee
III. Chi disarma chi? Disarmo altrui: il vincitore disarma il vinto. Disarmo
proprio: degli individui, dello stato
IV. Disarmo come? disarmo quando?
V. Disarmo quanto? quali armi?
VI. Transarmo
VII. La guerra privatizzata, come disarmarla?
VIII. Conclusione
Allegato A. Denuncia del Nuovo Modello di Difesa (1 giugno 2000)
Allegato B. Proposte politiche della cultura nonviolenta
Scheda. Dati 2005 sulle armi
*
Nel Dizionario di politica, edizione 2004, manca la voce Disarmo. Manca
anche la voce Armi, Armamenti. (Questo mi pare un bene, ma quello un male!).
Non c'e' neppure la voce Vittoria. La voce Armi, Armamenti, Disarmo si trova
nell'Enciclopedia Einaudi, ma Disarmo e' solo nel titolo della voce, e
niente nel contenuto! Si trova Disarmo, inteso come trattati internazionali,
nell'Enciclopedia Europea Garzanti, Milano 1977.
*
I. Dis/armo - non/violenza
Dis/armo significa non/violenza? Non/violenza vuol dire non/arma? Si' e no.
Per il si': a New York, davanti al Palazzo dell'Onu, c'e' il monumento di
una pistola con la canna annodata, di Reutersward, col titolo
"Non-violence".
L'anti-militarismo, l'anti-armismo (il distintivo che porto, del Movimento
Nonviolento, e' un fucile spezzato) e' una fase infantile, iniziale, ma
giusta e necessaria, della nonviolenza, perche' ogni arma significa
uccidere, che e' tutta violenza, nessuna soluzione.
Per il no: "arma" non vuol dire unicamente strumento per uccidere, o
minacciare di morte. Significa anche forza, che va concettualmente distinta
da violenza.
L'arma e' anche morale (forza resistente e costruttiva) e non solo materiale
(violenza distruttiva). C'e' arma umana e arma disumana.
La forza costruisce, resiste. L'arma umana e' la capacita' di reggere,
patire con forza (non subire, che e' collaborazione passiva).
L'arma nonviolenta e' la non-collaborazione, che toglie base al potere
ingiusto. C'e' anche una "costrizione nonviolenta", che consiste nel rendere
il dominio piu' costoso della trattativa e del compromesso: e' una
dissuasione non minacciosa.
Resistere, reggere, e' azione piu' forte che aggredire: "Principalior actus
fortitudinis est substinere", (S. Tommaso, Summa Theologica IIa-IIae, q.
123, art. 6): la forza difende, non offende.
Per Gandhi "la sofferenza e' l'arma umana", anche per "conquistare"
(persuadere) l'avversario. Quindi c'e' un'arma nonviolenta.
La violenza e' violare (come lo stupro), e' infliggere ingiustamente
sofferenza, offesa, in piu' modi: violenza fisica, morale, strutturale,
culturale.
L'arma violenta e' dis-umana: viola qualcosa di in-violabile nella persona
umana. Suoi effetti sono: uccidere, ferire (al nemico sono piu' costosi i
feriti che i morti, da qui l'uso di armi di medio danno); minacciare (Simone
Weil, in Iliade, poema della forza: l'arma non solo uccide, ma, quando tiene
sotto minaccia, "puo'" uccidere, e cosi' pietrifica, rende l'uomo ancora
vivo una cosa, un "compromesso tra uomo e cadavere"); dominare: cosi' fa
l'arma della fame, dell'ignoranza.
Il corpo umano e' il primo strumento, che rappresenta tutta l'ambiguita'
dell'arma.
E' forza che solleva: Jean Valjean solleva il carro, da cio' Javert lo
riconosce; Luigi Pintor in Servabo (Bollati Boringhieri, Torino 1991, p.
85): "Non c'e' in un'intera vita cosa piu' importante da fare che chinarsi
perche' un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi".
E' mano che colpisce, strangola, oppure si offre aperta (disarmata) per
"salutare" (dare salute), per trattenere dal cadere o affondare: come
diciamo "dare una mano"...
La stessa intelligenza e' arma quando e' "intelligence", strumento che
accompagna guerra e dominio; quando e' "ragione armata" (compito della
filosofia e' "disarmare la ragione armata", scrive Raimon Panikkar (1)).
Il senso e l'intuizione di qualche verita' (nelle convinzioni, nelle fedi)
puo' essere: verita' armata (guerre di religione, odio teologico,
ideologico) ma anche verita che "dis-arma", perche' da' il senso del
cammino, della ricerca, della inadeguatezza continua.
La verita' che possiamo conoscere, veramente non ci arma gli uni contro gli
altri (come nella storia ha fatto chi arrogantemente ha pensato di tenerla
in pugno e di imporla ad altri come verita' armata), ma proprio ci
"disarma", nel senso che ci rende piu' miti ed umili, impegnati
continuamente ad imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita piu'
giusta. La verita', in quanto - poco o tanto - la intravediamo, proprio ci
disarma, perche' ci impegna ad una vita personale e a relazioni umane piu'
buone e piu' vere, dunque ci giudica, ci toglie arroganza. La forza della
verita' non e' offensiva, ma consiste nell'agire profondamente su di noi, in
quanto la cerchiamo e le siamo fedeli, col sospingerci ad essere piu' veri,
piu' forti nel resistere al male e nel vivere il bene.
*
II. Disarmo morale e disarmo materiale
Il concetto di arma e' ambivalente, dunque anche il concetto di disarmo:
distinguiamo almeno disarmo morale e disarmo materiale.
*
II. A. Disarmo morale
Appare prioritario rispetto al disarmo materiale, perche' non e' l'arma
materiale che colpisce o minaccia, ma chi la impugna: un militare (amico o
nemico) e' diverso da un poliziotto, da un cacciatore. San Francesco armato
mi fa ridere, non mi fa paura.
Eppure... L'arma materiale e' comunque un pericolo e minaccia, per la sola
sua esistenza (nella societa' statunitense, la quantita' di armi private e'
una delle cause della quantita' di omicidi).
Ma c'e' un'ambiguita' anche del disarmo morale: puo' essere positivo o
negativo.
1) E' positivo se nell'animo depongo l'atteggiamento aggressivo, violento,
e mi dispongo a deporre strumenti violenti, e sviluppo il coraggio e la
razionalita' nei conflitti.
Questo atteggiamento e' espresso nella Regola d'oro, norma etica universale
(ne ho raccolte 25 formulazioni, da tante religioni, culture, epoche). Con
essa mi vieto (mi disarmo) l'azione verso altri che non vorrei fosse fatta a
me, e mi comando di fare (arma, azione) ad altri cio' che vorrei fosse
fatto a me.
Questo significa che riconosco e affermo uguale valore a me e agli altri
(imperativo categorico di Kant: "... la persona umana sempre come un fine,
mai solo come un mezzo, sia in te che negli altri..."). Significa dunque
parita' (ma Ricoeur avverte: la parita' puo' fondare anche la legge del
taglione), ma anche "priorita' di Altri" (Levinas, ma gia' il vangelo e i
mistici sufi), principio che compie e supera la Regola d'oro.
Per la Regola d'oro non posso nutrire una volonta' e/o impugnare un'arma
contro Altri: non essere "contro" qualcuno e' disarmo morale in senso
positivo: cosi' facendo, per parte mia (ed e' tutto cio' che posso) non
aggiungo violenza nel mondo.
Ma cosi' lascio campo libero alla violenza? No. Propongo attivamente una
reciprocita' positiva, anche se non posso determinarla nell'altro (tocca a
lui corrispondere).
2) E' negativo se mi privo delle armi morali, umane (coraggio, resistenza)
e cedo alla vilta', alla resa. Se, per non armarmi contro altri (ed evitare
il relativo rischio di fare violenza), non resisto, subisco, mi sottometto,
mi arrendo, quindi collaboro passivamente alla violenza altrui, sia su
altri, sia su di me. In tal modo, sono moralmente disarmato, ma favorisco
l'azione armata altrui, non riduco ma incoraggio l'armamento violento del
mondo. E' questa l'obiezione (facile) opposta alla nonviolenza, come se
fosse non-difesa, sottomissione, quella che Gandhi chiama (e che rifiuta)
nonviolenza dei deboli.
*
II. B. Disarmo materiale
Osserviamo come e' diversamente inteso nel tempo: 1) Bibbia; 2) miti greci;
3) miti orientali; 4) storia romana; 5) pacifismo medievale; 6) pacifismo
moderno; 7) umanesimo cristiano; 8) pacifismo contemporaneo; 9) le chiese
cristiane sul disarmo durante la guerra fredda; 10) oggi.
*
1) Nella Bibbia
Leggiamo nei profeti biblici (non sono indovini, ma annunciatori di un
messaggio): nel primo Isaia (dal 735 al 701 a. C.) cap. 2 e 11 c'e' la
promessa di un futuro in cui anche la violenza degli animali sara' superata:
"il lupo pascolera' con l'agnello" (11, 6), e gli uomini "non impareranno
piu' l'arte della guerra" (2, 4).
Osea, meta' VIII secolo a. C.: "l'arco, la spada e la guerra li bandira'
dalla terra" (2, 20).
Pero' ricorre l'espressione famosa "Dio degli eserciti" (delle schiere).
Essa afferma anzitutto che Dio e' superiore alle schiere celesti, agli
astri prima divinizzati e nella Bibbia desacralizzati (gia' nel racconto
della creazione). Poi pero' ha anche un significato militare: Israele si
sente guidato da Dio nelle guerre (fino all'uso bellico della religione nei
secoli cristiani: benedizioni, messe al campo, Te Deum per le vittorie...).
Sono molte e frequenti le metafore militari per descrivere Dio guerriero
contro il male, contro gli idoli: addestra alla guerra e da' la vittoria
(salmo 18, 33-43); la spada di Dio sui Caldei (Babilonia; questo piacerebbe
a Bush), sui suoi cavalli e carri, e tesori e acque (Geremia 50, 35-38).
Anche in san Paolo troviamo immagini militari per dire l'impegno (agone)
della vita cristiana.
Il profeta Zaccaria (attivo nel 520-518 a. C.): "Non con la potenza ne' con
la forza, ma con il mio spirito, dice il Signore degli eserciti" (4, 6b),
perche' e' piu' forte delle armi: "Quelli fanno ricorso ai carri e quelli ai
cavalli, ma noi al nome del Signore nostro Dio" (salmo 20, 8).
Dio odia e spezza le armi: spazza via carri e cavalli, infrange l'arco di
guerra e annuncia la pace alle genti (Zaccaria 9, 10). Dio "spezza l'arco,
frantuma la lancia, da' alle fiamme i carri di guerra" (Salmo 46, 10). "La
loro spada penetrera' nel loro cuore" (salmo 37, 15). "Nessun re puo'
salvarsi con la moltitudine dei suoi soldati... impotente e' il cavallo a
portare salvezza" (salmo 33,16-17).
Lo sterminio (herem) era una regola di guerra.
"Il re cananeo di Arad, che abitava il Negheb, appena seppe che Israele
veniva per la via di Atarim, attacco' battaglia contro Israele e fece alcuni
prigionieri. Allora Israele fece un voto al Signore e disse: 'Se tu mi metti
nelle mani questo popolo, le loro citta' saranno da me votate allo
sterminio'. Il Signore ascolto' la voce di Israele e gli mise nelle mani i
Cananei; Israele voto' allo sterminio i Cananei e le loro citta' e quel
luogo fu chiamato Corma" (Numeri 21, 1-3).
