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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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I casi pendenti dinanzi alla Corte Penale Internazionale



ICC logo Dopo una rigorosa analisi il Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha deciso di aprire delle indagini su tre casi:
- la situazione nella Repubblica Democratica del Congo, in base anche all’istanza presentata dalla RDC il 19 aprile 2004;
- la situazione in Uganda (il 29 luglio 2004), in accordo a quanto denunciato anche dallo stesso Stato il 29 gennaio 2004;
- la situazione nella regione sudanese del Darfur (il 6 giugno 2005), in base anche ad una richiesta fatta dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 31 marzo 2005.

Il 23 giugno 2004 il Procuratore Capo ha annunciato la sua decisione di aprire le indagini sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo. L’attività investigativa riguarderà anche i gravi crimini presumibilmente commessi sul territorio della Repubblica Democratica del Congo dal 1 luglio 2002.
La Procura ha analizzato molto attentamente la situazione nella RDC sin dal luglio 2003, inizialmente concentrandosi sui crimini compiuti nella regione Ituri. Nel settembre dello stesso anno, il Procuratore ha informato gli Stati Parti che il suo ufficio era pronto a chiedere l’autorizzazione alla Sezione per le indagini preliminari per l’apertura dell’attività investigativa, chiedendo, inoltre, il contributo attivo ed importante della Repubblica Democratica del Congo.
In una lettera del novembre 2003, il governo della RDC ha accolto con piacere l’invito a collaborare e nel dicembre 2004 ha riferito formalmente alla Corte la difficile situazione in cui versa il paese. Milioni di civili sono stati uccisi come conseguenza del conflitto che affligge la Repubblica Democratica del Congo sin dai primi anni ’90. Stati, organizzazioni internazionali, o.n.g. hanno denunciato migliaia di morti a seguito di esecuzioni sommarie e omicidi di massa. I rapporti ufficiali contengono numerosissimi esempi di stupri, torture, trasferimento forzato e uso di bambini soldato.
Il 17 marzo 2006 è stato arrestato a Kinshasa, e traferito alla Corte Penale Internazionale, il fondatore e leader dell'Union des Patriotes Congolais (UPC) Thomas Lubanga Dyilo. E' accusato di avere commesso, in territorio congolese, crimini di guerra in base a quanto previsto nell'art. 8 dello Statuto di Roma. La prima Camera di pregiudizio aveva emanato un arresto di garanzia il 10 febbraio su proposta del Procuratore Capo Luis Moreno. L'organo giudicante ha ritenuto che vi fossero fondate ragioni per credere che l'indagato abbia compiuto i seguenti crimini: coscrizione e arruolamento forzato di bambini al di sotto dei 15 anni e costrizione a partecipare attivamente alle ostilità. La Camera aveva inoltre fatto richiesta alla RDC di procedere all'arresto, sottoponendolo così alla giurisdzione della Corte Internazionale. Come previsto dall'art. 59 dello Statuto, Lubanga è apparso (in prima istanza) innanzi le autorità giudiziarie congolesi a Kinshasa. Sia le autorità competenti sia il governo francese hanno cooperato con la Corte. Il 20 marzo vi è stata la prima udienza preliminare. L'importanza dell'evento sta nel fatto che Thomas Lubanga è la prima persona ad essere arrestata e trasferita alla CPI dall'inizio dell'entrata in vigore dello Statuto.

Per quanto concerne la situazione in Uganda, va detto che il Procuratore Capo ha preso la decisione di aprire le indagini sulla drammatica situazione esistente nel nord Uganda, a seguito anche della denuncia da parte del Presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, presentata nel dicembre 2003. Museveni ha riferito alla Corte la situazione in cui sta degenerando il conflitto tra il governo ugandese e il Lord’s Resistance Army, conflitto interno che dal 1987 ha provocato migliaia di morti. Incontrando il Procuratore Capo a Londra a fine gennaio 2005, Museveni ha voluto assicurare la disponibilità dell’Uganda a cooperare con gli obiettivi della CPI. Per questo, è necessario riuscire ad individuare ed arrestare il leader del LRA Joseph Kony.
Molti dei membri del LRA sono a loro volta vittime, essendo state sequestrate e brutalizzate dal sedicente generale Kony. La reintegrazione di questi individui all’interno della società ugandese è la chiave per la stabilità futura del nord Uganda. A tal fine, è necessario il supporto concertato della comunità internazionale e dell’Uganda, perché la Corte non è in grado di fare questo da sola. In un tentativo ad incoraggiare i membri del LRA a ritornare ad una vita normale, le autorità ugandesi hanno promulgato una legge di amnistia. Il Presidente Museveni ha indicato al Procuratore la sua decisione, tuttavia, di non concedere l’amnistia ai capi del LRA. Ha chiesto, invece, che costoro, essendo i maggiori responsabili delle gravi nefandezze commesse negli ultimi anni, siano condannati.
Il Procuratore, dopo aver informato gli Stati Parti (dello Statuto) dell’inizio formale delle indagini, ha ottenuto l’autorizzazione, dalla Sezione per le indagini preliminari, per un arresto di garanzia dei leader del LRA. Il 13 ottobre 2005, infatti, ha emesso cinque mandati di arresto per i capi del LRA, tra cui Kony e Otti (oltre a Odhiambo, Ongwen e Lukwiya), responsabili di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Il fatto è stato diversamente valutato dalla comunità internazionale. L’Unione Europea ha apprezzato gli sforzi per mettere fine all’impunità, ma i leader del nord hanno affermato che è l’ultimo segnale per seppellire il già fragile processo di pace.

