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Corno d’Africa

Giornalisti, povera gente

Un rapporto dell’IMS (International Media Support), un’organizzazione danese che sostiene i Media dei paesi colpiti da conflitti, mette in evidenza la difficile situazione dei giornalisti che lavorano nelle regioni del Corno d’Africa devastate dalla guerra. Lo stato non tollera punti di vista diversi ed è molto repressivo nei confronti dell’informazione.
Zachary Ochieng

Intitolato: "Conflitto, Pace ed i Media nel Corno d’Africa" lo studio, pubblicato il mese scorso, si basa su una missione di IMS svoltasi nelle capitali di Etiopia, Somalia e Sudan fra il 9 e il 18 dicembre del 2002. Stando al rapporto, sono diversi i fattori che ostacolano lo sviluppo della pace nella regione: Governi che limitano l’accesso dei Media alle zone di guerra, informazione povera o distorta riguardo ai paesi vicini ed il dominio schiacciante del punto di vista governativo sui Media che, a sua volta, condiziona in modo fazioso l’opinione pubblica sul conto dei conflitti. Lo strapotere statale si traduce, sostanzialmente, nell’utilizzo privilegiato, se non esclusivo, di Media governativi, trasformati in strumenti di propaganda di regimi autoritari, se non dittatoriali in certi casi.

Lo studio fa notare che, in termini di pluralismo, la Somalia ha fatto maggiori progressi degli altri Paesi della regione: a Mogadiscio sono cresciuti tutti i Media privati, dalle emittenti radiotelevisive alla carta stampata. Il Sudan non sembra da meno, uscendo, nella sola Khartoum, ben 15 quotidiani in arabo, uno in inglese orientato agli interessi del Sud del paese, 6 giornali sportivi, un numero minore di cosiddette pubblicazioni "sociali", 4 riviste d’attualità e spettacolo e qualche pubblicazione specifica per i giovani.

IMS rileva inoltre, per quanto riguarda l’Etiopia, che qui la stampa indipendente è ancora molto giovane e lotta disperatamente per sopravvivere, sia politicamente che economicamente. Le risorse della pubblicità non sono, d’altronde, facilmente accessibili a buona parte di queste testate. In termini di legislazione dei Media, il Governo Provvisorio Somalo di Mogadiscio (Transitional National Government- TNG) ha cercato, ad ottobre dell’anno scorso, d’imporre una legge, mirata principalmente a contenere l’indipendenza e la libertà degli operatori dell’informazione più combattivi, in quel momento in forte crescita. L’iniziativa liberticida è stata stroncata e ritirata alla svelta di fronte alla decisa opposizione esercitata da una vasta coalizione di gruppi della società civile. Non sono mancati, uno sciopero delle associazioni e dei produttori giovanili di Media, nonché forti proteste sostenute dagli avvocati e da altri professionisti.

In Sudan, almeno teoricamente, la legge garantisce ai Media la libertà di riportare ogni evento e affrontare qualsivoglia argomento senza incorrere in impedimenti di sorta, ma l’Emergency Act del ’99, con la scusa della guerra con il Sud, mina, quando non cancella, le libertà garantite dalla legge ordinaria. Anche negli ultimi mesi la censura diretta e le interferenze dei servizi di sicurezza hanno imperversato contro i Media non governativi. Tutti i giorni si verificano arresti e interrogatori di professionisti, confische di interi impianti di produzione e vessazioni d’altro genere.

Per quanto concerne l’accesso all’informazione, lo studio fa presente che i Governi dei Paesi visitati si muovono e comportano a loro piacimento, nel rispetto esclusivo dei loro interessi. Come in gran parte dell’Africa, in questi Paesi non esiste legislazione che garantisca libero accesso all’informazione in possesso del Governo. Il rapporto aggiunge che ai Media indipendenti non è dato modo d’avvicinare i funzionari governativi con sufficiente facilità e assiduità; in Etiopia, per esempio, fino a due anni fa, non era neanche consentito alla stampa indipendente l’ingresso in Parlamento. Ancor oggi le è precluso l’accesso al Primo Ministro o al suo ufficio e non può essere presente alle conferenze stampa ufficiali.

