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LA RABBIA E L'ORGOGLIO DEI CURDI SBARCANO SUL "FOGLIO": I RETROSCENA DI UN CASO GIORNALISTICO



Un nuovo attacco ai pacifisti dal quotidiano di Ferrara

LA RABBIA E L'ORGOGLIO DEI CURDI SBARCANO SUL "FOGLIO": I RETROSCENA DI UN 
CASO GIORNALISTICO

Mentre il mondo manifesta per la Pace, i curdi dell'Iraq e le associazioni 
italiane che li difendono gridano la loro impotenza contro il regime di 
Saddam, chiedendo con toni fermi una maggiore attenzione da parte del 
movimento pacifista. E i media con l'elmetto sguazzano nella polemica.

di Carlo Gubitosa - Associazione PeaceLink <c.gubitosa@peacelink.it>

Il 13 febbraio scorso un gruppo di organizzazioni dell'area pacifista ha 
lanciato alla vigilia della grande manifestazione di Roma una esplicita 
richiesta al movimento antiguerra: "noi non crediamo che il movimento 
contro la guerra, a cui noi apparteniamo, sia indifferente alle terribili 
sofferenze inflitte dal dittatore di Baghdad: ma allora bisogna dirlo forte 
e chiaro. Vorremmo che alla manifestazione del 15 febbraio, e a quelle che 
seguiranno, al nostro no senza condizioni alla guerra si aggiungesse 
finalmente il no senza condizioni anche a Saddam Hussein".

Questa lettera, indirizzata "alle donne e agli uomini, alle ragazze e ai 
ragazzi del movimento contro la guerra, ai loro leader, ai parlamentari, ai 
partiti e alle amministrazioni locali contro la guerra" e' stata firmata da 
Davide Issamadin (Comunita' kurdo-irachena in Italia), Abulilla Sahlan 
(Comunita' araba irachena), Sami Chachan (Comunita' assirobabilonese e 
cristiana), Graziella Bronzini (associazioni di solidarieta' con il popolo 
kurdo).

Le quattro organizzazioni firmatarie si chiedono "perche' il movimento 
contro la guerra non abbia ancora detto una parola di condanna dei crimini 
orrendi del regime iracheno, non ne abbia preso le distanze, non gli chieda 
conto delle terribili sofferenze inflitte al popolo kurdo e iracheno. Noi 
non riusciamo a spiegarci perche' un movimento pacifista e nonviolento 
rimanga in silenzio di fronte a una delle violenze piu' terribili della 
nostra storia. Se il carnefice diventa vittima, le vittime svaniscono nel 
nulla. e noi abbiamo di fronte una grandissima responsabilita', perche' non 
si puo' essere solidali con il popolo kurdo e il popolo iracheno senza 
chiedere che Saddam Hussein se ne vada".

Nel testo di questo messaggio e' contenuto un forte grido di denuncia 
contro i crimini commessi da "quel Saddam Hussein che, per sterminare il 
popolo kurdo, non ha esitato a massacrare migliaia di civili con le armi 
chimiche ad Halabja e nel Badinan, a radere al suolo 4.500 centri abitati, 
a imbottire con 20 milioni di mine antiuomo il territorio kurdo, a 
deportare piu' di 500.000 bambini, donne, uomini, di cui 182.000 
desaparecidos, a continuare indisturbato fino ad oggi l'arabizzazione 
forzata e la pulizia etnica della regione petrolifera kurda di Kirkuk. Quel 
Saddam Hussein, responsabile di una catastrofe umana e ambientale con il 
prosciugamento delle paludi nel sud abitato dagli sciiti, la loro 
deportazione a centinaia di migliaia e l'assassinio di decine di migliaia 
di essi".

Il messaggio polemico lanciato a nome delle vittime del regime iracheno non 
e' sfuggito a Cristina Giudici, collaboratrice del "Foglio", di "Vita", 
"Anna" e altri giornali, una giornalista che molti anni fa ha mollato tutto 
per raggiungere il Nicaragua, dove era in corso la rivoluzione sandinista. 
Dopo aver lavorato per tre anni in Nicaragua, lavorando per "Radio 
Insurrection", Cristina ritorna in Italia, e firma su "Vita" molti bei 
pezzi di scrittura "alla Gino Strada", che oggi farebbero inorridire il 
direttore del quotidiano per cui scrive. Un esempio tra i tanti possibili 
e' un duro servizio dell'ottobre 1997 sulla mancata conversione in legge 
della convenzione internazionale contro la Tortura, tuttora oggetto di una 
campagna lanciata da Amnesty International. "Un reato atroce come la 
tortura non e' neppure perseguibile -scriveva Cristina- Se i para' italiani 
[coinvolti nello scandalo della Somalia, Ndr] fossero colpevoli potrebbero 
quindi cavarsela con poco".

