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QUANTE RIGHE VALE LA VITA DI RODDY SCOTT?



Quante righe vale la vita di Roddy Scott?

La morte di un giornalista ci fa toccare con mano come il sistema mediatico 
sia ormai profondamente corrotto, e basato su regole non scritte che 
mettono il lavoro e la vita dei giornalisti in secondo piano rispetto 
all'efficacia dei risultati ottenuti.

di Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>

Mentre in Europa il ruolo della "minaccia mondiale" e' interpretato da 
Saddam Hussein, ad est del teatro mediatico allestito dal "figlio d'arte" 
Bush Junior c'e' Vladimir Putin, che sta conducendo la sua "guerra al 
terrorismo" in Cecenia, con gli inevitabili "effetti collaterali". Un 
effetto di questa guerra che e' stato talmente "collaterale" da essere 
totalmente ignorato dai mezzi di informazione e' la morte di Roderick John 
Scott, un giornalista britannico nato nel 1973 e morto in Inguscezia il 26 
settembre 2002, mentre cercava di documentare, forse troppo da vicino, le 
azioni dell'esercito russo contro i guerriglieri ceceni. Dalle scarsissime 
notizie su questo crimine di guerra ritrovate nelle pieghe dell'internet 
risulta che Roddy era un collaboratore della tv londinese "Frontline 
Television News", e portava con se' una videocamera, delle cassette, e un 
passaporto britannico con visto georgiano.

Quante righe vale la vita di Roddy Scott? Come mai questo giornalista non 
ha meritato neppure una delle lacrime che i "coccodrilli" della carta 
stampata hanno abbondantemente sparso per Maria Grazia Cutuli? Nessuno di 
questi "coccodrilli", tuttavia, si e' fatto sfuggire che anche Maria Grazia 
era una "freelance" come Roddy, e che in base alle indiscrezioni trapelate 
dai suoi colleghi il prestigioso "Corriere della Sera" avrebbe deciso di 
assegnarle ufficialmente la qualifica di "inviato" solamente dopo la sua 
morte, quasi come una "medaglia al valore". Quanti di questi coccodrilli 
della carta stampata sono pronti a rivelare che l'informazione ormai e' 
qualcosa di profondamente diversa dal giornalismo, e che la figura 
dell'"inviato" e' una specie destinata ad una rapida estinzione?

Ormai sono i giornalisti come Roddy e Maria Grazia che si "auto-inviano" 
nelle zone piu' "calde" del pianeta, cercando di "piazzare" il proprio 
materiale per recuperare le spese di viaggio ed eventualmente sbarcare il 
lunario guadagnando qualcosina. L'inviato iscritto ufficialmente sul libro 
paga del giornale, per vivere stabilmente in un paese raccontandone le 
vicende, ormai e' una figura professionale troppo costosa, facilmente 
sostituibile dalle agenzie di stampa internazionali. Molto meglio sfruttare 
questi ragazzini intraprendenti, che non hanno paura di avventurarsi in 
zone che non conoscono e vengono pagati solamente per il tempo strettamente 
necessario a "coprire" gli eventi di maggiore attualita', immediatamente 
rimandati a casa non appena un paese smette di "fare notizia".

Francesco Iannuzzelli, un giornalista italiano freelance che vive e lavora 
a Londra collaborando dall'estero con l'associazione "PeaceLink", ha 
commentato la vicenda di Scott mettendo in evidenza "il problema dei 
giornalisti freelance, che per pochi soldi, senza protezione e espondendosi 
ad alti rischi, si recano in zone molto pericolose; zone (e guerre) fra 
l'altro dimenticate dai grandi media (Bbc, Reuters e Cnn non hanno un 
giornalista in Cecenia), e cosi' i freelance diventano gli unici a fornire 
informazione e a rischiare la pelle, ma pur svolgendo un lavoro 
importantissimo vengono pagati un decimo dei giornalisti di grido, e quindi 
non possono permettersi l'attrezzatura necessaria per proteggersi. Il 
povero Scott era andato in Cecenia per 500 sterline... con un po' di soldi 
in piu' forse si sarebbe potuto comprare un giubbotto antiproiettile e si 
sarebbe salvato la vita".

Se la presenza dei media internazionali nelle zone a rischio e' scarsa, 
quella degli operatori dell'informazione italiani e' pressoche' nulla. In 
una zona vasta come l'Africa gli "inviati" della stampa e delle televisioni 
italiane si contano ormai sulle dita di una mano, e il loro lavoro dovrebbe 
servire a raccontare la vita di un'intero continente. Chi decide il destino 
dei nostri media preferisce farci raccontare le cose che accadono nel mondo 
dalle grandi agenzie di stampa internazionali, cosi' la "proprieta'" del 
giornale e' piu' contenta e alla fine dell'anno i bilanci si fanno quadrare 
piu' facilmente e a costi minori.

Probabilmente tra qualche settimana saremo costretti ad assistere alla 
rappresentazione di una nuova guerra, e il copione di questa commedia 
mediatica non sara' certo scritto dai ragazzi o dai giornalisti che avranno 
la fortuna di osservare i fatti con i loro occhi, ma tutto verra' deciso a 
tavolino nelle redazioni romane e milanesi, in base alle direttive di 
"sciacalli mediatici" panciuti che decidono cosa va in prima pagina e cosa 
"non piace al pubblico", pronti ad ignorare la morte di un collega per 
accendere i riflettori sulla banalita', sulla retorica e sulla propaganda 
di guerra.

In futuro non ci saranno piu' inviati che ci aiuteranno a guardare un paese 
con gli occhi di uno straniero che se ne innamora, non avremo piu' il 
Vietnam di Walter Cronkite, l'America vista da Calvino, il Medio Oriente 
narrato da Luigi Sandri, l'Africa dipinta dalla penna di Ryszard 
Kapuscinski, la Spagna raccontata da Ernest Hemingway. Per realizzare dei 
"prodotti editoriali" sempre piu' redditizi tutti i giornalisti saranno 
costretti a lavorare come formiche impazzite, girando il mondo di settimana 
in settimana senza acquisire le lingue, le culture, i contatti, gli agganci 
e le sensibilita' indispensabili per raccontare il cuore un paese senza 
fermarsi alla sua superficie.

Quando l'america andra' in Iraq, in televisione si vedranno molti 
collegamenti via satellite fatti dai balconi degli alberghi di Baghdad, ben 
lontano dall'epicentro degli eventi. Non siate astiosi con il cronista che 
apparira' sul teleschermo, e abbiate per lui un pensiero di umana 
solidarieta'. In fin dei conti, si tratta pur sempre di un esemplare in via 
di estinzione.

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Carlo Gubitosa e' un giornalista freelance che collabora con l'associazione 
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