"Soltanto nelle citta' di questi popoli che il Signore tuo Dio ti da' in
eredita', non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo
sterminio: cioe' gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei
e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perche' essi
non v'insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e
voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio" (Deuteronomio, che e' un
libro di leggi, 20, 16-18).
Si possono vedere inoltre i seguenti molti passi: Genesi 7, 4; 1 Samuele 15;
Giosue' 10, 19-41; Sapienza 12; Salmi 7, 5; 18, 41; 106, 34; 143, 12;
Geremia 30, 11; 46, 28; 50, 21; Ezechiele 9, 1-11; Sofonia 1, 18; 3, 6.19;
Zaccaria 13, 2; Apocalisse 9, 18. E temo che non siano tutti. In I Samuele
15, Samuele ordina a Saul lo sterminio totale (uomini, donne, bambini,
animali) di Amalek; Saul risparmia il meglio degli animali, presi come
bottino, e Samuele lo accusa: non vale sacrificare a Dio gli animali, doveva
obbedire sterminandoli.
Lo sterminio e' il massimo disarmo materiale: non sono distrutte le armi
(utili come bottino), ma il popolo stesso nemico, i viventi stessi che
potrebbero usare le armi. Pero' la ragione per Israele non e' tanto bellica
quanto e' la necessita' di evitare radicalmente la contaminazione religiosa
con popolazioni idolatriche, per preservare la purezza della fede
monoteista. Probabilmente, secondo gli studiosi, lo sterminio e' piu'
proclamato e vantato che esercitato. Nel mondo di oggi questo "disarmo"
totale corrisponderebbe allo "scontro di civilta'", che si vale anche della
"pulizia etnica", in cui una incompatibilita' assoluta tra sistemi di valori
assolutizzati porterebbe all'annientamento culturale o fisico dell'altro
sistema per evitarne il contagio. Qui la violenza e' il linguaggio
sostitutivo del dialogo negato (2).
Gesu' e' chiaro: "Rimetti la tua spada nel fodero, perche' chi mette mano
alla spada di spada perira'" (Matteo 26, 52). Eppure si tratta della sua
propria difesa. Ci sono dei passi evangelici in cui sembra di capire che
Gesu' ha sentito pure la tentazione di usare la violenza, ma l'ha superata.
Non propone la distruzione, ma il non uso dell'arma, che si ritorce su chi
la usa.
I famosi "paradossi" (offrire l'altra guancia; dare anche la tunica; fare un
altro miglio di strada) del discorso della montagna in Matteo, sono stati
lungamente interpretati come atti di sottomissione paziente alla violenza,
rimettendo a Dio, in un altro mondo, ogni azione di giustizia. L'esegeta
americano Walter Wink, nel libro Rigenerare i poteri, discernimento e
resistenza in un mondo di dominio (Emi, Bologna 2003) da' alcune
interpretazioni interessanti, rivelatrici del fatto che quei consigli di
Gesu' offrivano una misura pratica e strategica per dare agli oppressi un
potere nonviolento e liberante (pag. 308).
Vediamo qui solo il primo di quei consigli: "Avete inteso che fu detto:
occhio per occhio e dente per dente. Io invece vi dico di non resistere al
male, anzi, se uno ti colpisce alla guancia destra, volgigli anche la
sinistra" (Matteo 5, 38-39).
Per capire bisogna conoscere il contesto: per colpire la tua guancia destra,
l'altro avrebbe dovuto usare la sinistra, il cui uso era vietato, riservato
ai soli compiti impuri. Dovendo quindi usare la destra, il colpo sulla
guancia sinistra poteva essere solo un manrovescio. Questo colpo, piu' che
una percossa inflitta in una rissa tra pari, era un'umiliazione, destinata
agli inferiori: schiavi, figli piccoli, donne. Gesu' parlava a povera gente,
che conosceva bene questa umiliazione. Ora, offrire l'altra guancia era
privare l'oppressore della sua pretesa superiorita'. Era come dirgli: "Prova
ancora. Io non ti riconosco il potere di umiliarmi. Sono pari a te. Tu non
riesci ad offendere la mia dignita'". Questa reazione avrebbe messo
l'offensore in difficolta': come puo' colpire ora (ovviamente con la propria
destra) la guancia sinistra presentatagli? Non piu' con un manrovescio
(impossibile), ma col palmo della mano destra, come farebbe in una rissa con
un proprio pari. Anche se facesse flagellare l'inferiore per quella
reazione, questi avrebbe comunque mostrato in pubblico la sua uguaglianza
naturale con chi si crede superiore. Il prepotente ne esce umiliato. Un
debole ha impedito a un prepotente di svergognarlo, ed anzi ha svergognato
lui. Dira' Gandhi: "Il principio dell'azione nonviolenta e' la
non-collaborazione con tutto cio' che si prefigge di umiliare". Gli altri
due casi (la tunica e il miglio di strada), visti nel contesto storico reale
(morale ebraica del corpo; occupazione militare romana), hanno uguale
significato: sono vere armi nonviolente di riscatto della dignita' offesa.
La nuova legge dell'amore e del perdono non ignora la verita' (cosi' come la
riconciliazione non puo' avvenire che su base di verita': vedi il recente
caso sudafricano). Se questa interpretazione di Wink e' corretta, Gesu' non
si limita a superare le legge del taglione (vendetta regolata), tanto meno
esorta semplicemente a disarmarsi davanti alla violenza, ma e' un geniale
ideatore di tecniche di lotta nonviolenta per la giustizia.
*
2) Nei miti greci
Irene, la Pace, porta in braccio Pluto bambino, la ricchezza; non c'e' nulla
nell'iconografia di Irene sulla neutralizzazione-distruzione delle armi.
L'Iliade, secondo Simone Weil, e' il poema della forza (qui nel senso di
violenza), che uccide ancor prima di uccidere, in quanto domina con la
minaccia; ma anche poema della violenza in quanto sempre punita dal destino:
"Ares e' equanime e uccide quelli che uccidono". E' la Nemesi (centrale nel
pensiero greco). Omero descrive la forza (violenza, armi), ma anche ne
denuncia l'assurdo con amarezza, e circonda di pieta' le sue vittime, che
sono tanto i vincitori quanto i vinti, ugualmente miseri. C'e' il fascino
delle armi scintillanti, ma anche pieta' per il dolore che danno. Albeggia
il problema del salvarsi - dis-armarsi? - da questo inganno.
Alcune opere recenti (3) riprendono il tema del fascino della guerra, che,
per essere superato, deve essere considerato sul serio e vinto scoprendo
anche la bellezza e non solo il dovere della pace. Per altro verso, l'opera
citata di Drewermann, sociopsicologo, sottolinea in molte pagine "la
deformazione dell'umano" determinata dal sistema militare in se stesso.
*
3) Nei miti orientali
Nelle culture orientali troviamo esempi di disarmo morale.
Sulla vittoria in guerra, Buddha (VI a. C.; 565-486 circa a. C.) dice: "Fra
chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se
stesso, costui e' il migliore dei vincitori di ogni battaglia". Dunque,
lotta, si', ma contro se stessi, con armi morali.
"La vittoria alimenta inimicizia, perche' chi e' vinto giace dolente. Chi ha
abbandonato vittoria e sconfitta, costui rista' tranquillo e felice" (4).
Di Lao-tzu (sec. VI-V a. C., fondatore del taoismo, alternativo al
confucianesimo) (5), leggiamo: "Le armi sono strumenti nefasti di cui un
principe saggio si serve solo controvoglia, e per necessita', perche'
preferisce una pace modesta a una gloriosa vittoria. Non bisogna giudicare
che una vittoria sia un bene. Chi lo facesse, mostrerebbe d'aver cuore
d'assassino. Che un simile uomo regni sull'impero non sarebbe opportuno...".
"Dove le truppe fecero soggiorno cola' non nacque mai altro che sterpi e
spine. E dopo i grandi eserciti ci furon sempre anni di carestia. E il buon
condottiero vince e si ferma, non ardisce per questo usurpare potenza. Vince
e non se ne gloria. Vince e non se ne vanta. Vince e non se ne estolle.
Vince perche' costretto. Vince ma non pero' per farsi grande".
Asoka, imperatore dell'India antica (buddhista, 270-265 fino circa 240 a.
C.), sconvolto dalle proprie sanguinose guerre, decreta una tolleranza
religiosa attiva a favore di tutte le comunita' religiose, e nonviolenza
verso tutti gli esseri, anche gli animali.
La Bhagavadgita (tra i testi piu' venerati della tradizione indiana, attorno
all'inizio dell'era volgare), sembra esaltare il dovere della guerra,
perche' Krishna supera l'esitazione e la ripugnanza di Arjuna a combattere
contro i propri parenti. Pero', l'oggetto non e' tanto la guerra, quanto
l'azione distaccata: sarebbe dunque come una parabola per insegnare l'azione
doverosa senza attaccamento al risultato. Gandhi considerava come proprio
vangelo una parte centrale (II, 54-72) di questo testo, e vi vedeva la
vacuita' della guerra e della vittoria.
*
4) Nella storia romana
Cogliamo un frammento dalla storia romana. "Tito Livio narra come Scipione
dopo la conquista di Cartagine Nuova (in Spagna, nel 209 a. C.; oggi
Cartagena) non solo trattasse bene i prigionieri ma dava ordini di
proteggere con rispetto e col massimo riguardo le donne, ribadendo che tali
erano i principi e il costume del popolo romano, 'perche' nulla sia presso
di noi oggetto di offesa, di cio' che in ogni luogo e' considerato
inviolabile'. Sia il valore attribuito al nemico, sia l'interesse
all'alleanza e alla costruzione di una civilta' di relazioni, non permise
l'accadere di alcuno stupro di guerra ne' di episodi di umiliazione dei
vinti" (6). E' un caso - raro - di rinuncia (piu' che autodisarmo)
dell'arma-stupro.
*
5) Nel pacifismo medievale
La tregua di Dio nelle feste settimanali e annuali non e' un disarmo, ma un
"armi-stizio", una fermata delle armi per incompatibilita' tra giorni sacri
e guerra, tra religione e guerra: qui una cultura religiosa confessa che la
religione deve disarmare. E' quasi un anticipo profetico - o anche
ipocrita - di cio' che un giorno dovra' essere. C'e' un'analogia con
l'antica tregua olimpica.
Francesco e la crociata: nel 1219, egli va disarmato in quello che era visto
come "l'impero del male", tanto che era detto "malicidio" (Bernardo di
Chiaravalle), e non omicidio, l'uccidere gli infedeli considerati
malfattori. A Damietta sul Nilo, Francesco sta due settimane a colloquio col
sultano Kamil, trattato con rispetto e amicizia. E' pressoche' solo nel suo
secolo a pensare "il vangelo senza spada" (7). Quando Francesco "sposa" la
poverta' spiega al suo vescovo perplesso che se avesse possessi dovrebbe
avere armi per difenderle: la poverta' e' dunque disarmo delle relazioni
umane, armate dalla brama di ricchezza.
I Valdesi scelgono la nonviolenza della chiesa apostolica, condannano la
guerra, la crociata, la pena di morte, non portano armi, ma nei casi estremi
usano le armi se aggrediti, e a volte hanno ceduto, uccidendo inquisitori e
traditori (8).
*
6) Nel pacifismo moderno
Gli Anabattisti (ri-battezzatori), XVI secolo, furono ostracizzati
ugualmente da cattolici e da protestanti: rifiutando il battesimo dei
bambini delegittimavano la cristianita' sociologica come non cristiana.