Tuttavia di qualcosa bisogna pur vivere, e se uno di mestiere fa il 
falegname accetta di costruire un tavolo su commissione, anche se questo 
tavolo e' brutto, scomodo e inutile. E' cosi' che molti giornalisti in 
gamba, dopo aver investito le loro passioni giovanili nella stampa sociale 
(che e' molto interessante ma poco redditizia) si ritrovano a lavorare su 
commissione creando pezzi brutti, scomodi e inutili per giornali che 
chiedono ai loro collaboratori solamente tre ingredienti fondamentali: 
polemica, sensazionalismo e denigrazione dei "nemici" politici.

Cristina mi telefona il pomeriggio del 20 febbraio, e dopo essersi 
presentata rompiamo il ghiaccio con un po' di chiacchiere, da cui mi sembra 
di scorgere una leggera insofferenza per la "linea politica" dell'ambiente 
in cui e' costretta a lavorare. Poi si arriva al sodo: "hai letto il 
comunicato dei curdi iracheni? Perche' i pacifisti non hanno risposto?" 
Gia' dalle prime domande capisco in che direzione si muove la sua 
intervista. Nel quadro di Cristina mancano solo le "tinte" e il "colore" da 
dare con qualche "virgolettato", ma il soggetto da dipingere e' gia' 
pronto: un movimento pacifista "a senso unico", incoerente e fazioso, che 
si nasconde dietro motivazioni etiche per combattere Bush e Berlusconi 
mentre i curdi vengono abbandonati al loro destino. Cio' nonostante, 
accetto di buon grado il mio ruolo di "scudo umano" mediatico, e per 
evitare che questa trappola dialettica venga rivolta a qualcuno piu' 
sprovveduto e strumentalizzabile di me, mi invischio in una conversazione 
di quaranta minuti spiegando che oltre alle realta' piu' "mediatiche" e 
"antagoniste" del pacifismo, che si occupano principalmente della critica 
strutturale al neoliberismo, all'"impero" americano e alle guerre provocate 
in nome dell'economia, esistono tantissimi gruppi e associazioni che si 
muovono in silenzio e senza proclami ufficiali accanto alle vittime di 
tutte le guerre e dittature; spiego che la proposta politica dei pacifisti 
non si limita ad una critica sterile ma comprende anche quel progetto di 
"Corpo Civile di Pace Europeo" sognato dall'Europarlamentare nonviolento 
Alex Langer e diventato nel 1999 una raccomandazione inascoltata del 
Parlamento Europeo rivolta agli stati membri dell'Unione; cerco di far 
capire che anche i media culturalmente avversi ai "movimenti" avrebbero 
tutto l'interesse a valorizzare la parte piu' seria, costruttiva e 
nonviolenta dei movimenti italiani, senza aggrapparsi agli inevitabili 
contrasti interni per screditare il pacifismo nel suo complesso; faccio 
presente che la questione curda, cosi' come quella cecena, tibetana e 
colombiana, sono da tempo oggetto di attenzione da parte delle associazioni 
di solidarieta' internazionale, consiglio la lettura del documento finale 
letto dal palco di piazza San Giovanni e nel quale si fa esplicita menzione 
della "dittatura e tirannia" che affliggono l'Iraq, segnalo i numerosi 
progetti di solidarieta' con la popolazione irachena (curda e non) 
realizzati a partire dal 1991 dall'associazione "Un Ponte per...".

Ma di tutto questo non rimane traccia, e il distillato di questi quaranta 
minuti di "radiografia del pacifismo" sono quattro righe che gettano 
benzina sul fuoco della polemica: "il movimento pacifista e' una galassia 
molto vasta. Ci sono quelli che hanno come unico obiettivo Bush e l'impero 
e quelli piu' seri, che da anni si battono contro ogni forma di violenza. I 
primi sono succubi dell'agenda politica di chi vuole dare la spallata alla 
maggioranza; i secondi stanno dalla parte di curdi, ceceni, tibetani, ma 
non trovano molto spazio sui media. Comunque io credo che la lettera di 
protesta degli iracheni sia un campanello di allarme che va ascoltato, 
perche'  mette in evidenza le contraddizioni del movimento".

