Morta la balena del Tamigi Inutile la corsa verso il mare









Caricata su una chiatta, polemiche per i ritardi nei soccorsi

LONDRA - Poche ore prima di raggiungere il mare la balena del Tamigi è morta. A bordo della chiatta che la stava trasportando, forse uccisa dalla fatica e dallo stress. Se ne è andata, lontana dalle profondità dell’oceano dove era cresciuta, immersa non nell’acqua salata ma in cuscini gonfiabili di plastica gialla, circondata non da pesci ma da uomini. Chissà cosa l’aveva spinta a infilarsi nella foce del fiume di Londra, a oltrepassare le dighe che regolano il flusso fluviale, a risalire la corrente sino al centro della capitale britannica: se il desiderio di morire in pace, in silenzio, o uno sprazzo irresistibile di curiosità. Certo ha trovato una realtà alla quale non era preparata. Il rumore, la confusione, i fondali bassi, l’assenza di cibo, le barche, i ponti, ma anche tanto, tanto affetto. Per due giorni, Londra ha seguito l’operazione di salvataggio minuto per minuto, in diretta. Ieri il suo ultimo viaggio è stato accompagnato da migliaia di persone, la folla delle grandi occasioni, quasi si trattasse del Giubileo della regina Elisabetta, della vittoria contro l’Australia a cricket, dell’annuncio delle Olimpiadi del 2012.

Già all’alba, quando televisioni e radio avevano annunciato che a differenza di quanto speravano gli esperti, l’iperodonte non aveva nuotato verso il mare ma era tornato in centro città, sul ponte di Battersea erano arrivati i primi curiosi. A mezzogiorno, quando la polizia ha chiuso l’accesso, sul ponte c’erano tremila persone. Lungo le due rive, un muro di gente di ogni età e colore, anziani, bambini, famiglie intere con dietro anche il cane, tutti con telefonino o macchina fotografica, tutti con un’opinione su come salvare la balena, tra le polemiche per il ritardo con cui è stata messa a punto una strategia. Solo alle 13 di ieri è scattata l’operazione che per qualche ora ha fatto sperare di salvarla. Quando l’eroe di Londra – un maschio adolescente, secondo i veterinari – si è arenato, gli sono stati infilati sotto il corpo dei galleggianti gonfiabili, una specie di culla attaccata a una gru. È stato issato su una chiatta del Comune ed è uscito dall’acqua per forse la prima, sicuramente l’ultima volta. La folla ha seguito in silenzio per esplodere in un applauso liberatorio quando l’imbarcazione ha cominciato a muoversi in direzione mare.

Non stava già bene allora, nonostante le iniezioni di antibiotici somministrate dai veterinari, che per tutto il tragitto l’hanno accarezzata, bagnata, rassicurata come fosse un figlio. I bollettini medici, diffusi con grande regolarità, nel pomeriggio sono peggiorati e la balena, all’improvviso, è sembrata spacciata. «I veterinari non sono ottimisti», ha annunciato attorno alle 17 Tony Woodley, del British Divers Marine Life Rescue, l’organizzazione che ha coordinato i tentativi di salvataggio. «Abbiamo abbandonato l’ipotesi di riportarla in mare aperto e anche di raggiungere la Manica. L’obiettivo ora è liberarla in acque profonde, il più lontano possibile dalla città, in prossimità dell’estuario». Non lo ha raggiunto. Due ore dopo, attorno alle 19, le convulsioni, poi la morte.
«E’ l’epilogo triste di una storia alla quale ci siano appassionati», ha detto Woodley, scosso e addolorato come tutti coloro che sino all’ultimo hanno lottato. «E’ stata una giornata di alti e bassi, di speranza e disperazione. Temevamo di non riuscire a liberarla. Forse è stato meglio così. Ci ha evitato una decisione molto difficile». Nell’impossibilità di restituirla al suo mondo, i veterinari avrebbero scelto di abbatterla piuttosto che prolungare la sua sofferenza. Spetterà all’autopsia fare luce su un’avventura forse nata per sbaglio, e diventata poi sinonimo di qualcosa di molto più grande, lontana da quel lieto fine che tutti speravano.

Paola De Carolis
Fonte: www.corriere.it
21.01.06