Rifiutavano il sistema politico che usava violenze antievangeliche (armi,
pena di morte) legittimate dalla chiesa, e usava la chiesa come cemento
dell'unita' dell'impero. Vivevano disarmati, rifiutavano il potere militare,
politico, giudiziario. Testimoniavano la pace, piu' che costruirla. I
Riformatori li giudicarono un "nuovo monachesimo" (Lutero) e irresponsabili
perche' abbandonavano la politica agli increduli, vera eresia politica.
Un pacifismo pio' radicale e manicheo appare negli Articoli di Schleitheim,
VI articolo, del 1527: "La spada e' un ordinamento divino fuori dalla
perfezione di Cristo... Il governo dell'autorita' costituita e' secondo la
carne, quello dei cristiani secondo lo Spirito... La sua cittadinanza e' in
questo mondo, quella dei cristiani nei cieli. Le armi del loro combattimento
e della loro guerra sono carnali e combattono soltanto contro cose umane; le
armi dei cristiani sono invece spirituali, contro le fortificazioni del
diavolo".
Menno Simons (circa 1496-1561; da cui i mennoniti): "O amato lettore, le
nostre armi non sono spade e lance, ma pazienza, silenzio e speranza, e la
Parola di Dio... Essi [i veri cristiani] hanno trasformato le loro spade in
vomeri d'aratro e le loro lance in roncole... e non impareranno piu' la
guerra".
Dunque, due tipi di armi: carnali o spirituali. E' disarmismo morale, non
propone una politica senza armi. Il pacifismo anabattista era rinuncia dei
cristiani alla vita politica, rinuncia a trasformare il mondo. Eppure, gli
anabattisti, nella storia della chiesa, sono quelli che hanno avuto il
maggior numero di martiri per la pace (9).
I Quaccheri hanno vita spirituale molto intensa, confidano nella "luce che
illumina ogni uomo" (Giovanni 1, 9). Il loro e' un pacifismo nonviolento, ma
attivo, dalle origini (XVI sec.) fino ad oggi (essi sono all'inizio delle
maggiori organizzazioni mondiali per la pace e i diritti umani). Non sono
tutti pacifisti dalle origini (qualcuno milita nell'esercito di Cromwell),
ma lo diventano per approfondimento religioso. Rifiutano le armi, ma si
assumono responsabilita' civiche con impegno storico-politico, obbediscono
alle leggi, salvo l'obiezione di coscienza.
William Penn (1614-1718) fonda lo stato della Pennsylvania: amicizia coi
pellerossa, liberazione degli schiavi (che portera' in seguito
all'abolizione della schiavitu'), liberta' di religione, Costituzione nel
1681, uguaglianza. Lo Stato quacchero dura 70 anni: la liberta' di
immigrazione pone i quaccheri in minoranza, sicche' il parlamento decide di
istituire un contingente militare! "Primo e unico stato che sia stato
fondato senza un esercito, che abbia quindi rinunciato all'uso della
violenza e alla sicurezza statale mediante la violenza".
Il 21 novembre 1660, emettono una dichiarazione pubblica al re Carlo II, in
vigore fino ad oggi: "Noi ripudiamo energicamente tutte le guerre e le
contese e ogni combattimento con armi materiali... e cio' tanto per il regno
di Cristo quanto per i regni di questa terra". Chissa' se il verbo
"ripudiare" nella Costituente italiana, art. 11, venne in mente grazie a
questa memoria...
In un Appello alle chiese cristiane di tutto il mondo (1923), scrivono: "La
piu' urgente delle riforme del nostro tempo e' di abolire la guerra, di
stabilire, ad esclusione di qualsiasi altro mezzo, misure pacifiche per
regolare le vertenze... Questi mezzi pacifici non potranno riuscire fino a
che le nazioni non avranno trasformato le loro spade in vomeri e non avranno
cessato di imparare la guerra" (10).
A proposito dei quaccheri, insieme ad altri grandi esempi storici, Aldo
Capitini scrive: "Gli storicisti debbono riconoscere che sul piano storico
non e' vero che il nonviolento perde sempre e il violento vince sempre, se
e' vero che... William Penn, quando si presento' con i suoi amici quaccheri
ai pellirosse senza alcuna arma, i capi gettarono via le proprie armi, e
sorse uno stato di pace, a differenza di tutti gli altri dell'America del
Nord. Esistono vittorie senza violenza" (11).
Erasmo da Rotterdam (1466-1536) vede nelle nuove armi (inizio del 1500) un
salto di qualita' che lo sconvolge: le artiglierie fanno stragi. "Gli uomini
sono nati inermi, eterno Dio, ma di quali mai armi li ha dotati il furore!
Con macchine infernali i cristiani assalgono i cristiani. Chi mai crederebbe
invenzione umana le bombarde?" (12). Come alternative alla guerra indica
l'arbitrato (specialmente del papa), le virtu' cristiane, ma non parla di
disarmo.
*
7) Nell'umanesimo cristiano
Anche Erasmo appartiene a quest'area. Paolo Ricca, nell'opera citata (pp.
129-130) giudica il pacifismo degli umanisti cristiani sia al di qua della
fede degli anabattisti, sia al di qua della politica come spazio proprio
riconosciuto da Lutero.
Bartolome' de las Casas (1474-1566), nominato "Protettore degli Indios",
denuncia le radici anticristiane del colonialismo, "disarma" la missione
evangelizzatrice nelle Americhe, contrastato dai coloni, ottiene da Carlo V
le Nuove leggi sulle Indie, nel 1542, ma inapplicate. "Il Cristo non ha dato
a nessuno il potere di costringere o di molestare gli infedeli che si
rifiutano di ascoltare la predicazione della fede o di accogliere i
predicatori nella loro terra" (13).
Nicola Cusano (1401-1464): nel De pace fidei, 1453, scritto sotto lo choc
della caduta di Costantinopoli, sembra voler disarmare in anticipo lo
scontro di "verita' religiose armate" del secolo successivo. Pur affermando
una maggiore luce di Dio nella fede cristiana, vede tutte le religioni,
anche l'ebraismo e l'islam, come parte di una comunita' credente universale;
accetta non solo la positiva varieta' dei riti, ma anche le diversita'
dottrinali come formulazioni diverse della verita'; cerca ogni possibile
argomento di accordo tra le fedi; dilata enormemente il concetto di
universalita' della chiesa cristiana invisibile, fino a tutta l'umanita',
fino a quelli che noi oggi diremmo non confessionali o non credenti; la sua
idea di tolleranza non e' negativa, non e' "sopportazione"; pur su una base
cristocentrica (perche' Cristo opera in tutti); vuole ridurre i conflitti
religiosi nella societa', tra ragione e fede, tra etica evangelica e etica
razionale (tanto che Federici Vescovini parla di "secolarizzazione"
anticipata, pur mettendo in guardia dal de-contestualizzare Cusano). Il suo
principio e' "exactam quaerere conformitatem est potius pacem turbare"
(pretendere una completa conformita' e' piuttosto turbare la pace). Le
religioni vanno intese e avvicinate come fattori di pace (14).
*
8) Il disarmo nel pacifismo contemporaneo
Norberto Bobbio (15) individua tra i tipi di pacifismo quello "strumentale",
che consiste in due distinte azioni:
a) distruzione o drastica limitazione degli strumenti bellici (dottrina e
politica del disarmo); e' il disarmo materiale progressivo;
b) sostituzione dei mezzi nonviolenti ai mezzi violenti (teoria e pratica
della nonviolenza, in particolare la dottrina del Satyagraha di Gandhi)
(16); e' il disarmo materiale quanto alle armi omicide, ma non e' disarmo
quanto alle armi umane della forza di resistenza.
I movimenti antimilitaristi, anti-armamenti - da Bertha von Suttner (17),
premio Nobel per la Pace (il primo conferito ad una donna) nel 1905 (siamo
quest'anno nel centenario!) fino al movimento antinucleare (nel 2005 ricorre
il cinquantesimo anniversario del grande manifesto Einstein-Russell), e al
movimento antimissili degli anni '80 - rappresentano il versante negativo,
animato anche da ben legittima paura, del movimento complessivo e positivo
della cultura della pace. Rappresentano un'iniziativa che sorge dal basso e
dall'interno delle societa' e delle loro articolazioni, non dalle
cancellerie e diplomazie.
*
9) Dichiarazioni delle chiese sul disarmo durante la guerra fredda
9. A) I documenti delle chiese evangeliche (18) riflettono un dibattito e
una ricerca attorno alla nozione di "guerra giusta" e al suo superamento,
dati i caratteri della guerra moderna. Quella nozione e' superata
definitivamente nella Conferenza mondiale di "Chiesa e societa'", Ginevra
1966, che indica linee concrete di coesistenza pacifica imperniata attorno
all'Onu.
La quinta Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Nairobi
1975, decise di "continuare l'esame di cio' che significa l'azione
nonviolenta in vista del cambiamento sociale e la lotta contro il
militarismo", avvio' un programma sulla corsa agli armamenti, dichiaro' che
la dottrina delle deterrenza e' uno degli "idoli" che i cristiani devono
"smascherare e sfidare".
Il Sinodo Generale della Chiesa Riformata d'Olanda, 1980, chiede chiaramente
la denuclearizzazione unilaterale del paese, affinche' il negoziato sia
unito a "passi che si situano gia' sulla via del disarmo";
La presa di posizione "piu' meditata e avanzata sulla pace" nell'ambito
delle chiese evangeliche, fino al 1982, e' la "Confessione di fede in Gesu'
Cristo e la responsabilita' della Chiesa per la pace", dell'Alleanza
Riformata della Repubblica Federale Tedesca: la questione della pace mette i
cristiani davanti all'alternativa di confessare o rinnegare l'Evangelo.
Questo punto di vista suscito' un dibattito vivacissimo tra i teologi e
nelle chiese. Il documento indicava molte misure precise, sebbene caute, sul
disarmo, come "primi passi" necessari e doverosi, con un richiamo favorevole
al precedente documento olandese: "Dato che si e' rivelato impossibile
compiere tali passi mediante accordi multilaterali, questi devono essere
compiuti unilateralmente".
La sesta Assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Vancouver,
1983, respinge il concetto di deterrenza; definisce gia' la sola "produzione
di armi nucleari un crimine contro l'umanita'"; invita "cristiani e non
cristiani a rifiutare ogni forma di collaborazione o di lavoro nell'ambito
di progetti che riguardano la guerra o gli armamenti nucleari"; dice che
devono essere "accolti con gioia... tutti i mezzi che conducono al disarmo",
anche le "iniziative unilaterali".
*
9. B) Dichiarazioni della chiesa cattolica.
Nel cristianesimo delle origini troviamo il rifiuto delle armi, o almeno del
loro uso in guerra; poi avviene un accomodamento con la difesa dell'impero
cristiano, e sant'Agostino costruisce la teoria della "guerra giusta"
(meglio: giustificata a determinate condizioni), che dura fino al '900.
Nel 1963, Giovanni XXIII pubblica l'enciclica Pacem in terris, il primo
documento organico sulla pace dai tempi di S. Agostino. Dichiara che e'
irrazionale - alienum a ratione - pensare che la guerra sia strumento adatto
a risarcire il diritto violato; che e' illusorio e pericoloso basare la pace
sull'equilibrio degli armamenti; li si riduca simultaneamente e
reciprocamente; e' necessario il disarmo integrale, cioe' anche degli
spiriti, perche' la pace si costruisce sulla fiducia reciproca.
