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Ghana

Le polemiche avvelenano il riso

I ghaneani stanno rapidamente sostituendo i loro alimenti di base tradizionali con il riso, la cui produzione è però ostacolata dalla concorrenza dei paesi sviluppati che sovvenzionano la loro agricoltura.
Amos Safo

Una delle cose che maggiormente colpisce chi mette piede ad Accra è la quantità impressionante di locali e punti di ristorazione di ogni genere, da tutte le parti della città. Si va dai ristoranti di lusso in Oxford Street, nel quartiere di Osu, o in altre zone eleganti della capitale, ai baracchini mobili popolarmente chiamati “chop bars”, dove, prevalentemente, si grigliano spiedini e pannocchie di mais, che sono situati in punti strategici per catturare l’attenzione dei clienti di passaggio.

C’è, comunque, un piatto che accomuna i ristoranti di lusso e i chop bars, che va per la maggiore e spopola fra tutti i clienti. E’ il riso, che è diventato l’alimento più popolare in ogni ristorante e perfino cibo di base in molte case, rimpiazzando piatti tradizionali come il “fufu”, il banku, il kenkey, l’apkele e lo zafi. Di conseguenza, in Ghana, la produzione di riso è diventata da qualche anno a questa parte molto importante, un’attività economica primaria e strategica.

Recenti studi del Ministero dell’Alimentazione e dell’Agricoltura hanno rivelato che c’è più gente che si ciba di riso oggi di quanta non ce ne sia stata negli ultimi vent’anni. Alcuni economisti attribuiscono questo mutamento dei gusti dei ghaneani all’introduzione di piatti di cucina stranieri e ad una moda fatta propria dai giovani, specialmente. All’inizio degli anni ’70 il Ghana produceva abbastanza riso per il consumo interno da poterne anche esportare, ma, ora, per via dello scoppio dei consumi e della liberalizzazione senza freni, si trova ad essere un importatore netto di questo alimento. Si stima che il Paese spenda oggi, annualmente, 100 milioni di dollari per importare riso destinato al consumo locale.

Nel tentativo di rendere il Paese autosufficiente, l’anno scorso il governo ha riabilitato ettari di risaie ed attivato progetti di irrigazione in tutto il Paese, fornendo agli agricoltori linee di credito agevolate per coltivare più riso. Courage Quashigah, Ministro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura, durante una visita alle aziende risicole di Afife, nella regione del Volta, ha affermato che i risultati di questo sforzo sono stati soddisfacenti. Secondo il Ministro, il Ghana è stato in grado di produrre 30.000 tonnellate di riso per il consumo locale.

Il Ministro ha anche sottolineato che è stato raggiunto l’obiettivo del governo di ridurre le importazioni di riso di circa il 30%, a partire dai 100 milioni di dollari su cui, come si è detto, ci si è attestati negli ultimi anni. Il suo Ministero si aspetta che le importazioni possano calare ulteriormente, raggiungendo una produzione di 72.000 tonnellate l’anno venturo. La campagna del governo per favorire la produzione ed il consumo di riso locale ha raggiunto il suo apice il 15 maggio scorso, quando sono state lanciate sul mercato ben quattro nuove marche di riso, nel corso di altrettanti eventi tenutisi nella capitale. Si tratta della Yenmo, che letteralmente significa “il nostro orgoglio, il nostro riso” , la Omo Tou, la Gold e la Silver Star.

Il riso, oltre a porsi al centro dell’attenzione nei ristoranti, nelle cucine delle case e costituire un grosso problema per l’economia del Ghana, ha trovato perfino il modo di entrare nella vita politica del paese. Il 4 giugno di quest’anno alcuni Ministri dell’ex governo del National Democratic Congress (NDC ) hanno criticato quello attualmente in carica per essersi assunto indebitamente tutti i meriti dell’aumento della produzione di riso, quando, in realtà, le nuove attrezzature utilizzate nelle riserie sono state installate da una società privata, la Quality Grain Company.

