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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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La sicurezza collettiva e l’uso della forza



Il diritto e la giustizia penale internazionali intervengono laddove il conflitto è ancora in corso oppure si è già concluso.
Esiste, tuttavia, un sistema di norme "preventive" (contenute nel capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite) che vietano, per quanto possibile, il ricorso all’uso della forza armata, e di norme autorizzatorie che, quando necessario, ne regolano l’esercizio.

La norma generale sul divieto dell’uso della forza internazionale si è formata solo in epoca recente, intorno al periodo fra le due guerre mondiali. Si tratta di una norma avente carattere universale, appartenente allo ius cogens, cioè una norma consuetudinaria che protegge valori considerati fondamentali e a cui non si può in nessun modo derogare.
Essa proibisce qualunque atto bellico tra Stati e, quindi, tutte quelle attività militari che sarebbero così qualificabili.

Il divieto dell’uso della forza viene espressamente sancito tanto nell’articolo 1, paragrafo 1, quanto nell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite.

Lo scopo fondamentale infatti delle Nazioni Unite, così com'è enunciato nel primo paragrafo dell'articolo 1 della Carta di San Francisco, consiste nel mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Il fine per cui le Nazioni Unite sono state istituite è pertanto di impedire il generarsi di nuovi potenziali conflitti e, allo stesso tempo, di agire affinché altri conflitti già in corso giungano ad una soluzione, per quanto possibile, pacifica.

I fini delle Nazioni Unite sono:
1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace.

Lo stesso articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite ha fatto proprio questo principio, affermando anche il dovere dei componenti della Comunità internazionale di ricorrere a mezzi di risoluzione pacifica per tutte le controversie insorte fra di loro.

I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.

Potrebbe apparire contraddittorio il fatto che un'organizzazione internazionale quale l’ONU, costituita principalmente per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, si sia impegnata nel tempo anche sul fronte del diritto internazionale umanitario e abbia quindi operato al fine di rendere le guerre stesse meno crudeli e sanguinose. La realtà dei fatti ha, però, dimostrato che i compiti principali delle Nazioni Unite sono divenuti ormai quelli di limitare l'impiego della forza nei conflitti armati e di garantire la protezione dei non combattenti e dei civili.

Il ricorso alla forza armata su autorizzazione delle Nazioni Unite
Il ricorso all’uso della forza trova il proprio fondamento giuridico nel Capitolo VII della Carta (articoli 39 e seguenti), il quale stabilisce le azioni che possono essere prese dalle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
L’insieme di tali disposizioni costituisce il cosiddetto ius ad bellum (o contra bellum), ossia quelle norme che prevedono e disciplinano l’esercizio della forza armata nell’ambito delle relazioni internazionali.

Accertata (ai sensi dell’articolo 39) l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione, il Consiglio di Sicurezza può decidere sia di assumere contro uno Stato misure sanzionatorie (ma non implicanti l’uso della forza), come l’interruzione parziale o totale delle comunicazioni e delle relazioni economiche da parte degli altri Stati (articolo 41), sia intraprendere azioni armate (articoli 42 e seguenti).
Prima di ricorrere alle une o alle altre, il Consiglio di Sicurezza può invitare lo Stato o gli Stati interessati a prendere quelle misure provvisorie che consideri necessarie al fine di non aggravare il conflitto (art. 40). La provvisorietà di tali misure dipende sia dallo scopo che perseguono, che è quello soltanto di prevenire un’aggravarsi della situazione in atto, sia dai limiti posti al loro contenuto, non dovendo esse pregiudicare i diritti o le posizioni di ciascuna delle parti interessate. Si tratta comunque di misure che non hanno carattere vincolante.

Nell’accertare se sussista una minaccia o violazione della pace o un atto di aggressione - ipotesi molto vaghe, sotto la cui definizione si possono inquadrare i più vari comportamenti di uno Stato e le più varie situazioni - il Consiglio di Sicurezza gode di un larghissimo potere discrezionale.
L’articolo 42 che legittima l’uso della forza armata ne prevede l’intervento sia nel caso in cui uno Stato si sia reso colpevole di aggressione, minaccia o violazione della pace internazionale sia nel caso in cui la violazione della pace si sia verificata all’interno dello stesso Stato (guerra civile). Il Consiglio di Sicurezza, infatti, può eseguire azioni di polizia internazionale mediante decisioni operative, con le quali non esorta, ma agisce direttamente.

Per quanto riguarda le modalità di tali azioni, gli articoli 43, 44 e 45 prevedono l’obbligo per gli Stati membri di stipulare con il Consiglio di Sicurezza degli accordi intesi a stabilire il numero, il grado di preparazione, la dislocazione delle forze armate utilizzabili poi dall’organo allorquando se ne presenti la necessità. L’utilizzazione in concreto dei vari contingenti nazionali (in base a quanto stabilito dagli articoli 46 e 47) deve far capo ad un Comitato di Stato Maggiore, composto dai Capi di Stato Maggiore dei cinque membri permanenti e posto sotto l’autorità del Consiglio di Sicurezza. Va precisato, tuttavia, che questi articoli della Carta dell'ONU non hanno mai ricevuto applicazione.
Il Consiglio è di solito intervenuto in crisi internazionali o interne con misure militari tutte riportabili all’art. 42, attraverso le operazioni di peace-keeping, affidate ai caschi blu dell’ONU.

La legittima difesa
L’articolo 51 della Carta assicura ad ogni Stato il diritto naturale a rispondere in legittima difesa ad un attacco armato, fino a che il Consiglio di Sicurezza non intervenga con misure necessarie al ristabilimento della pace e alla sicurezza collettive.
Lo Stato che ha subito l’aggressione non deve occupare il territorio dello Stato nemico.
L’azione in legittima difesa (per la quale non necessita l’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza) è compiuta nei limiti della necessità, proporzionalità e immediatezza, e ha in ogni caso un termine finale (segnato dall’intervento del Consiglio di Sicurezza).

L’articolo 51 parla della legittima difesa individuale e collettiva. Con tale ultimo termine si indica quel tipo di reazione ad un attacco armato proveniente non solo dallo Stato, vittima dell’attacco, ma anche da Stati terzi. Il riferimento è a quegli accordi (di mutua assistenza) e a quelle organizzazioni regionali (NATO, Patto di Varsavia, etc.) che l’articolo 53 della Carta menziona. Secondo, quindi, quanto disposto dagli articoli 51 e 53 è possibile che organizzazioni regionali, o comunque Stati uniti da patti di mutua assistenza, possano usare la forza, sotto la direzione del Consiglio di Sicurezza, o - senza la sua autorizzazione - nell’ipotesi di reazione ad un attacco armato già sferrato.
Rientra nella fattispecie anche la legittima difesa esercitata contro un attacco armato condotto da gruppi armati, mercenari o irregolari che agiscono per conto di un altro Stato, purché l’attacco sia talmente grave da essere ricondotto a quello compiuto da un esercito regolare.

Allegati

  • AZIONE RISPETTO ALLE MINACCE ALLA PACE, ALLE VIOLAZIONI DELLA PACE ED AGLI ATTI DI AGGRESSIONE (articoli 39-51)
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