Il Concilio Vaticano II (1962-1965), nella Costituzione Gaudium et Spes
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, elogia la difesa nonviolenta
(disarmata) (n. 78); non e' scusabile l'obbedienza a ordini criminali
perche' contrari al diritto delle genti; le leggi provvedano umanamente a
chi per motivi di coscienza rifiuta l'uso delle armi mentre accetta un altro
servizio alla comunita'; non si puo' negare ai governi il diritto alla
legittima difesa, in mancanza di una autorita' internazionale efficace;
anche i militari che fanno il loro dovere concorrono alla stabilita' della
pace (n. 79); la guerra moderna va considerata con mentalita' completamente
nuova; ogni atto di guerra che mira a distruzione vasta e indiscriminata e'
delitto e va condannato con fermezza (n. 80). Il Concilio si astiene dal
condannare la dissuasione nucleare, ma dice che la corsa agli armamenti e'
una delle piaghe piu' gravi dell'umanita', danneggia i poveri, produrra'
stragi (n. 81); dobbiamo con impegno preparare quel tempo nel quale,
mediante l'accordo delle nazioni, si potra' interdire del tutto qualsiasi
ricorso alla guerra, una volta istituita una efficace autorita' pubblica
universale; tutti devono impegnarsi per far cessare la corsa agli armamenti,
non unilateralmente, s'intende, ma con uguale ritmo, con accordi e garanzie
(n. 82).
Manca dunque una condanna totale della guerra e anche della dissuasione
nucleare (per le pressioni dei vescovi statunitensi: era in corso la guerra
del Vietnam), ma la condanna relativa e' l'unico giudizio del genere in un
concilio non dottrinale, ma tutto pastorale, che non emette alcuna altra
condanna (19).
Paolo VI (papa dal 1963 al 1978), richiamandosi alla lezione della Pacem in
terris di Giovanni XXIII, davanti all'Assemblea dell'Onu, il 4 ottobre 1965,
affermava: "Alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e
pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volonta',
bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono gia' segnate davanti a
voi; la prima e' quella del disarmo".
Nel 1976, Paolo VI giudica errore di ottimismo il disarmo unilaterale: "Il
disarmo o e' di tutti o e' un delitto di mancata difesa" (20). In questo
pensiero, la difesa militare e' concepita come l'unica forma di difesa.
Giovanni Paolo II, nel messaggio all'Angelus del 13 dicembre 1981: "Di
fronte agli effetti scientificamente previsti come sicuri di una guerra
nucleare, l'unica scelta, moralmente e umanamente valida, e' rappresentata
dalla riduzione degli armamenti nucleari, in attesa della loro futura
eliminazione completa, simultaneamente effettuata da tutte le parti" (21).
Nel 1976 e' presentato all'Onu il documento La S. Sede e il disarmo. Esso
ribadisce i principi finora affermati, rilancia la "pace mediante il
diritto", quindi l'importanza dell'Onu per l'effettiva integrazione politica
dell'umanita'. La parte piu' nuova e rivoluzionaria e' quella finale, che
postula una "nuova filosofia" e una "nuova teologia" della pace: "La
strategia del disarmo... deve appoggiarsi su una visione etica, culturale e
spirituale"; richiede una riflessione approfondita filosofica e teologica
"circa la nozione di 'legittima difesa', il concetto di 'nazione', di
'sovranita' nazionale', troppo spesso concepita nei termini di un'autarchia
assoluta" (22).
Giovanni Paolo II, nel discorso pronunziato il 12 novembre 1983 per la
sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, dedicata al
tema: "La scienza al servizio della pace ", disse tra l'altro: "I profeti
disarmati sono stati oggetto di irrisione in tutti i tempi, specialmente da
parte degli accorti politici della potenza, ma non deve forse oggi la nostra
civilta' riconoscere che di essi l'umanita' ha bisogno? Non dovrebbero forse
essi soli trovare ascolto nella unanimita' della comunita' scientifica
mondiale, affinche' siano disertati i laboratori e le officine della morte
per i laboratori della vita? Lo scienziato puo' usare della sua liberta' per
scegliere il campo della propria ricerca: quando in una determinata
situazione storica e' pressoche' inevitabile che una certa ricerca
scientifica sia usata per scopi aggressivi, egli deve compiere una scelta di
campo che cooperi al bene degli uomini, all'edificio della pace. Nel rifiuto
di certi campi di ricerca, inevitabilmente destinati, nelle concrete
condizioni storiche, a scopi di morte gli scienziati di tutto il mondo
dovrebbero trovarsi uniti in una volonta' comune di disarmare la scienza e
di formare una provvidenziale forza di pace. Dinanzi a questo grande malato,
in pericolo di morte, che e' l'intera umanita', gli scienziati, in
collaborazione con tutti gli altri uomini di cultura e con le istituzioni
sociali, devono compiere un'opera di salutare salvezza analoga a quella del
medico, che ha giurato di impegnare tutte le sue forze per la guarigione
degli infermi". Si trattava di un chiaro invito all'obiezione di coscienza -
rifiutare la ricerca a scopi di morte; disarmare la scienza - rivolto a
scienziati e ricercatori. Non risulta una risposta significativa a questo
appello.
Nell'indice del volume citato di Cavagna e Mattai, sono indicativi gia' i
titoli (dati dai curatori del libro) di alcuni dei vari documenti di singoli
vescovi o di conferenze episcopali sul disarmo, negli anni '70 e '80: "Oltre
la sicurezza delle armi", "E' preferibile il rischio del disarmo", "Le armi
sono una minaccia, non una garanzia", "Via le armi nucleari dall'Europa",
"Disarmo unilaterale e obiezione fiscale".
*
10) Oggi
Oggi c'e' un movimento mondiale anti-nuova-guerra, che e' guerra costituente
normale della politica, col professionismo militare, con i legami stretti
indissolubili tra economia e guerra (economia che produce guerra, guerra che
difende un assetto economico), col disprezzo del diritto internazionale
limitativo della guerra (23).
Ieri l'equilibrio del terrore creava il terrore dello squilibrio fatale,
catastrofico.
Oggi lo squilibrio di potenza crea nei popoli la volonta' di limitare la
potenza e di opporsi alla imperiale volonta' di potenza.
Mi pare di vedere una evoluzione: dalla paura delle armi (specialmente delle
armi di distruzione di massa; ma il maggior numero di vittime e' opera delle
armi leggere) alla critica e opposizione alla cultura delle armi, mediante
lo sviluppo di alternative non armate e nonviolente nella gestione dei
conflitti; dalla critica dell'apparato militar-industriale alla critica dei
fondamenti psichici, morali, ideologici, religiosi della cultura di guerra.
Riascoltiamo Panikkar: "Il compito della filosofia nel momento attuale...
consisterebbe, a mio parere, nel disarmare la ragione armata" (24).
(Parte prima - segue)

ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO
PARTE SECONDA)

III. Chi disarma chi?
Nell'azione di disarmo, se chi disarma e' diverso dal disarmato, abbiamo il
disarmo altrui, se il disarmante e' lo stesso disarmato, abbiamo il disarmo
proprio.
*
1) Disarmo altrui
Il vincitore disarma il vinto, il piu' forte indebolisce ulteriormente il
piu' debole, il piu' armato diventa al confronto ancora piu' armato.
La prima cosa che fa il vincitore al vinto nel conflitto violento e'
disarmarlo, per abolire il pericolo; un tempo lo legava come trofeo al
proprio carro, o lo riduceva in schiavitu'; oggi lo sottomette culturalmente
ed economicamente.
La prima cosa che il vinto cerca di fare e' riarmarsi e prendere la
rivincita.
Problema: col disarmo del vinto, il vincitore si assicura davvero una
stabilita' diseguale, una paralisi del debole? E', quel disarmo, il successo
e la sicurezza del vincitore? Oppure e' la sua illusione, perche' si innesca
la spirale M/m (maggiore- minore)?
Si innesca la spirale, perche' chi e' messo in posizione "m" e' provocato a
cercare di diventare "M" (teoria di Pat Patfoort); perche' il piu' debole si
sente minacciato e cerca sicurezza nel riacquistare forza; con cio' minaccia
la sicurezza del piu' forte. Infatti, la sicurezza o e' reciproca o non
c'e'; l'insicurezza dell'avversario e' la "propria" insicurezza. Sicurezza
insicura e' quella unilaterale; sicurezza sicura e' quella reciproca.
Negli anni '80, i pacifisti tedeschi dicevano: "La propria sicurezza sta nel
mostrare all'avversario la propria strutturale incapacita' di aggressione",
insieme alla capacita' di difendersi.
Esempio storico plateale della stoltezza del disarmare il vinto: la pace
punitiva di Versailles, 1919, gravida della guerra successiva.
Alternativa alla spirale e' l'equivalenza: cioe' l'uguaglianza di valore,
dignita', diritti, anche nella differenza di forza; e' la "pace di
soddisfazione" (Raymond Aron, Norberto Bobbio).
All'altro estremo, il piu' sicuro "disarmo del vinto" e' lo sterminio: tolte
non le armi soltanto, ma i corpi che usano le armi. Ma chi stermina la
memoria? E la memoria traumatica della sconfitta e' un'arma che prepara
armi: siamo di nuovo nella spirale. Anche la memoria degli indoamericani
sterminati dopo la Conquista oggi ritorna, dopo cinque secoli, e puo'
volgersi in guerra, oppure in rivendicazione nonviolenta, ma rivendicazione.
*
2) Disarmo proprio: a) degli individui; b) dello stato
a) Disarmo degli individui: sia spontaneo, sia imposto per legge.
I cittadini accettano di delegare esclusivamente allo stato l'uso della
forza (che non e' la violenza); rinunciano alla pericolosa autoprotezione,
perche' sono protetti dallo stato. Il riarmo dei cittadini e' piu'
pericoloso: si veda la differenza tra gli stati europei e gli Stati Uniti
d'America, dove gli omicidi privati sono molto piu' numerosi, anche a causa
della capillare diffusione di armi nella popolazione, e della mentalita' di
autodifesa immediata. Il disarmo individuale in Italia e' costituzionale: "I
cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi" (art. 17
Costituzione). Essere armati, "detenere armi", e' grave reato, salvo
speciale (rischioso) permesso di porto d'armi.
b) Disarmo dello stato, che puo' essere: b. 1) unilaterale ; b. 2)
preventivo, anticipato; b. 3) bilanciato, patteggiato; b. 4) dal basso.
*
b. 1) Disarmo unilaterale : negli stati senza esercito: la Pennsylvania
originaria; lo stato nonviolento preconizzato da Gandhi: non senza polizia,
ma senza esercito (25). Il Costarica dal 1949 ha abolito l'esercito; negli
anni '70 aveva 1.000 uomini nella polizia e 700 nella guardia costiera,
unici corpi armati (dati dell'Enciclopedia Garzanti, 1977); una
corrispondenza dal Costarica (26) informa che gli analfabeti sono solo il
4,2% (circa 30% nel Centroamerica); "Le nostre caserme sono le scuole" e' il
vanto dei costaricani; la speranza di vita e' di 77 anni (il piu' alto di
tutta l'America Latina); c'e' nel paese una presenza diffusa della polizia,
come azione preventiva; si danno 7 omicidi ogni 100.000 abitanti (che sono 4
milioni); il 25% della popolazione e' di immigrati accolti, che hanno
arricchito la cultura locale; il Costarica ha fatto una sola guerra nel 1856
contro avventurieri al soldo di ricchi statunitensi; il paese ospita
l'Universita' internazionale della pace. Ma nel 2003 governo di Abel Pacheco
approva la guerra degli Usa all'Iraq, con opposizione generale dell'opinione
pubblica.