Quest’ultima è una società guidata da una fantomatica industriale del riso americana di nome Juliet Cotton, che iniziò la sua attività in Ghana nel ’95 su invito dell’ex Presidente Jerry Rawlings. La società, dopo aver ricevuto un prestito di 21 milioni di dollari dal governo, si dimostrò truffaldina. L’attuale governo, al momento di andare in carica, il 7 gennaio dell’anno scorso, ha immediatamente avviato procedimenti legali contro cinque ex Ministri e funzionari pubblici, resisi colpevoli di complicità nella perdita di quei 21 milioni di dollari di prestito dello Stato.

I maggiori problemi con cui si confronta l’industria del riso ghaniana in questo momento sono la lavorazione, l’imballaggio e la commercializzazione, ma, non sono da meno altri due, la concorrenza sleale e gli alti costi di produzione. È risaputo che i paesi sviluppati sussidiano la produzione dei loro agricoltori ma hanno proibito ai governi africani di farlo! Il dottor Fritz Gockel, professore di Economia all’Università del Ghana, sostiene la tesi che, se i paesi del G8 vogliono dimostrare al mondo di credere al NEPAD, la New Partnership for Africa’s Development, devono anzitutto appoggiare i programmi destinati a migliorare l’autosufficienza alimentare di questo continente.

Ma, è lecito domandarsi, i Paesi occidentali intendono veramente permettere ai governi africani di far crescere la loro agricoltura? Recenti commenti sarcastici riguardo l’industria del riso in Ghana, espressi da Peter Harold, Direttore della Banca Mondiale ad Accra, certamente non suggeriscono questo. Harold, partecipando a un programma della BBC, ha infatti affermato alcune settimane fa che gli sforzi del Ghana di raggiungere l’autosufficienza nella produzione di riso non approderanno mai a nulla, semplicemente perché il Paese non produce a prezzi competitivi sul mercato mondiale. I commenti di Harold hanno causato una rabbiosa reazione del vice Ministro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura Majeed Haroun, che gli ha chiesto perentoriamente di evitare di contraddire la politica ufficiale della Banca Mondiale stessa, che predica un’assistenza ai paesi del terzo mondo finalizzata specificatamente allo sviluppo della loro economia. Commenti di questo genere, ha detto Haroun, servono solo a demoralizzare i produttori, impegnati nello sforzo di crescita del settore.

Rendendosi conto del vespaio sollevato nel governo, Harold si è affrettato a negare di aver mai fatto una dichiarazione del genere alla BBC. Quando però una stazione radio ha trasmesso l’intervista registrata, ha ammesso di aver espresso quel concetto, ma di averlo fatto a fin di bene, senza alcuna intenzione d’offendere. Il risultato finale di quello sgradevole commento è che Harold è stato, da luglio, trasferito in Sri Lanka. La Banca Mondiale, infatti, considera il Ghana un alunno modello nell’applicazione dei suoi piani di riforma strutturale economica e non si può permettere di tenere al suo posto il responsabile di una gaffe del genere, tanto dannosa per le sue pubbliche relazioni. Il Direttore uscente è stato sostituito da Mats Karlsson, svedese e uno dei vice Presidenti della Banca, esperto in comunicazioni, dal quale ci si aspetta che rimedi al danno di immagine causato da Harold.

Secondo molti, l’uscita di Harold ha tutta l’aria di rappresentare un complotto dei Paesi occidentali per demoralizzare i produttori ghaneani e poter continuare a inondare il mercato di riso importato. Sono tanto passionali e sciovinisti i ghaneani sul conto del consumo di riso locale che alcuni sono arrivati a criticare il governo per aver accettato aiuti alimentari sotto forma di riso dai donatori stranieri. Il governo giapponese ha, in effetti, donato recentemente riso per un valore di 3 milioni di dollari, ma, ad un incontro con la stampa, i funzionari dell’ambasciata si sono affrettati a dire che il dono faceva da sostegno e complemento ai piani governativi locali per il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare.

Il primo segretario dell’ambasciata, Takanobu Kuruda, si è espresso con queste parole: “Il Giappone, essendo uno dei partner più importanti di questo Paese, desidera sostenere i suoi sforzi di sviluppo provvedendo un aiuto alimentare. Non certo per scoraggiare la produzione di riso, ma per contribuire alla lotta per la riduzione della povertà.”