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Kenya

I fiori del male

Ad un recente convegno della Commissione Kenyota dei Diritti Umani (KHRC ) è stata denunciata la deplorevole condizione dei lavoratori della floricoltura, ma le aziende, il governo e alti dirigenti sindacali negano tale situazione. In realtà le condizioni di vita di oltre 50.000 lavoratori del settore sono pessime, specie nel piano umanitario.
Kathy Majtenyi

Poco dopo aver iniziato a lavorare in un’azienda che coltiva fiori a Ruiru, vicino Nairobi, gli occhi di Anita Gacheri hanno cominciato a prudere e bruciare. Si è resa conto che i suoi occhi erano divenuti particolarmente doloranti e lacrimosi dopo che i suoi colleghi avevano irrorato di prodotti chimici i fiori della serra dove svolgeva il suo lavoro. È passato del tempo ed i sintomi si sono aggravati, finché ha cominciato a vedere sfuocato ed è diventata quasi cieca.

Diventata cieca per la prima volta, l’azienda l’ha mandata ad una visita medica ed in una diagnosi del 28 luglio del 2000 il medico scriveva: "Si ritiene si tratti di una reazione ai prodotti chimici cui la paziente è esposta nello svolgimento delle sue funzioni. La ragazza ha bisogno di cambiare tipo di occupazione o per lo meno ricevere occhiali protettivi per i suoi occhi, per evitare in qualche modo che persista una pericolosa condizione di reazione allergica permanente. Si prega di prendere provvedimenti."

La Gacheri spiega che quando ha portato questa diagnosi ai dirigenti dell’azienda, l’hanno completamente ignorata, quindi ha continuato a fare il suo lavoro per un’altra settimana, alla fine della quale era diventata cieca un’altra volta. Il 16 agosto la società le ha consegnato una lettera di licenziamento. Al momento della cessazione forzata del rapporto di lavoro, l’operaia aveva ricevuto uno stipendio base mensile corrispondente a 32 US$ e, in tutto, 44 US$ fra indennità di licenziamento e paga mensile: nemmeno 47 Euro. L’operaia racconta disperata che sta avendo problemi terribili, arrivando perfino a dovere saltare i pasti per totale mancanza di denaro. Non ha lavoro ed è in arretrato di quattro mesi nel pagamento dell’affitto.

La situazione della Gacheri riflette ciò che la Commissione Kenyota dei Diritti Umani afferma essere comune a molti lavoratori della floricoltura, un’attività produttiva che in Kenya sta avendo un grande sviluppo. La Commissione denuncia che alla ragazza non sono stati forniti occhiali protettivi ed altri strumenti utili per proteggerla dai pericolosi prodotti chimici, che é stata licenziata in tronco solo per il fatto di essersi ammalata e che, come se non bastasse, le è stata riconosciuta una retribuzione da fame. Tutto questo senza considerare che la sua vita lavorativa è stata bruciata alla tenera età di soli 24 anni.

La ragazza e altri lavoratori hanno riferito le loro tristi esperienze ad una Conferenza denominata: "Bellezza ai fiori e dignità ai lavoratori" che, organizzata dalla Commissione per i Diritti Umani, si è tenuta a Nairobi in febbraio. Alla Conferenza, i lavoratori, i rappresentanti sindacali e coloro che si occupano di diritti umani, insieme ad altri, hanno elaborato una dichiarazione finale contenente una petizione per un drastico cambiamento delle condizioni generali legali e contrattuali nell’industria dei fiori recisi.

Sulla base delle statistiche del Kenya Flower Council (KFC), l’associazione di categoria, il Kenya è il più grosso esportatore africano di fiori recisi e di altri prodotti floricoli, fornendo su per giù il 25% di tutti i fiori importati dall’Unione Europea. Entro quarant’otto ore dal momento in cui sono colti, i fiori vengono spediti dal Kenya sui mercati europei, specialmente in Olanda, Germania ed Inghilterra. Si tratta di un settore da 110 milioni di dollari l’anno, che ha visto, nel 2001, l’esportazione di oltre 38.000 tonnellate di prodotto. Secondo il KFC, dal ‘95 la floricoltura è cresciuta di più del 35% ed esistono ormai una settantina d’aziende, concentrate soprattutto fra Naivasha, Thika, e Limuru. Di queste, 28 fanno parte del KFC, che stima che circa mezzo milione di persone si sostenga grazie all’industria dei fiori, 50.000 lavoratori delle aziende ed i loro familiari.

Il KFC sostiene che casi come quello della Gacheri sono assai rari e il suo Presidente, Rod Evans, si dilunga a spiegare che dal ‘96, quando si è costituita questa confederazione di produttori, alle aziende che vi fanno parte è stata offerta un’ampia gamma di corsi di addestramento per il personale, specialmente riguardo proprio l’utilizzo in condizioni di sicurezza delle sostanze chimiche. I membri della Confederazione aderiscono al codice di condotta del KFC, che prevede procedure severe nell’ambito dell’attività aziendale; riguardo, protezione del prodotto irrorato, stoccaggio sicuro e uso appropriato dei pesticidi, sicurezza e salute dei lavoratori, loro protezione personale insieme a quella ambientale.