Una forma di questo disarmo e' la rinuncia all'esercito. Il 26 novembre 1989
si e' tenuto in Svizzera un referendum sull'abolizione dell'esercito: il si'
ottenne il 35,6% (per il ministro della difesa sarebbe gia' stata una
catastrofe il 30%, che era il massimo previsto), con punte del 55,5 % nei
cantoni di Ginevra e del Giura (27).
La Lega per il Disarmo Unilaterale (Ldu), sorta in Italia negli anni '80,
ebbe tra i suoi esponenti piu' noti Carlo Cassola ed Ernesto Balducci.
Qualche brano dai testi di Cassola (Roma, 17 marzo 1917 - Lucca, 29 gennaio
1987) che si leggono nel sito www.nonluoghi.org : "Noi disarmisti siamo
accusati di essere sognatori fuori dalla realta'. Invece siamo i soli
realisti. Gli altri, i sedicenti realisti, sono solo struzzi che hanno
nascosto la testa sotto la sabbia per non vedere le conseguenze scellerate
della loro politica: l'imminente fine del mondo e l'attuale miseria del
mondo".
Ne La rivoluzione disarmista, Rizzoli, Milano 1983, Cassola scrive:
"L'utopia puo' diventare realta' solo mediante la rivoluzione. Un'evoluzione
graduale e pacifica e' impensabile: come puo' il male evolvere verso il
bene?". "Sono queste vecchie, stupide e malvagie istituzioni che ci portano
alla rovina. Dobbiamo distruggerle prima che sia troppo tardi. Non bisogna
distruggerle gradualmente (non ne avremmo il tempo) ma tutte d'un colpo.
Occorre un taglio netto col passato. Questo taglio netto e' appunto cio' che
chiamiamo rivoluzione".
Ernesto Balducci, che aderi' alla Ldu, ma non pensava una tale immediatezza
(vedi sotto il paragrafo sul Transarmo), diede alla sua antologia di testi e
documenti sulla pace nella storia, scritta con Ludovico Grassi, gia' citata,
il titolo La pace, realismo di un'utopia.
*
b. 2) Disarmo preventivo, anticipato col primo passo, iniziativa e sfida
alla descalation.
Gorbaciov inverti' (spontaneamente, sia per necessita' economica dell'Urss,
sia per responsabilita' verso il mondo) la crescita degli armamenti in
decrescita e sfido' Reagan a seguirlo.
Non e' disarmo unilaterale, ma e' fare il primo passo e attendere risposta,
provocando l'avversario davanti all'opinione mondiale. Se l'altro non
risponde, e' lui l'armista, perche' non ha piu' come scusa la crescente
minaccia dell'avversario.
Il disarmo preventivo, prima del massacro o del rischio piu' acuto,
corrisponde ad una saggezza animale, di sopravvivenza: gli animali della
stessa specie non arrivano per natura a sopprimersi: il piu' debole
riconosce e si sottomette, in cambio della vita. Dunque, ne' "meglio morti
che rossi", ne' "meglio rossi che morti", ma "meglio vivi che morti", con la
possibilita' di agire ancora per un vivere piu' giusto.
*
b. 3) Disarmo bilanciato, patteggiato, bilaterale.
E' questo il disarmo cercato da tutte le conferenze, trattative, accordi, ad
alto rischio di diffidenza, attendismo, immobilismo, inconcludenza.
*
b. 4) Si puo aggiungere un quarto tipo di disarmo dello stato: quello voluto
e preteso dal basso, da movimenti anti-guerra, anti-armisti (v. sopra II. B,
n. 8).
Oggi in Italia c'e' una campagna "controlarm": vedi i siti
www.controlarms.org; www.disarmo.org. Nel 1993 una proposta di legge di
iniziativa popolare tento' di tradurre in legislazione ordinaria il
principio costituzionale del ripudio della guerra (art. 11), anche con un
rigoroso controllo sugli armamenti e sui trattati internazionali. Di
recente, un forte contrasto e' stato opposto alla revisione liberista della
legge sul commercio delle armi del 1990.
La campagna internazionale contro le mine ha conseguito un relativo
successo, almeno per il futuro.
*
Quindi, il disarmo dello stato puo' anche distinguersi in totale (b. 1),
progressivo (b. 2), parziale (b. 3), democratico (b. 4).
*
IV. Disarmo come? disarmo quando?
Il come l'abbiamo visto: o libero (di iniziativa spontanea; contrattato) o
imposto dal vincitore al vinto.
Disarmo quando? Si tratta della modalita' tempo: o dopo l'uso delle armi, o
prima dell'uso delle armi. In questo secondo caso, possiamo avere un disarmo
concordato, oppure imposto preventivamente. Quest'ultimo e' il caso del
conflitto Usa-Iraq, sfociato in "guerra preventiva" nel 2003, col motivo di
togliere all'Iraq le armi di distruzione di massa (mai trovate dopo
l'occupazione). Puoi aggredire o addirittura devi farlo - se ne sei sicuro -
chi starebbe per aggredire altri?
La risposta al quesito non e' facile. Se rispondi si', diventi tu
l'aggressore. Direi almeno questo: come un cittadino qualunque, senza essere
pubblico ufficiale, puo' arrestare un ladro colto in flagrante, non certo
per ucciderlo o farlo linciare, ma solo per consegnarlo alla giustizia piu'
regolare che sia possibile, cosi' ha una legittima competenza ad agire sul
piano internazionale, stante la situazione di molta anarchia internazionale,
chi opera per fare evolvere questa situazione selvaggia nella direzione di
una organizzazione piu' civile e legale della convivenza tra i popoli, e non
mantiene soltanto, a vantaggio della propria maggiore forza, tale situazione
di assenza di legge.
Nel caso attuale, se gli Stati Uniti, che sono il 5% (cinque per cento!)
dell'intera umanita', lavorassero per l'autorita' dell'Onu, per il tribunale
penale internazionale, per la giustizia economica planetaria, per la
salvaguardia dell'ambiente naturale di tutta l'umanita' (che essi inquinano
piu' di tutti, e non intendono mutare il loro livello di consumi), allora la
loro azione di necessita', anche preventiva, contro i crimini internazionali
sarebbe credibile e scusabile. Ma davvero non e' questa la loro linea. La
regola superiore della loro azione e' il loro interesse particolare,
economico, energetico, culturale, strategico, geopolitico, "ignorando e
sprezzando del tutto il diritto internazionale" (Habermas, "il manifesto"; 5
febbraio 2005). Non sono degni, neppure nell'emergenza provvisoria, di
governare e giudicare il mondo. Indegni come sono, governano e giudicano il
mondo.
Ci si potrebbe chiedere proprio: chi e' il pericoloso da disarmare?
*
V. Disarmo quanto? quali armi? quale disarmo?
Riprendiamo la distinzione tra armi morali e armi materiali, per alcune
altre osservazioni su disarmo morale e disarmo materiale.
Il disarmo morale (quello di tipo non negativo ma positivo), e' la cultura
nonviolenta dei conflitti, l'educazione personale e sociale alla pace
nonviolenta.
La neutralita' non e' disarmo (infatti conserva le armi difensive) ma
impegno a non aprire ne' intervenire in conflitti armati (Lidia Menapace ha
elaborato una precisa proposta di neutralita' militare dell'Europa), quindi
acquistando una capacita' politica di mediazione.
Il disarmo psicologico e' uscire dal vittimismo, che vede solo la propria
sofferenza e offesa; e' arrivare al riconoscimento delle reciproche
sofferenze (come propone David Grossman, 8 febbraio 2005, per la conferenza
di Sharm el Scheik tra Israele e Palestina; e' il metodo della Scuola di
Pace di Neve' Shalom - Wahat as Salam, tra giovani israeliani e palestinesi;
e' il metodo del Parents' Circle, e di simili associazioni
israelo-palestinesi).
Infatti, l'arma psichica, l'essere psichicamente armati (rivolti contro; in
preda al bisogno di vendetta; disposti ad aggredire, offendere, distruggere)
consiste nel sentire la propria insopportabile offesa e nel vedere l'altro
unicamente come offensore, immune da dolore. Se invece lo riconosco anche
offeso e dolente, come mi sento io, perche' il conflitto fa soffrire
entrambi, allora nasce in me un sentimento di uguaglianza, di com/passione,
che e' l'inizio dell'uscita dalla separazione assoluta delle sorti,
caratteristica del conflitto distruttivo.
Nel conflitto violento, io infliggo una sofferenza che "non sento" perche'
non e' mia, ma e' "restituita", "scaricata" fuori, sul nemico; sento solo la
"mia" sofferenza, che mi da' "diritto" di scaricarla ad altri, al colpevole,
nella convinzione (illusione) di liberarmene cosi'. Se in una pausa, in cui
possono passare parole e sguardi tra me e il nemico (come avveniva talvolta
da una trincea all'altra, nella prima guerra mondiale, e il soldato
commetteva quel reato militare di "intelligenza col nemico", col quale
ritornava umano), riesco ad osservare anche la sofferenza del nemico, allora
comincio a "sentirla" in lui come in me, e cio' pone la base possibile del
parlare, trattare, fare pace-patto, perche' si partecipa di una profonda
comunanza umana, la sofferenza, che forse e' la piu' profonda delle
esperienze comuni a tutti, prima o poi.
Il disarmo materiale puo' riguardare le armi difensive, quelle offensive,
quelle di distruzione di massa.
Un programma di disarmo difensivo riguarderebbe l'esercito: mantenere il
minimo valutato necessario, senza rassegnarsi alla fatalita' del modello
armato come unico, ma considerarlo come da trasformare verso il modello
della difesa popolare nonviolenta.
Disarmo della polizia? Se appare ancora utopistico disarmarla completamente,
non e' utopistico educarla alla nonviolenza. Su una linea prospettata da
Gandhi (28), sono nate iniziative recenti, specialmente dopo i gravissimi
eccessi di violenza poliziesca a Genova nel luglio 2001, in varie citta',
fra le quali anche Palermo. Una proposta di legge e' stata presentata nel
2001 (vedi "La nonviolenza e' in cammino", negli anni 2001-2005).
Quanto alle armi offensive, non ci sarebbe nulla da dire: il principio
costituzionale (artt. 11 e 52) della assoluta limitazione degli armamenti
alla difesa legittima di popolazione, territorio, istituzioni - sebbene
ripetutamente e strutturalmente violato da tutti i governi della Repubblica
con l'alleanza nella Nato, fornita di mezzi aggressivi e recentemente
orientata ad interventi armati fuori area, col Nuovo Modello di Difesa (dal
1991 in poi), e persino con le guerre del 1999 e del 2003 - esige che la
Repubblica italiana non possieda armi offensive (tali sono, di loro natura,
tutti i sistemi aerei, navali, missilistici capaci di lunga gittata).
Le armi ABC, di distruzione di massa, a maggior ragione devono essere
ripudiate dall'Italia. Cio' puo' avvenire con accordi internazionali, con
"primi passi" unilaterali, con la denuncia degli accordi che coinvolgono
l'Italia nella possibilita' di uso di tali armi o anche solo nell'ospitarle
sul territorio nazionale, cio' che avviene in abbondanza.