Per quanto riguarda la situazione nel Darfur, l’ufficio del Procuratore, nella selezione dei casi, considererà la gravità, l’ammissibilità e gli interessi di giustizia, continuando ad analizzare ogni procedimento penale nazionale che abbia attinenza con i casi in questione denunciati.
Inoltre, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, riferendo - con la risoluzione 1593 del 31 marzo 2005 - in merito alla regione del Darfur, ha richiesto che il Sudan così come tutte le parti del conflitto in Darfur cooperino con la Corte Penale Internazionale. Il Consiglio ha invitato la CPI e l’Unione Africana a discutere gli accordi concreti che faciliteranno il lavoro della Procura e della Corte, inclusa la possibilità di condurre indagini e procedimenti nella regione.
La Commissione d’Inchiesta sul Darfur è stata creata dal Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan nell’ottobre 2004. L’organo ha riferito all’ONU, nel gennaio del 2005, che vi erano fondate ragioni per credere che crimini contro l’umanità e crimini di guerra fossero stati compiuti nella regione del Darfur. La Commissione d’Inchiesta si è raccomandata, inoltre, che della situazione venisse a conoscenza la CPI.
Molte sono state le fonti di informazione usate per l’esame dell’ufficio del Procuratore: rapporti del governo sudanese, dell’Unione Africana, delle Nazioni Unite, e di altre organizzazioni, di media internazionali e locali, di esperti. Finora sono stati sentiti oltre 50 esperti. Fonti che si sono aggiunte ad altre centinaia di documenti, tutti utilizzati per sostenere la necessità di un intervento da parte della CPI, che sia capace di punire i responsabili, mettendo fine alle violenze nella regione e promuovendo la riconciliazione delle parti in conflitto.

Lo staff investigativo dell’ufficio della Procura, guidato nella fattispecie dal sostituto procuratore Serge Brammertz, è composto da legali e da personale investigativo appartenente a o.n.g. aventi un background internazionale.

Su denuncia degli Stati Parti, la Procura sta indagando inoltre sui crimini compiuti nella Repubblica Centroafricana (decisione presa dalla Procura il 6 gennaio 2005). Il Procuratore Capo ha ricevuto, infatti, una lettera da parte del governo della Repubblica Centroafricana, nella quale viene riferita la situazione di gravi crimini che rientrano nella competenza della Corte.

L’ufficio sta indagando su altre e numerose situazioni portate alla sua attenzione da individui singolarmente o da gruppi. Tra questi, il 9 febbraio 2006, l'ufficio del Procuratore ha dichiarato di aver ricevuto più di 240 comunicazioni relative alla situazione in Iraq (stato che per altro non ha firmato lo Statuto di Roma). Al termine di un lungo documento, il procuratore ha dichiarato che "allo stato attuale, i criteri enunciati nello Statuto non sono sufficienti a sollecitare l'autorizzazione per aprire un'inchiesta a proposito della situazione in Iraq".
Sempre il 9 febbraio 2006, l'ufficio del procuratore ha dichiarato di aver ricevuto una dozzina di comunicazioni relative alla situazione in Venezuela e a crimini commessi per la maggior parte dal governo di quel paese o da forze ad esso legate. La conclusione cui è giunto il procuratore è identica a quella relativa al caso dell'Iraq.

Il 10 febbraio 2006, l'ufficio del procuratore ha diramato un bilancio delle comunicazioni ricevute fino al 1 febbraio 2006: 1.732 comunicazioni provenienti da 103 differenti paesi, 3 rinvii da Stati Parte e uno dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU; dopo un esame preliminare, l'80% delle comunicazioni è risultato non rientrante nelle competenze della Corte.


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