La stampa sudanese non sarebbe invece altrettanto limitata nella partecipazione agli eventi ufficiali o nell’accesso ad istituzioni come il Parlamento, ma le viene comunque sostanzialmente negata la libertà di pubblicare ciò che elabora sui fatti e gli eventi di cui può essere testimone. Per quanto riguarda le associazioni in cui si riuniscono i vari operatori dei Media, il rapporto rileva che sono essenzialmente deboli in tutta la regione del Corno d’Africa: questo commento viene espresso in merito al livello d’organizzazione delle associazioni professionali in genere, dell’Unione dei Giornalisti e degli addetti dei Media, nel loro complesso. Questo stato di cose ha molto a che vedere con i lunghi anni di monopolio statale, con la brevissima storia ed esiguità d’esperienza della neonata stampa indipendente di Etiopia e Somalia e forse, soprattutto, con la repressione generale dello sviluppo della società civile che ha avuto luogo soprattutto negli anni passati.

L’East Africa Media Institute (EAMI) costituisce forse il tentativo più solido e determinato di mettere in piedi un’organizzazione regionale di giornalisti, ma non è riuscito ad essere forte ed influente come i Media avrebbero voluto che fosse. Nonostante abbia oggi una nuova sede potenziata a Kampala in Uganda, dopo averla avuta a Nairobi, la sua struttura sembra ancora essere in via di formazione e sviluppo. L’ufficio più vivace e ricco d’iniziativa pare sia quello presente in Somalia, l’EAMI-S. In Etiopia e Sudan esistono associazioni di giornalisti sponsorizzate dallo Stato che raggruppano alcuni operatori dei Media governativi; in Sudan non esistono viceversa associazioni di giornalisti indipendenti che raggruppino tutti o buona parte di loro in un’Unione, in un Albo dei redattori, o in un gruppo di sostegno ai diritti dei Media.

Il rapporto, pur riconoscendo gli sforzi che sono stati compiuti dagli operatori dei Media per disporre di un’associazione forte, indipendente e professionale, fa notare che non si è riusciti a sviluppare un’organizzazione capace di portare avanti gli obiettivi di patrocinio della missione e difesa dei diritti dei propri membri. Da parte di IMS si fa anche presente che finora la comunità internazionale non ha offerto ai Media del Corno d’Africa il sostegno strategico che avrebbe dovuto, considerando quanto riconosce importante l’impatto dei Media nella risoluzione dei conflitti. Esistono importanti eccezioni, l’UNESCO che, in particolare, ha sostenuto per anni le iniziative dei Media, ma, in generale, si può senz’altro affermare che i Media africani non sono stati al centro dell’interesse e degli sforzi internazionali per il raggiungimento della pace nel Corno d’Africa.

Ciò non di meno, va pur detto che in Etiopia, Sudan e Somalia un certo numero di entità internazionali, quali alcune Agenzie delle Nazioni Unite, Ambasciate, ONG e gruppi della Chiesa, si impegnano in azioni di sostegno ai Media, in operazioni mirate però a casi ben determinati e precisi. Ciò si traduce, per esempio, in attività di formazione per alcuni giornalisti, offerta di programmi per le stazioni radio locali in Somalia, seminari per giornalisti su specifici temi o supporto a determinate organizzazioni come "Radio Voice of Hope", la radio della Voce della Speranza, un vecchio progetto sostenuto da gruppi danesi della Chiesa, che trasmette dall’Uganda nel Sudan meridionale.

Secondo lo studio, uno dei maggiori ostacoli alla crescita di stampa e di Media indipendenti in generale nella regione è costituito dalla cultura politica che esprime intolleranza e mancanza di considerazione e rispetto per una partecipazione della società ad un dibattito nazionale sulla cosa pubblica, lo Stato. La cultura della leadership politica in questa parte del mondo è stata così dominata da una cieca intolleranza verso l’espressione di punti di vista diversi da quelli dell’autorità che è divenuto un riflesso condizionato di coloro che sono al potere il percepire le opinioni diverse o contrarie come antagoniste e sovversive.

Si sottolinea il caso della Somalia dove, a Mogadiscio, la minaccia della violenza armata incombe sui Media, praticamente ogni giorno. In assenza di uno Stato e delle sue istituzioni deputate a garantire la giustizia e la protezione dei cittadini, le minacce godono d’impunità, sia che provengano dalla milizia di questo o quell’altro signore della guerra. Così, i giornalisti rimangono esposti agli attacchi e alla violenza: l’EAMI-S stima che 48 di loro (locali e stranieri) siano stati uccisi in Somalia dallo scoppio delle ostilità ad oggi.