In mancanza di simili accordi statali, sorge lo spazio per le obiezioni
personali di ogni cittadino fedele al concetto e alla politica di difesa
richiesti dalla Costituzione. Norberto Bobbio, nel gia' citato volume Il
problema della guerra e le vie della pace, (prima edizione, 1979), scriveva:
"Di fronte alla guerra termonucleare non possiamo piu' sostenere certe
tradizionali teorie di giustificazione della guerra, e siamo costretti a
riconoscere che essa e' incondizionatamente un male assoluto... Di fronte
alle prospettive della nuova guerra siamo, almeno in potenza, tutti quanti
obiettori (29) ... Quando nel concetto di arma rientra una bomba che, com'e'
noto, ha da sola un potere esplosivo superiore a tutte le bombe gettate
sulla Germania nell'ultima guerra, e' lecito domandarsi se il portar armi
non sia diventato un problema di coscienza per tutti" (p. 10, citando un
proprio articolo del 1962).
Un'affermazione cosi' netta sull'obiezione alla guerra nucleare e dunque -
parrebbe dalle parole citate - semplicemente alle armi di tale tipo, Bobbio
non la ripete nelle successive edizioni del libro 1984, 1991, 1997.
Le armi convenzionali costituiscono un problema non solo irrisolto, ma
neppure affrontato. Distinguiamole ancora in armi pesanti e armi leggere.
Sulle armi pesanti, vedi quanto detto sopra riguardo alle leggi sul loro
commercio, le limitazioni, il controllo dal basso.
Piu' che mai riguardo alle armi leggere, il problema e' tutto da affrontare:
il machete in certi casi (strage in Ruanda, per esempio) ha ucciso piu' del
fucile, percio' nasce dal basso la richiesta di trattare limitazioni anche
delle armi leggere (che sono le piu' facilmente diffuse).
Se vogliamo vederlo, c'e' anche il problema delle armi improprie (appunto il
machete), il quale rinvia quasi completamente alla responsabilita'
personale, all'educazione morale, al clima culturale, etico e politico.
*
VI. Transarmo
Il transarmo e' la trasformazione dell'armamento.
"Noi vorremmo il disarmo - diceva Galtung gia' durante la guerra fredda - ma
siamo minoranza e non l'otterremmo. Allora chiediamo che cambi l'armamento,
anche per maggiore sicurezza. Fra il riarmo e il disarmo c'e' il transarmo:
trasformazione dell'armamento da crescente a calante, soprattutto da
strutturalmente offensivo, aggressivo, a strutturalmente, esclusivamente
difensivo".
Scriveva Galtung: "Transarmo: processo di transizione da un modello di
difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza
esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso
della difesa popolare nonviolenta. Comporta un mutamento profondo della
dottrina di sicurezza militare e costituisce l'effettiva premessa per un
reale e duraturo disarmo generalizzato in quanto non si limita a proporre lo
smantellamento dei sistemi d'arma lasciando inalterato il meccanismo che li
genera, ma modifica il punto di vista, il paradigma e la dottrina militare"
(30).
"Collocherei la definizione della distinzione tra offensivo e difensivo in
uno spazio geografico: il sistema d'arma puo' essere usato efficacemente
altrove o solo nel proprio paese? Nel primo caso il sistema d'arma e'
offensivo, soprattutto qualora il termine 'altrove' comprenda paesi coi
quali si e' in conflitto. Nel secondo caso, e' difensivo, essendo operativo
solo quando si verifichi un attacco" (31).
Scrive Jean-Marie Muller: "Non si tratta tanto di reclamare il disarmo
quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa
prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e
della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di
transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo
concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono
essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino
delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi
rischi. Mentre la parola disarmo non esprime che un rifiuto, la parola
transarmo vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una
prospettiva negativa, il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La
sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella
misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza
esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione,
il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima
di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle
della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono
antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di
rendere possibili delle misure effettive di disarmo. Il transarmo mira a
creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una
difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata" (32).
Ho osservato che questo concetto di transarmo presentato da Muller
differisce un poco da quello proposto da Galtung e piu' noto in Italia,
citato sopra da Ambiente, sviluppo e attivita' militare. La nozione di
Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (33).
Tutto all'opposto del transarmo come passo di pace con la riduzione della
minaccia, e' il Nuovo Modello di Difesa programmato a partire dal 1991 e
messo in atto progressivamente da tutti i governi succedutisi in Italia
(vedi Appendice A).
In linea con la cultura del transarmo e' una proposta di programma per una
politica di pace piu' avanzata, presentata al leader dell'opposizione
italiana, Romano Prodi, a fine dicembre 2004 (vedi Appendice B).
*
VII. La guerra privatizzata, come disarmarla?
Ma ecco che, nel frattempo, si e' trasformata anche la guerra: privatizzata,
de-localizzata dalle istituzioni statali alle compagnie militari private;
senza ne' uno scopo politico razionale, ne' un rendiconto politico, ma solo
scopo di profitto economico; con occultamento dell'effetto-vittime,
difficile da sopportare in democrazia; vera interruzione e sostituzione
della politica con la guerra, e non sua continuazione.
"Il monopolio nazionale della violenza legittima organizzata e' stato
eroso... dal basso dalla privatizzazione della violenza organizzata, tipica
delle nuove guerre. A quali condizioni le istituzioni per la sicurezza nuove
o gia' esistenti saranno in grado di eliminare o rendere marginali le forme
privatizzate di violenza? La mia opinione e' che questo dipende da scelte
politiche e da come stabiliamo di analizzare la natura della violenza
contemporanea, nonche' da quale concezione della sicurezza adottiamo" (34).
Marco Revelli, sulla scorta di Ulrich Beck (Un mondo a rischio, Einaudi,
Torino 2003), parla di "individualizzazione della guerra". Per ragioni
scientifiche e tecnologiche, gli stati perdono il monopolio e il controllo
sulle armi, specialmente le piu' terribili, di distruzione di massa.
L'osservazione e' "devastante": chiunque puo' essere sospettato di essere un
terrorista, quindi deve accettare di sottoporsi a controlli "per motivi di
sicurezza": "alla fine, l'individualizzazione della guerra porterebbe alla
morte della democrazia" (Beck, cit., pp. 24-25). Di piu': l'impossibilita'
tecnica di monopolizzare tali armi destituisce di senso il paradigma
"securitario" della politica moderna. Il Leviatano torna ad essere "un
mostro tra gli altri mostri" della palude. Se fallisce, perche' diventata
"tecnicamente impossibile", "l'immunizzazione della societa' dalla violenza
attraverso la sua appropriazione totale" da parte dello stato, allora "non
c'e' piu' alcun motivo per riconoscere al potere sovrano la sua
'sovranita''". Nella "societa' globale del rischio" (Beck) salta l'intero
"nucleo normativo della modernita'", e questa societa' diventa la societa'
dell'incertezza e dell'insicurezza: c'e' una "indicibilita' istituzionale" e
discorsiva dei reali pericoli, che restano invisibili se non mediati, per la
loro forte valenza tecnica, da "esperti". Cosi' scompare tutta la sicurezza
della "prima modernita'". Il "paradigma politico dei moderni", che aveva
preteso di manipolare tranquillamente il negativo (violenza, distruttivita',
componenti del "terrore"), certo di saperlo orientare razionalmente verso
esiti voluti, si trova ora "ridicolizzato". "Il gioco del potere 'moderno' -
se non innovato alla radice - rischia di somigliare sempre piu' a un tragico
esercizio di apprendisti stregoni" (35).
Cioe', l'arma che sta per scoppiare in mano, va deposta per tempo, con una
cultura e un'idea della politica che sia disarmo.
Scrive Francesco Vignarca: "La maggiore preoccupazione e' che la
privatizzazione della guerra e la diffusione delle compagnie militari
private possano essere legittimate, divenendo una scelta politica di fondo,
senza passaggi condivisi e quasi solo 'per osmosi'... C'e' da temere che gli
stati in declino possano cedere in blocco alcuni pezzi di sovranita' e
inizino a pensare che per alcuni aspetti sia meglio abbandonare una gestione
diretta - e per questo, in ultima analisi, democratica - per favorire, al
contrario, un regime di azione privato ipoteticamente piu' conveniente,
forse solo in termini monetari".
Forse - continua Vignarca - e' gia' passata l'era, prevista, di nuove
compagnie di ventura e viene il pericolo di nuove compagnie coloniali, di un
"neocolonialismo multinazionale". Gli Stati, dopo aver pensato di servirsi
di queste entita' belliche private, potrebbero scoprirsi di colpo "semplici
strumenti nelle mani di una nuova forma di potere: transnazionale,
de-territorializzata e soprattutto di natura finanziaria e commerciale". "Il
pericolo grave... e' che le conseguenze, inconsapevolmente, le subiranno
soprattutto le popolazioni di tutti gli angoli del mondo, le quali, oltre a
trovarsi immerse in un conflitto permanente e globale, non sapranno nemmeno
piu' a chi rivolgersi per chiedere spiegazioni, dare responsabilita' o
cercare di cambiare le cose" (36).
E' facile dire che la privatizzazione della guerra, se e' un pericolo
intollerabile, va combattuta con provvedimenti piu' rigorosi di disarmo dei
privati: le armi leggere dovrebbero essere vietate come il maneggiare e
commerciare veleni. Le armi pesanti dovrebbero essere vietate come strumento
di strage evidentemente premeditata e predisposta, colta in flagranza.
Ma gli stati possono vietare la guerra che fanno loro stessi per interposti
banditi mercenari?
Guerra privata, non "pubblica", e' anche il terrorismo. A parte il problema
della sua definizione incerta, ma possibile, il piu' importante problema e':
come disarmarlo? Possiamo accennare, in modo del tutto schematico, a qualche
grande linea d'azione che la comunita' degli stati dovrebbe seguire:
- non armarlo prima, per servirsene, e poi trovarselo rivoltato contro;
- non dimostrare, contro ogni principio giuridico internazionale, che chi ha
la forza ha anche ragione, perche' questa e' la stessa logica del
terrorismo;
- non aggiungere armi ad armi, non competere in violenza, perche' cio'
alimenta la violenza selvaggia;
- tagliare le fonti finanziarie, in cui si e' complici;
- cercare canali per parlare, anche trattare, con i gruppi terroristici,
come via per riportarli dal muto colpire a-umano al parlare umano, sebbene
conflittuale;
- il disconoscimento e isolamento popolare toglie al terrorismo la sua
ragion d'essere, che non e' principalmente nel terrorizzare, ma nella
pretesa di interpretare l'esasperazione popolare per le ingiustizie; se il
popolo impara la lotta politica e nonviolenta sterilizza il terrorismo
organizzato.
*
VIII. Conclusione
Unico disarmo radicale ed efficace sarebbe il cambiamento culturale del
concetto di politica e di conflitto. Non e' impossibile: la cultura della
violenza e' cambiata nel tempo. Sono cresciuti gli strumenti della violenza,
ma e' meno accettabile la violenza diretta, manuale, corporale, un tempo
esibita, oggi occultata; la violenza diretta e' sempre piu' "delegata" alla
tecnica e ai "professionisti", e sta diventando meno gloriosa in se stessa e
soltanto funzionale alla violenza strutturale del dominio economico e
giuridico. La violenza culturale, esercitata nei media manipolati, e
l'ideologia della violenza come insuperabile fattore decisivo delle
relazioni umane, continua ad avallare disperatamente - cioe' senza speranza,
rinunciando alla possibilita' di un mondo umano diverso - le violenze
dirette e quelle strutturali, condannandosi a ripeterle. Il problema del
disarmo e' problema di concezione dell'uomo, di quale antropologia
accettiamo o cerchiamo, e' la ricerca dell'"uomo inedito", nascosto dentro
l'attuale "uomo edito" (Ernst Bloch, Ernesto Balducci). Sulla base di questa
ipotesi, che e' una scommessa a favore della vita e di un futuro umano, e in
obbedienza all'imperativo categorico formulato da Hans Jonas (37), Ernesto
Balducci poteva dire, come un'eco di Isaia: "Verra' il giorno che gli uomini
si vergogneranno di avere costruito le armi".