A questo si aggiungono alcune ingenuita', inesattezze e veri e propri 
"colpi bassi" giornalistici. Sembra un po' scorretto affermare che davanti 
alla lettera aperta dei curdi "nessuno di quelli che quotidianamente 
scrivono su PeaceLink, un sito informativo dedicato alla non violenza, si 
e' sentito chiamato in causa", perche' e' proprio sulle pagine web di 
PeaceLink che la giornalista del "Foglio", per sua stessa ammissione, ha 
ritrovato il comunicato rivolto alle organizzazioni pacifiste.

Inoltre da una persona che ha scritto per un settimanale autorevole come 
"Vita" ci si aspetta che abbia almeno imparato a scrivere "nonviolenza" al 
posto di "non violenza", avendo compreso la differenza tra la semplice 
negazione della violenza e la parola unica usata in ambito pacifista per 
esprimere con un solo vocabolo la proposta di vita e di lotta formulata da 
Gandhi e Capitini.

Il vero e proprio sgambetto, pero' arriva con una maliziosa citazione che 
la Giudici definisce "un giudizio severo sui pacifisti".

Nel comunicato dei curdi si legge effettivamente che "ci viene da credere 
che i valori di democrazia e di liberta' che cosi' strenuamente difendete 
vi siano cari solo quando riguardano voi", ma quel testo aggiuntivo 
allegato al comunicato non si rivolge ai pacifisti, ma e' espressamente 
indirizzato "a chi ha stretto la mano a Tarek Aziz", quindi al Papa e ai 
politici nostrani che hanno incontrato il numero due di Saddam: Violante, 
Castagnetti, Boato, Rizzo, Intini, Pisicchio, Pecoraro Scanio e poi ancora 
Frattini, Mancino, Scalfaro, Dini, Cossutta, Buttiglione, Cossiga, 
Formigoni, e l'elenco potrebbe continuare. Come mai "Il Foglio" non ha 
chiesto conto anche a questi personaggi del loro silenzio colpevole sulla 
questione curda? Che dire... di fronte alle impietose regole 
dell'informazione "a tinte forti" la realta' piu' inquietante non e' un 
articolo che spaccia per verita' oggettiva una visione della realta' 
plasmata in base alle intenzioni del cronista, ma l'esistenza di un sistema 
dell'informazione ormai malato nel suo complesso, un "moloch" giornalistico 
che e' capace di fagocitare giornaliste giovani, dotate, avventurose e 
socialmente impegnate per trasformarle in mature artiste del gossip 
politico, capaci di confezionare dal nulla polemiche inesistenti con un 
cocktail di cellulari, posta elettronica, siti web e tanto, tanto mestiere. 
Cara Cristina, se fossi ricco e miliardario ti assumerei alle mie 
dipendenze per darti carta bianca e farti scrivere ancora di tortura e 
sudamerica, di miserie umane e battaglie civili. Purtroppo tutto quello che 
posso fare per te e' augurarti di riuscire a conservare (se ancora non le 
hai perse) quelle motivazioni pulite che ti hanno spinto al giornalismo, 
nell'attesa che il tuo percorso professionale incroci quello di un 
direttore piu' incline alle inchieste e meno alle risse verbali.

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ALLEGATO 1

IL COMUNICATO

Date: Tue, 18 Feb 2003 16:04:37 +0100
To: pace@peacelink.it
Subject: Kurdi irakeni in It.: Lett.aperta al movim. No War

Lettera aperta al movimento contro la guerra.

Da parte di :
p. La Comunita' kurdo-irachena in Italia - Davide Issamadin
p. La Comunita' araba irachena - Abulilla Sahlan
p. Le Comunita' assirobabilonese e cristiana -  Sami Chachan
p. Le Associazioni di solidarieta' con il popolo kurdo - Graziella Bronzini

13 febbraio 2003

LETTERA APERTA

Alle donne e agli uomini, alle ragazze e ai ragazzi del movimento contro la 
guerra

Ai loro leader

Ai parlamentari, ai partiti,alle Amministrazioni locali contro la guerra

Siamo contro la guerra senza se e senza ma. E siamo contro Saddam Hussein 
senza se e senza ma. Vorremmo che alla manifestazione del 15 febbraio, e a 
quelle che seguiranno, al nostro no senza condizioni alla guerra si 
aggiungesse finalmente il no senza condizioni anche a Saddam Hussein. La 
pace che invochiamo e che sta scritta sull'arcobaleno delle nostre bandiere 
in Iraq ora non c'e', perche' Saddam Hussein da trent'anni opprime il 
popolo iracheno con il terrore e la corruzione, il sangue e l'inganno, il 
carcere, la tortura e la morte per i suoi oppositori. Quel Saddam Hussein 
che, per sterminare il popolo kurdo, non ha esitato a massacrare migliaia 
di civili con le armi chimiche ad Halabja e nel Badinan, a radere al suolo 
4.500 centri abitati, a imbottire con 20 milioni di mine antiuomo il 
territorio kurdo, a deportare piu' di 500.000 bambini, donne, uomini, di 
cui 182.000 desaparecidos, a continuare indisturbato fino ad oggi 
l'arabizzazione forzata e la pulizia etnica della regione petrolifera kurda 
di Kirkuk. Quel Saddam Hussein, responsabile di una catastrofe umana e 
ambientale con il prosciugamento delle paludi nel sud abitato dagli sciiti, 
la loro deportazione a centinaia di migliaia e l'assassinio di decine di 
migliaia di essi.