In Sudan, così come in Etiopia, sembra ci si trovi di fronte a qualcosa di nuovo, a un cambiamento di metodo da parte delle istituzioni e del Governo. Dalla tradizionale repressione fisica e gli arresti indiscriminati si sta ora passando alla predisposizione verso incriminazioni e processi legalizzati. Ciò non si ancora tradotto in un senso di sicurezza reale, garantito da quelle stesse istituzioni, dallo Stato. Gli interventi della censura e le minacce sono ancora all’ordine del giorno a Khartoum e i servizi di sicurezza spesso ancora indagano e interrogano i professionisti dei Media. In Etiopia, secondo lo studio, negli ultimi 7 anni, o giù di lì, sono stati messi in galera o accusati di ogni genere di reato qualcosa come 200 giornalisti, e il Paese, fino ad oggi, detiene il record del maggior numero di arresti di giornalisti di tutta l’Africa, anche se le cose stanno ora cambiando in meglio, molto rapidamente.

In termini di difesa legale, IMS fa notare che, in generale, la maggior parte dei giornalisti in Sudan, Etiopia e Somalia gode di un limitatissimo accesso all’assistenza quando si scontra con la censura di Stato, con accuse di diffamazione, con nuove leggi restrittive sulla stampa e ostacoli legali d’altro genere. In Somalia l’EAMI-S intrattiene buone relazioni con l’associazione degli avvocati di Mogadiscio e può ricevere sostegno dai suoi membri, ma, deve andare oltre, costituendo una struttura formale e un’entità di difesa organizzata cui affidare i casi, man mano che si presentano.

In Etiopia, dove il numero dei processi a carico dei Media cresce a vista d’occhio, gran parte degli avvocati non è ben disposta verso la difesa di giornalisti e, non solo, molto pochi di questi o le loro testate hanno le risorse per prendersene uno. Sta di fatto che solo un avvocato, lui stesso un ex-giornalista, ha dimostrato finora d’esser disposto ad impegnarsi seriamente nella difesa di un operatore dei Media in tribunale.

Il rapporto fa anche riferimento all’inadeguatezza del livello qualitativo professionale degli addetti ai lavori dell’informazione che operano nella regione. Fa presente che l’instabilità politica e i suoi effetti negativi sulle istituzioni e le amministrazioni hanno ostacolato, sia la crescita di buoni livelli professionali, sia lo svilupparsi di un certo carattere professionale giornalistico che contraddistingua in qualche modo gli operatori della regione. In relazione agli altri Paesi, i Media del Sudan hanno resistito meglio ed hanno mantenuto un certo livello di continuità, anche se nel Nord gli standards qualitativi hanno sofferto molto per i colpi della censura e della repressione che hanno provocato, fra l’altro, una consistente "fuga di cervelli".

In Etiopia, la maggior parte dei giornalisti indipendenti non ha ricevuto, o quasi, formazione professionale: il Governo, infatti, qualche anno fa ha dato vita a dei corsi professionali che però erano preclusi ai giornalisti privati. Alcuni di loro beneficiano solo adesso di programmi di formazione ad hoc organizzati da Agenzie di donatori internazionali e da ONG locali che si dedicano allo sviluppo dei Media, come l’Istituto Panos e l’Unity College.

Nel documento in questione c’è spazio anche per una sorta di critica alla mancanza di professionalità che influirebbe, almeno in parte, sull’aggressività della censura e di altri controlli delle istituzioni statali autoritarie. Lo scarso livello professionale, influirebbe, infatti, in certo qual modo negativamente sulla repressione governativa, pur, naturalmente, senza scusarla; certe sviste involontarie possono infatti far incorrere nell’accusa di diffamazione, le trascuratezze possono offrire il pretesto per degli attacchi, per delle accuse apparentemente giustificabili o, addirittura, per dei processi in tribunale.

Secondo lo studio di IMS ci sono diversi fattori che limitano anche la forza economica dei Media indipendenti della regione. In tutti e tre i Paesi presi in esame la guerra ha distrutto l’economia, a tal punto che la parte meridionale del Sudan possiede una struttura economica estremamente limitata e la vertiginosa miseria dell’Etiopia, collocata fra i Paesi più poveri del mondo, non fa altro che rafforzarsi. Le implicazioni, per il mondo della stampa e dell’informazione, non possono che essere disastrose in un contesto del genere. La modestia dell’economia di questi Paesi si traduce in pochissima offerta di pubblicità che, a sua volta, difficilmente può dare un minimo d’ossigeno a tutte le testate, anche se non intervenisse, a peggiorare ulteriormente le cose, l’interferenza dello Stato nella distribuzione di quella poca pubblicità disponibile.