Un disarmo costruttivo, nelle sue varie forme, non e' la resa alla violenza
armata, non e' elusione del conflitto, ma processo che trasforma il
conflitto, togliendone la gestione e la decisione alla forza non-umana delle
armi che uccidono, minacciano e dividono, per affidarla a parole e gesti
umani: alla parola che mette in comunicazione e cerca le soluzioni piu'
razionali, condivisibili e costruttive; a gesti che depongono la minaccia e
creano possibilita' di fiducia.
Il disarmo sottrae il conflitto alla legge eliminatoria e sommaria della
morte artificiale, per affidarlo alla logica paziente, protettiva e
costruttiva della vita.
*
Note
1. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, Edizioni Cultura
della Pace, Fiesole (Fi) 1990, p. 47.
2. Cfr, tra gli altri autori, Eugen Drewermann, La guerra e' la malattia non
la soluzione, Claudiana, Torino 2005 (originale 2002), in particolare p.
103.
3. James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano 2005;
Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Feltrinelli, Milano 2004.
4. (Dhammapada, n. 103 e 201, in Aforismi e discorsi del Buddha, a cura di
Mario Piantelli, Tea, Milano 1988, pp. 398 e 409).
5. Taoteking, Il libro del Tao, n. 31 e n. 30.
6. Lucia Beltrami, Periculum iniuriae muliebris, citata da Tiziana Plebani
in "La nonviolenza e' in cammino", 6 febbraio 2005.
7. Ernesto Balducci, Francesco d'Assisi, Edizioni Cultura della Pace,
Fiesole (Fi) 1989, p. 99.
8. Cfr la relazione ancora inedita di Carlo Papini, La nonviolenza nel
valdismo medievale, tenuta nel convegno storico "Religione, violenza,
nonviolenza", Pinerolo, 28 gennaio 2005.
9. Le citazioni sono tratte da Paolo Ricca, Le chiese evangeliche e la pace,
Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1989, pp. 11-17.
10. Citazioni da Paolo Ricca, op. cit., pp. 29-37.
11. Aldo Capitini, La nonviolenza oggi, Edizioni di Comunita', Milano 1962,
ora in Aldo Capitini, Le ragioni della nonviolenza, antologia degli scritti
a cura di Mario Martini, Edizioni Ets, Pisa 2004, p. 136.
12. Erasmo, Dulce bellum inexpertis, n. 11, in Eugenio Garin, Erasmo,
Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1988, p. 117.
13. Bartolome' de Las Casas, Intorno all'unico modo di condurre alla vera
religione i popoli infedeli, citato in Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La
pace, realismo di un'utopia, Principato, Milano 1985, p. 38 e in Massimo
Toschi, Pace e Vangelo, Queriniana, Brescia 1980, p. 203.
14. Nicola Cusano, La pace della fede e altri testi, traduzione,
introduzione e note di Graziella Federici Vescovini, Edizioni Cultura della
Pace, Fiesole (Fi) 1993.
15. Norberto Bobbio, Prefazione alla terza edizione de Il problema della
guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1991, riportata nella quarta,
Il Mulino, Bologna 1997, pp. 2-3, e alla voce "Pacifismo", in Dizionario di
Politica, Utet, Torino, poi Tea, Milano 1990.
16. Norberto Bobbio Il Terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, pp.
154-155; v. anche Elementi di politica, Einaudi Scuola, Torino 1998, p. 173.
17. Bertha von Suttner (Praga 1843 - Vienna 1914), grande animatrice del
movimento per la pace tra '800 e '900, autrice del romanzo Abbasso le armi!
Storia di una vita, uscito a Dresda, 1892, prima edizione italiana, Treves,
Milano 1897, nuova edizione Centro Stampa Cavallermaggiore, 1996.
18. Cfr in Paolo Ricca, op. cit., pp. 137-191, documenti dal 1937 al 1983.
19. Angelo Cavagna, Giuseppe Mattai, Il disarmo e la pace, Edb, Bologna
1982.
20. Paolo VI, messaggio per la giornata della pace 1976, in Cavagna-Mattai,
cit., p. 92.
21. Cfr Cavagna-Mattai, cit., p. 92-93.
22. Ivi, pp. 102-103.
23. Cosi', per esempio, Habermas giudica la politica del governo Usa e degli
allineati, su "Il manifesto", 6 febbraio 2005.
24. Raimon Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, cit., p. 47.
25. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996, p. 144.
26. Articolo di Maurizio Campisi, "il foglio", n. 302, maggio 2003.
27. Si veda il capitolo L'esercito e' mortale, in Peter Bichsel, Il virus
della ricchezza, Marcos y Marcos, Milano 1990. I dati sono tratti da riviste
svizzere.
28. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p. 144.
29. Il corsivo e' di Bobbio, che ripete qui le ultime parole del suo
discorso Non uccidere, pronunciato a Torino il 4 dicembre 1961, ora in Il
terzo assente, Sonda, Torino-Milano 1989, pp. 139-142.
30. Johan Galtung, Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1984, originale Oslo 1982, p. 151.
31. Johan Galtung, Ci sono alternative!, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986,
originale 1984, p. 199.
32. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Plus - Pisa University Press, Pisa 2004, p. 206.
33. Jean-Marie Muller, ivi, nota del traduttore.
34. Mary Kaldor, Le nuove guerre, Carocci, Roma 1999, p. 159, citato in
Francesco Vignarca, Mercenari S.P.A., Rizzoli, Milano 2004, p. 243.
35. Marco Revelli, La politica perduta, Einaudi, Torino 2003, pp. 67-75.
36. Francesco Vignarca, op. cit., pp. 244-246.
37. Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo
tipo di soggetto agente, suonerebbe press'a poco cosi': "Agisci in modo che
le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di
un'autentica vita umana sulla terra", oppure, tradotto in negativo: "Agisci
in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilita'
futura di tale vita", oppure, semplicemente: "Non mettere in pericolo le
condizioni della sopravvivenza indefinita dell'umanita' sulla terra", o
ancora, tradotto nuovamente in positivo: "Includi nella tua scelta attuale
l'integrita' futura dell'uomo come oggetto della tua volonta'" (Hans Jonas,
Il principio responsabilita', Einaudi, 1990, p. 16).
(Parte seconda - segue)

ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO
PARTE TERZA E CONCLUSIVA)

Appendice A. Denuncia del Nuovo Modello di Difesa (Convegno "Nuovo modello
di difesa italiano", Torino, primo giugno 2000)
La difesa di un paese civile ed umano deve rispondere ad alcuni requisiti
inderogabili. Che cosa difendere? E come?
Che cosa difendere? Non ci sono piu' patrie separate, la sorte umana e'
ormai unica, la difesa dalle aggressioni deve essere globale, comune. E poi,
non ogni difesa e' lecita: lo e' solo la difesa dei diritti umani, comuni a
tutti, non quella del dominio di una parte, degli interessi stabiliti sul
privilegio e l'esclusione. La difesa di una situazione di ingiustizia non e'
difesa, ma offesa continuata.
Come difendere un popolo, la sua terra, le sue istituzioni? Non e' sempre
lecita la difesa militare, che uccide esseri umani ed espone il cittadino ad
ammazzare e ad essere ammazzato. Solo altre vite, non un interesse, non un
potere, valgono una vita umana. Il monopolio della difesa dato alle forze
armate indebolisce la societa', resa dipendente dall'esercito, istituzione
separata che si fonda sul segreto e sulla gerarchia autoritaria, che puo'
mancare lo scopo a carissimo prezzo (in ogni guerra c'e' un esercito
sconfitto), che ha un potere mortale usabile a fini eversivi (la storia di
troppi paesi lo dimostra in sovrabbondanza). Un esercito non puo' assicurare
la pace, perche' la vittoria militare (sempre aleatoria) non da' mai la
pace, ma e' solo l'anello di una faida, ed e' gravida di altra guerra, senza
dire dei rischi odierni delle armi totali.
Per questi motivi, non solo il pensiero pacifico, ma la Costituzione (art.
52) affidano la "difesa della Patria" anzitutto ad ogni cittadino, come
capacita' propria del popolo. La Corte Costituzionale (sentenza n. 164/1985)
afferma che il dovere di difesa puo' adempiersi in modo armato o non armato,
perche' esso "trascende e supera" la difesa militare. E' un riconoscimento
delle possibilita' della Difesa Popolare Nonviolenta, che non e' solo un
bell'ideale, ma una reale capacita' dei popoli, quando ne sono consapevoli,
attuata in molti casi storici con efficacia, nonostante l'impreparazione,
persino di fronte al nazismo, anche se finora troppo poco indagata dagli
storici, condizionati dall'atavica visione militarista dei conflitti. Posso
fornire ampia bibliografia storica a chi me la richiede. Sono oggi Difesa
Popolare Nonviolenta, per esempio, sia il servizio civile degli obiettori
che rifiutano l'addestramento alle armi, sia ogni forma di volontariato
nella tutela sociale dei deboli o nella solidarieta' tra i popoli.
Ora pero', senza che ne' il parlamento ne abbia mai discusso e deliberato,
ne' il popolo sovrano ne abbia preso adeguata coscienza, si sta attuando in
Italia una riforma dell'esercito che tradisce il concetto costituzionalmente
legittimo della difesa. I governi che si sono succeduti dal 1991, compreso
quello dell'Ulivo e quelli di centro-sinistra, tentano di elevare
progressivamente a legge il cosiddetto "Nuovo modello di difesa". Si tratta
di un progetto del Ministero della difesa, distribuito ai parlamentari
nell'ottobre 1991, contenuto in un libro bianco di 251 pagine, dal titolo
Modello di difesa. Lineamenti di sviluppo delle FF. AA. negli anni '90.
L'impostazione concettuale non e' sostanzialmente modificata ma ribadita
dall'Aggiornamento pubblicato nel 1993 dallo Stato Maggiore della Difesa.
Tutta la "filosofia" di quel progetto e' apertamente dichiarata nelle prime
70 pagine. Vi si dice che, caduto il muro Est-Ovest, il nuovo confronto e'
nell'area mediterranea "tra una realta' culturale ancorata alla matrice
islamica ed i modelli di sviluppo del mondo occidentale" (p. 15-16). La' e'
il nuovo nemico, il nuovo conflitto economico-religioso!
Il pericolo attuale, secondo il Nuovo Modello di Difesa, sta nelle tendenze
"al sovvertimento delle attuali situazioni di predominio regionale, anche
per il controllo delle riserve energetiche esistenti nell'area" (p. 21).
Quindi si vuol difendere un predominio! Tutto un paragrafo (pp. 27-33)
equipara i concetti di "interessi nazionali" e di "sicurezza", che sono ben
differenti: il primo indica un'attivita' speculativa ed espansiva, il
secondo una realta' vitale minima. Solo questo e' un diritto, solo esso
potrebbe, nella concezione tradizionale e costituzionale, compatibile con
l'eguale diritto degli altri popoli, giustificare una difesa militare.