Certo, il dittatore iracheno e' stato armato e sostenuto fino a ieri dai 
paesi occidentali e non solo. E allora? La loro complicita' con i criminali 
di Baghdad ne diminuisce forse le colpe? Ne fa forse degli innocenti? Noi 
non riusciamo a spiegarci perche' il movimento contro la guerra non abbia 
ancora detto una parola di condanna dei crimini orrendi del regime 
iracheno, non ne abbia preso le distanze, non gli chieda conto delle 
terribili sofferenze inflitte al popolo kurdo e iracheno. Noi non riusciamo 
a spiegarci perche' un movimento pacifista e nonviolento rimanga in 
silenzio di fronte a una delle violenze piu' terribili della nostra storia. 
Se il carnefice diventa vittima, le vittime svaniscono nel nulla. e noi 
abbiamo di fronte una grandissima responsabilita', perche' non si puo' 
essere solidali con il popolo kurdo e il popolo iracheno senza chiedere che 
Saddam Hussein se ne vada.

Noi non crediamo che il movimento contro la guerra, a cui noi apparteniamo, 
sia indifferente alle terribili sofferenze inflitte dal dittatore di 
Baghdad: ma allora bisogna dirlo forte e chiaro. E bisogna dire forte e 
chiaro che fintanto il clan di Tikrit rimarra' al potere non vi saranno ne' 
diritti, ne' pace, ne' liberta' per i due  popoli.

Se oggi c'e' ancora una possibilita' che la guerra non divampi, con tutto 
il suo strascico di orrore e di morte, e' quella che Saddam Hussein e i 
suoi complici chiedano perdono al popolo kurdo e iracheno di fronte a un 
tribunale internazionale che li giudichi per crimini contro l'umanita'. 
Questa richiesta non sarebbe un cedimento alla nostra opposizione alla 
guerra, anzi, perche' toglierebbe agli Stati Uniti e ai suoi alleati il 
maggiore pretesto per cercare di sconfiggere il terrorismo con le armi. 
L'amore per la pace che tutti condividiamo non puo' essere barattato con 
l'amore per la giustizia e la liberta'.

p. La Comunita' kurdo-irachena in Italia - Davide Issamadin
p. La Comunita' araba irachena - Abulilla Sahlan
p. Le Comunita' assirobabilonese e cristiana -  Sami Chachan
p. Le Associazioni di solidarieta' con il popolo kurdo - Graziella Bronzini

ALLEGATO

A chi ha stretto la mano a Tarik Aziz

Mentre le nostre comunita' erano riunite per ultimare la lettera aperta al 
movimento contro la guerra, abbiamo visto scorrere alla televisione le 
immagini disgustose dell'accoglienza a Tarik Aziz, uno dei maggiori 
criminali responsabili degli eccidi del popolo iracheno, citati nella 
lettera suddetta. Quelle immagini ci hanno mortificato profondamente e 
riempito di sdegno, perche' le mani che hanno stretto le mani di Tarik Aziz 
sono quelle che meglio conoscono il dramma del popolo iracheno, a cui in 
piu' occasioni hanno espresso solidarieta'. Noi, che siamo le vere vittime 
di quelle mani grondanti di sangue innocente, facciamo fatica a pensare, 
pur essendo contrari alla guerra sia per una scelta di principio, che per 
amore della vita e della liberta', che un criminale come Tarik Aziz sia 
accolto ad ascoltato come messaggero di una pace possibile in Iraq , che 
lasci al suo posto il regime terrorista di Saddam Hussein. E scusateci se 
ci viene da credere che i valori di democrazia e di liberta' che cosi' 
strenuamente difendete Vi siano cari solo quando riguardano Voi.