Ma la Commissione per i diritti umani non è affatto d’accordo e, secondo un suo rapporto uscito lo scorso giugno, ha riscontrato che nelle aziende ispezionate a Naivasha i lavoratori sono soggetti ad un gran numero di irregolarità e vessazioni di varia natura. Queste includono, stipendi da fame, addirittura un solo Euro al giorno, licenziamenti arbitrari per cause tipo l’aver lasciato la serra quando non ci si respira più per il caldo, utilizzo di avventizi senza assistenza sanitaria, maternità o qualsiasi altro beneficio che coloro che sono assunti normalmente ricevono, molestie sessuali alle lavoratrici, impossibilità di costituire o aderire al sindacato. Come se non bastasse, sempre secondo questo rapporto, a molti lavoratori non é fornito un equipaggiamento di sicurezza adeguato. Molti di loro, infatti, accusano, dopo essere rimasti esposti ai danni dei prodotti chimici al lavoro, diversi problemi di salute, come infertilità, danni ai polmoni, reazioni cutanee, svenimenti, mal di stomaco, aborti, e problemi della vista.

La Commissione, in una dichiarazione presentata alla Conferenza, afferma categoricamente che la maggior parte dei 50.000 dipendenti delle aziende floricole lavora in condizioni deplorevoli. Il documento riferisce che più del 90% dei lavoratori di questo settore non è sindacalizzato, la maggior parte delle aziende non svolge il prescritto addestramento sulle norme sanitarie o si preoccupa che vengano formati dei comitati interni per la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. Oltre l’80% dei lavoratori è avventizio o stagionale, senza alcuna sicurezza di continuità di lavoro né benefici, mentre le condizioni abitative di questa gente sono disumane per la densità degli occupanti negli alloggi di cui dispongono.

Il vice direttore del settore della Salute Occupazionale e dei servizi di sicurezza del Ministero del Lavoro, Franklin Muchiri, ha dichiarato che il caso della Gacheri può definirsi isolato e non permette certo di generalizzare il problema a tutto il settore della floricoltura, nel suo complesso. Muchiri afferma che il suo Direttorato si limita in ogni caso a fornire raccomandazioni per il miglioramento delle condizioni sul lavoro, ma non è suo compito investigare o fare da polizia, perché non ne ha né l’autorità, né la capacità organizzativa.

Abisai Ambenge, un dirigente del Ministero del Lavoro, da parte sua, ritiene che ci potrebbe essere un problema d’applicazione dei loro interventi, soprattutto per quanto riguarda le sanzioni punitive. Fa notare che la legislazione del lavoro kenyota è basata su standard internazionali, ma non è facile da fare applicare, in quanto, fra l’altro, le ammende sono troppo basse e i funzionari addetti spesso non hanno neanche mezzi di trasporto o, addirittura, la possibilità di utilizzare il telefono. Aggiunge però che nei confronti dei casi che sono venuti a conoscenza del suo ufficio sono sempre state prese appropriate misure; ad ogni lavoratore del settore che ritiene di essere vittima del datore di lavoro, o, viceversa, alle ditte che ritengono di essere vessate dai sindacati, viene prestato ascolto e ci si muove di conseguenza, intervenendo appropriatamente.

Gli interessi dei lavoratori come la Gacheri dovrebbero essere difesi da sindacati come la Plantation and Agricultural Workers’ Union o la più grande Central Organization of Trade Unions ( COTU ). Ma, alla Conferenza sui Diritti Umani, i lavoratori erano tutti d’accordo nel sostenere che dovrebbero senz’altro dare vita ad un’organizzazione parallela alla COTU, poiché considerano questo sindacato inerte, in sostanza senza vita, e certamente non più in grado di rappresentare i loro interessi.

Peter Otieno, che lavora all’azienda Salima di Naivasha e fa parte anche dell’ufficio locale della Plantation and Agricultural Workers’ Union, ritiene che i due sindacati siano effettivamente particolarmente deboli nella lotta per la difesa dei diritti degli avventizi e, al contempo, inefficaci nello sforzo di rendere consapevoli dei loro diritti questi lavoratori. Ed aggiunge che un dipendente si aspetta di ricevere una mano dal suo sindacato e non, come succede, dalle organizzazioni non governative. Questa gente viene in pratica ignorata dal sindacato.

Francis Atwoli, segretario generale sia della COTU che della Plantation and Agricultural Workers’ Union afferma invece che la COTU sta ora collaborando col Ministero del Lavoro con l’intento di migliorare la situazione generale dei braccianti agricoli avventizi. E in gennaio la COTU ha firmato un contratto collettivo di lavoro in base al quale i lavoratori della floricoltura avranno un aumento del 16%, secondo Atwoli, che ha specificato anche che le paghe dei braccianti di questo settore vanno da 4.000 a 11.600 scellini, ben al di sopra del salario minimo del paese.

Atwoli spiega ancora che questi casi di sfruttamento dei lavoratori nel settore della floricoltura avvengono per via delle politiche di liberalizzazione selvaggia della Banca Mondiale, grazie alle quali aziende straniere possono insediarsi ed investire, così come andarsene disinvestendo a loro piacimento. Questo genere di investitori speculatori non ne vuole sapere dei problemi e dei diritti dei lavoratori, entra nel paese con la pura e semplice nozione dello sfruttamento, e basta.

Il professor A. Mwanthi, docente di salute comunitaria al Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Nairobi, ha infine reso noto che l’anno scorso sono stati importati in Kenya più di 150 tipi di pesticidi, compresi quelli contenenti le pericolose organoclorine e gli organofosfati. Alla Conferenza il professore ha affermato che, in questo settore, il pericolo di gran lunga peggiore cui sono esposti i lavoratori è costituito dalle sostanze chimiche che vengono utilizzate nelle lavorazioni in serra.