Invece, il Nuovo Modello di Difesa afferma senza pudore che finalita' della
difesa e', dopo la salvaguardia dell'indipendenza e dei confini, la "tutela
degli interessi nazionali, nell'accezione piu' vasta di tale termine,
ovunque sia necessario" (p. 30). Non per nulla la Guerra del Golfo
(confessata cosi' come guerra di interessi e non di principi) e' presa come
l'"esempio emblematico" del nuovo concetto di difesa (p. 44).
Potrei portare molte altre citazioni a ribadire l'idea che regge tutto il
progetto: non la difesa di diritti umani, ma di uno stato di fatto, che
abbiamo "interesse" a mantenere. Si parla di sicurezza internazionale, in
realta' si difende con la ferocia delle armi la violenza strutturale del
Nord sul Sud. L'esercito italiano diventa un corpo di spedizione
neo-coloniale.
Perche' dobbiamo rifiutare quel punto cardine del Nuovo Modello di Difesa
che e' l'esercito professionale (pur con problemi che restano da discutere)?
Non solo per i maggiori costi innegabili, ma soprattutto perche', in questa
ipotesi, la guerra non e' piu' un'eventuale tragica necessita' (che puo'
presentarsi se non si predispongono mezzi nonviolenti di soluzione dei
conflitti), ma una funzione normale; non e' piu' ripudiata, come fa la
nostra grande Costituzione, ma legittimata. Quello delle armi diventa un
lavoro, una professione riconosciuta, come quella del boia: l'arte e la
tecnica dell'uccidere per incarico, da mercenari. E' ancora in grado il
nostro popolo di vedere e rifiutare questa vergogna?
Chi ha concepito quel progetto ha una mentalita' estranea e opposta ai
valori umani che stanno a fondamento della nostra Costituzione, alto frutto
delle sofferenze e della riconquistata dignita' dopo il fascismo e la
guerra, nel ripudio della politica violenta.
(Questa scheda e' la riduzione di un paragrafo del libro La politica e'
pace, Cittadella, Assisi 1998, pp. 153-158).
Post scriptum. - Analisi ben piu' ampie e dettagliate del Nuovo Modello di Difesa, sono state compiute anche da me negli anni successivi al 1991, e pubblicate su vari fogli impegnati. Indico soltanto: Quale nemico? Quale difesa?, in "il foglio" n. 215, dicembre 1994, e un testo precedente, piu' ampio, in "Tempi di fraternita'", n. 5, 1993. Per il carattere internazionale di queste politiche di difesa, si veda Germania. Intervento verso l'ignoto, in "Guerre e pace", n. 18, aprile 1995 (tradotto da "Der Spiegel", 13 febbraio 1995). Per una critica da parte militare, M. Dattolo, Lo stato democratico alla
prova del nuovo modello di difesa, in "Testimonianze", n. 375, maggio 1995,
pp. 81-87. Tra i libri, sono da segnalare: U. Allegretti, M. Dinucci, D. Gallo, La strategia dell'impero. Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di
Difesa. Presentazione di R. La Valle, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole
(Fi) 1992; AA. VV., Nuovo ordine militare internazionale. Strategie, costi,
alternative. Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993.
*
Appendice B. Bozza sintetica di proposte politiche avanzate dalla cultura
della nonviolenza (26 dicembre 2004)
Abbozziamo qui, senza alcuna pretesa di esaustivita', alcune proposte
politiche che si richiamano al "programma costruttivo" che Gandhi voleva che
accompagnasse sempre il rifiuto della violenza.
Politica estera - Secondo l'analisi di Luigi Bonanate (La politica
internazionale tra terrorismo e guerra, Laterza, Roma-Bari 2004) nell'ultimo
decennio la politica estera e' sempre piu' diventata "politica interna del
mondo" ed e' difficile distinguere tra interno ed esterno. Comunque, in
politica estera nel senso tradizionale, possiamo ravvisare due principali
priorita'.
1) La riforma delle Nazioni Unite in senso popolare, assembleare,
democratico, come proposto da vario tempo in sedi e da autori autorevoli,
perche' possano adempiere il loro compito di istituzione giuridico-politica
planetaria per la soluzione pacifica dei conflitti e l'effettiva messa al
bando della guerra.
2) La progettazione della transizione graduale dall'attuale modello di
difesa, strutturalmente aggressivo e offensivo per il tipo di armamenti,
funzionale alla guerra, produttore di guerra e di insicurezza, alla Difesa
Popolare Nonviolenta (in sigla: Dpn). La fase intermedia di questa
transizione (transarmo) vedra' convivere forme di difesa ancora militare ma
strettamente difensiva per il tipo di armamenti non minacciosi, con la
nascente Dpn e con la costituzione dei Corpi Civili di Pace (in sigla: Ccp;
proposta da Alex Langer nel Parlamento Europeo), di cui gia' oggi esistono
molteplici esempi spontanei, dal basso, coordinati dalla Rete dei Corpi
Civili di Pace (www.reteccp.org ).
Politicamente, questo significa riduzione programmata delle spese militari,
riconversione dell'industria bellica e degli eserciti. E' la tanto auspicata
politica minima del 5%: ogni anno, per un'intera legislatura, e poi per
quelle a venire, spostare il 5% del bilancio militare sulla alternativa
"difesa non armata e nonviolenta" (Legge 230/1998, art. 8-e). Se non si
programma in termini finanziari e organizzativi la pace come metodo nella
gestione dei conflitti, si resta nell'aria fritta della retorica della pace.
Oggi stiamo andando esattamente nel vecchio senso disastroso, tanto in
Italia quanto nell'Unione Europea, la quale dovrebbe scegliere la strada del
transarmo e della neutralita' attiva, disarmata, solidale e nonviolenta.
Politica interna - Individuiamo almeno tre principali priorita'.
1) Progettare la transizione dall'attuale modello di sviluppo ad alta
intensita' energetica e di potenza, con un impatto ambientale insostenibile,
a un modello a bassa potenza, centrato sull'uso di fonti energetiche
rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza energetica e su uno stile di vita
e consumi ispirato alla semplicita' volontaria e alla maggior gioia di
vivere che ne deriverebbe. Anche in questo caso, uscire dalla retorica
significa programmare la riduzione annuale del 5% dei consumi di
combustibili fossili e l'incremento, nella stessa percentuale, delle fonti
alternative. Il recente lavoro di Hermann Scheer (Il solare e l'economia
globale, Edizioni Ambiente, Milano 2004) e' l'esempio piu' concreto di tale
possibilita'.
2) La promozione e diffusione della cultura della nonviolenza attiva in ogni
campo: da quello mediatico a quello educativo, da quello accademico (con la
rottura dei paradigmi dominanti) a quello dell'immaginario collettivo
(artistico, musicale, progettuale, urbanistico). Questa e' un'azione
capillare dei movimenti nonviolenti, che continua in un leggero crescendo,
ma occorre farne una priorita' nei confronti di quella stragrande quantita'
di cittadine e cittadini che attendono un messaggio chiaro per uscire
dall'apatia e dalla rassegnata disperazione passiva davanti alla imponente
violenza bellica, economica, culturale.
3) La qualita' delle relazioni tra persone, generi, generazioni. Il vecchio
slogan femminista "il personale e' politico" e' quanto mai attuale: senza
"l'altra meta' del cielo" non avviene nessuna evoluzione nonviolenta. Di
fronte al "potere senza volto" del maschilismo, delle tradizioni violente
ereditate dal passato, della mafia e del capitalismo, lottare e' piu'
difficile che davanti al potere che ha un volto ed e' concentrato in gruppi
piu' facilmente identificabili. Eppure, e' proprio la violenza culturale, la
piu' profonda e grave, che va affrontata e scalzata per liberare
progressivamente la vita sociale dai suoi effetti: le violenze strutturali,
causa di sofferenze profonde, e quelle direttamente omicide.
*
Scheda - Dati sulle armi (Da "La nonviolenza e' in cammino", n. 837 , 11
febbraio 2005 [Dalla segreteria della Rete Lilliput (per contatti:
mservettini at lillinet.org) riceviamo e diffondiamo])
Alcuni dati
Ogni giorno, milioni di donne, di uomini e di bambini vivono nel terrore
della violenza armata; ogni minuto, uno di loro resta ucciso. Ogni anno in
Africa, Asia, Medio Oriente e America latina si spendono in media 22
miliardi di dollari per l'acquisto di armi, somma che avrebbe permesso a
questi paesi di ridurre la mortalita' infantile e materna (cifra stimata: 12
miliardi di dollari l'anno) ed eliminare l'analfabetismo (cifra stimata: 10
miliardi di dollari l'anno). Il totale delle spese militari mondiali in un
anno e' di 956 miliardi di dollari, mentre la spesa complessiva (in 11 anni)
per raggiungere gli obiettivi del millennio per lo sviluppo sarebbe di 760
miliardi: si raggiungerebbero spendendo solo il 10% in meno in spese
militari all'anno
L'Asia
In tutta la regione oltre il 50% delle armi viene venduto dai cinque membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, mentre solo 8 miliardi di dollari
sono inviati in queste zone come aiuti ufficiali allo sviluppo. L'Asia e' al
secondo posto, dopo il Medio Oriente, come maggiore acquirente di armi
convenzionali, secondo fonti del Dipartimento di Stato americano nel biennio
1990-2000 la regione ha comprato armi per un valore di 130 miliardi di
dollari. Inoltre:
- Corrisponde al 100% il livello di militarizzazione dal 1994 al 2001;
- Il 52% della popolazione non ha accesso alla sanita';
- Il 23% dei ragazzi e il 39% delle ragazze e' analfabeta;
- e' del 50% la percentuale di bambini con meno di 5 anni sottopeso;
- sono 284 i milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno.
L'Africa
Sono 7 milioni le armi leggere circolanti in Africa occidentale e oltre 30
milioni le armi leggere circolanti in tutta l'Africa, almeno una ogni 20
abitanti. L'80% di queste armi e' in mano a civili; e' del 47% l'aumento
delle spese militari dell'Africa Sub-Sahariana dal 1995 al 2001.
Gli aiuti allo sviluppo
Il totale degli aiuti allo sviluppo erogati nel 2002 dai paesi del comitato
assistenza sviluppo Ocse e' di 58 miliardi di dollari, contro i 192 miliardi
di dollari di vendite totali di armi delle cento maggiori compagnie
mondiali.
La spesa pro capite per aiuti allo sviluppo in Europa (nel 2002) e' di 61
dollari per ogni cittadino contro 358 dollari a testa in spese militari.
La spesa complessiva per il Progetto di Sviluppo del Millennio e' di 760
miliardi di dollari contro 1.200 miliardi di dollari del progettato Sistema
Difensivo di Missili Balistici Usa.
una giornata nelle botteghe del mondo per dire insieme no alle armi, si' ad
uno sviluppo umano e sostenibile basato sulla giustizia.
Per contatti:
- Francesco Vignarca, Segreteria Rete Disarmo, tel. 3283399267, e-mail:
segreteria at disarmo.org
- Paolo Chiavaroli, presidente Agices, tel. 3356914928, e-mail:
presidenza at agices.org
- Marco Bindi, Assobotteghe, tel. 3204398967, e-mail: wymarco42 at supereva.it
Il materiale di approfondimento e' disponibile nel sito www.disarmo.org
L'elenco botteghe aderenti in Italia e' disponibile nello stesso sito.
(Parte terza - fine)

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