I firmatari della lettera aperta

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ALLEGATO 2

L'ARTICOLO

Fonte: Il foglio - 22 febbraio 2003

Senza se e senza ma? Ma se ne andassero a quel paese, i pacifisti a senso 
unico. Firmato: i curdi iracheni

La protesta "senza se e senza ma" dei pacifisti nostrani ha fatto infuriare 
i curdi e gli arabi iracheni che vivono in Italia. I rappresentanti 
dell'opposizione irachena, qualche giorno fa, hanno scritto una lettera 
aperta, dai toni piuttosto duri, al movimento No War. "Non riusciamo a 
spiegarci perche' il movimento contro la guerra non abbia ancora detto una 
parola di condanna dei crimini orrendi del regime iracheno", hanno scritto, 
"e rimanga in silenzio di fronte a una delle violenze piu' terribili della 
nostra storia. Se il carnefice diventa vittima, le vittime spariscono nel 
nulla: non si puo' essere solidali con il popolo curdo e iracheno senza 
chiedere che Saddam Hussein se ne vada". La lettera manifesta anche sdegno 
nei confronti di chi ha stretto la mano di Tareq Aziz "uno dei maggiori 
responsabili degli eccidi del nostro popolo" e conclude con un giudizio 
severo sui pacifisti: "E scusateci se ci viene da credere che i valori 
della democrazia e della liberta' che difendete cosi' strenuamente vi siano 
cari solo quando riguardano voi". L'accusa, inviata per posta elettronica 
ai siti web del movimento, non ha avuto pero' nessuna eco. Nessuna delle 30 
associazioni che comprendono la rete Lilliput si e' sentita interpellata; 
nessuno di quelli che quotidianamente scrivono su Peacelink, un sito 
informativo dedicato alla non violenza, si e' sentito chiamato in causa. 
Non si trova traccia della lettera irachena sul sito www. disobbedienti. 
org, ne' nella mailing list dell'associazione "Un Ponte per Baghdad", da 
sempre in prima fila sia contro l'embargo iracheno sia contro la 
repressione nel Kurdistan turco. Insomma la missiva e' stata completamente 
ignorata. Interpellati dal Foglio, i militanti della pace negano che 
l'indignazione curda abbia potuto provocare una sorta di silenzio 
imbarazzato. Dice Riccardo Troisi della rete Lilliput, l'ala moderata del 
movimento: "Siamo tutti d'accordo sul fatto che Saddam sia un dittatore e 
che vada disarmato in modo pacifico. Forse non c'e' stata alcuna risposta 
alla lettera perche' ne e' mancato il tempo. Lilliput e' una rete di 
associazioni che deve condividere ogni presa di posizione. Se arriva un 
documento, dobbiamo discuterlo prima di rispondere. Comunque alla 
manifestazione di Roma c'e' stata una condanna molto netta del regime di 
Saddam". Ma nel documento letto sabato scorso dagli organizzatori i 
riferimenti alla tirannia di Saddam sono stati molto vaghi. Citiamo: "Ci 
battiamo perche' democrazia e diritti umani siano affermati in tutto il 
mondo contro ogni dittatura e tirannia. Anche in Iraq". Secondo Carlo 
Gubitosa di Peacelink, la mancata risposta ai curdi iracheni e' dovuta al 
fatto che nessuno si e' sentito chiamato in causa. "Il movimento pacifista 
e' una galassia molto vasta. Ci sono quelli che hanno come unico obiettivo 
Bush e l'impero e quelli piu' seri, che da anni si battono contro ogni 
forma di violenza. I primi sono succubi dell'agenda politica di chi vuole 
dare la spallata alla maggioranza; i secondi stanno dalla parte di curdi, 
ceceni, tibetani, ma non trovano molto spazio sui media. Comunque io credo 
che la lettera di protesta degli iracheni sia un campanello di allarme che 
va ascoltato, perche' mette in evidenza le contraddizioni del movimento". 
L'autore della missiva e' Davide Issamadin, che si e' rifiutato di andare 
alla manifestazione di Roma. "Mi hanno invitato", dice, "ma quando ho 
chiesto di aggiungere al loro slogan contro la guerra anche un 'senza 
Saddam', mi hanno ignorato. Cosi' ho deciso di scrivere la lettera". 
Risposte? "Individuali tantissime, pubbliche nessuna. Molti mi hanno 
chiamato per dire che ho ragione, ma che ora la priorita' e' fermare la 
guerra e che devo aspettare. Ma sono trent'anni che aspettiamo... La 
verita' e' che la nostra critica ha creato imbarazzo e ora veniamo 
considerati degli appestati. I pacifisti ci hanno deluso. Qualche giorno fa 
ho sentito dire a uno dei loro leader che Saddam e' l'ultimo baluardo 
contro l'imperialismo. E' inaccettabile".

Cristina Giudici