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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Diego Cipriani

Le bugie della droga

"Mosaico di pace" ottobre 2004

Il conflitto in Colombia va avanti dagli anni ‘40. Perché è entrato anch’esso nella lista delle guerre dimenticate?
Più che di una guerra, si può parlare di un vero e proprio stillicidio quotidiano senza che vi siano state però delle esplosioni di particolare intensità, a parte quella che sta proprio all’inizio di questo conflitto, e cioè l’uccisione nel 1948 del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán che provocò quasi 3.000 morti. È una guerra dimenticata perché si svolge in una porzione del globo in cui il controllo, anche dell’informazione, da parte degli Stati Uniti è predominante. Comunque, più che dimenticata, direi che è una guerra mascherata da un ventennio come “guerra della droga”. Certamente il narcotraffico ha la sua importanza nel conflitto colombiano, ma lo si è voluto individuare come unico responsabile della situazione di questo Paese, deviando l’attenzione sulle vere cause.

Il titolo del suo ultimo libro sulla Colombia parla di un “Paese dell’eccesso”. Come mai questa definizione?
In realtà il titolo del libro è stato scelto dall’editore… ma ritengo che si possa ben riferire a un Paese veramente straordinario la cui bellezza è “eccessiva” quanto la violenza che la insanguina.

Si può dire che questa guerra è figlia delle politiche neoliberiste imposte all’America Latina?
Anche se non proprio figlia è comunque discendente proprio perché nasce in un’epoca lontana, molti decenni fa, nella quale il neoliberismo non era ancora nato. Certamente il motivo che oggi tiene vivo questo conflitto è

Una marcia per la dignità
60.000 indios colombiani hanno partecipato, nella settimana dal 13 al 18 settembre scorsi, alla ‘“Marcia dei popoli per la vita, l’allegria, la libertà, la giustizia e l’autonomia” che, partita da Piendamò (nel dipartimento di Cauca) è giunta, dopo 100 chilometri lungo la leggendaria Autostrada Panamericana, a Cali per protestare contro la violenza e l’etnocidio di cui gli indios sono vittime.Il governo ha cercato in tutti i modi di dissuadere i responsabili della manifestazione ad abbandonare il progetto, per i rischi di infiltrazione di organismi illegali e per la presenza nella zona di reparti dei paramilitari.Fra le parole d’ordine lanciate dai partecipanti alla marcia, il no all’ALCA (Area di libero commercio delle Americhe) voluto dagli Usa e a un pacchetto di riforme costituzionali attualmente all’esame del Parlamento colombiano.
riconducibile a cause strutturali perché al di là dei “signori della droga”, della guerriglia e dei paramilitari, c’è in Colombia una scandalosa ingiustizia sociale che le politiche neoliberiste non hanno fatto che incrementare, come dimostra l’attuale presidenza della repubblica, che si è fatta paladina dell’applicazione più selvaggia di tali politiche.

Un presidente, Alvaro Uribe, che in campagna elettorale aveva promesso misure più dure contro i criminali e di aprire negoziati con i paramilitari per smobilitarli e disarmarli. Non sembra, però, che le cose vadano meglio…
La promessa di essere più duro con la guerriglia è stata mantenuta: è aumentato il numero di vittime degli scontri tra l’esercito e i guerriglieri. E questo vale sia per i guerriglieri sia per l’esercito, anche se il numero delle vittime tra le forze armate non viene divulgato. Con i paramilitari aveva sì promesso di firmare la pace, ma è una pace che sa molto di farsa, sia perché la reazione violenta si è concentrata esclusivamente sulle fazioni dissidenti dei paramilitari sia perché ancor prima di contrattare la pace erano state offerte ai paramilitari vantaggiose offerte di impunità. Nell’indifferenza della comunità internazionale, emerge l’interesse degli Stati Uniti (molto sensibili alla questione della lotta alla droga) a boicottare queste trattative perché vorrebbero processare i capi paramilitari implicati nel narcotraffico e non, invece, scendere a patti con essi. Ma sembra che l’unico interesse del governo sia quello di ridurre il numero degli attori armati del conflitto, come se i paramilitari non potessero riconventirsi in altri settori!

La stragrande maggioranza delle vittime di questo conflitto è costituito da civili, e questa non è purtroppo una novità nelle guerre moderne. Ma tra le vittime, alto è il numero di sindacalisti, difensori dei diritti umani, donne, esponenti delle comunità indigene.
Queste vittime sono la conseguenza dell’imbarbarimento della violenza che tocca tutti i contendenti. Ma oltre alle vittime della classica “guerra a bassa intensità” o della guerra irregolare, ci sono anche le vittime di un’avanzata del processo economico “modernizzante” che, ad esempio, impone la monocoltura in determinate zone del Paese o la costruzione di grandi infrastrutture. Dunque sono anche vittime di un processo economico imposto da una globalizzazione che non rispetta i diritti dei popoli e degli esseri umani: insomma, un’economia che guida la violenza senza passare dalla politica.

Anche i media italiani non brillano certo per attenzione nei confronti di questo conflitto…
Questo è senz’altro vero se confrontiamo il conflitto in Colombia con quello mediorientale o in Iraq. Continua a esserci disinformazione o comunque scarsa informazione, anche se c’è una tendenza al miglioramento rispetto al passato.

Guido Piccoli
Guido Piccoli, giornalista e sceneggiatore, ha vissuto a Bogotá gli anni più caldi della “guerra ai narcos”. Sulla Colombia ha scritto la biografia di Escobar, Pablo e gli altri (Ega 1994) e la guida della Clup (1996). Per Feltrinelli ha scritto Colombia, il Paese dell’eccesso. Droga e privatizzazione della guerra civile. Un suo articolo è apparso sul numero di marzo 2002 di Mosaico di pace.
In generale, ciò risente della pigrizia dei media italiani per le questioni di politica estera. La conseguenza di questo atteggiamento, ad esempio, è che si continua a spacciare per vera l’idea che questo conflitto nasca e perduri a causa del narcotraffico e che, se questo finisse, finirebbe anche la guerra. L’altra idea che si spaccia per vera è quella di una democrazia debole assoggetta alla violenza dei due estremi, una sorta di teoria degli opposti estremismi alla colombiana. In realtà, questa guerra non ha alcuna speranza di cessare nell’immediato.

Un giudizio pessimista?
Sì, purtroppo non riesco a essere ottimista. Per me, l’unico modo per far finire questa guerra è quello di attenuare le cause della sua origine che risiede in una scandalosa ingiustizia sociale, diffusa e drammatica, che il narcotraffico da un lato e il neoliberismo dall’altro non fanno che aumentare. Senza l’eliminazione di questa causa primaria, le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, il gruppo più numeroso della guerriglia, ndr) che si legalizzassero oggi lascerebbero il posto ad altre formazioni di guerriglia che si formerebbero domani. Per di più, questa scandalosa ingiustizia sociale si accompagna a una pantomima di democrazia nella quale formalmente ci sono votazioni e c’è la divisione dei poteri, ma c’è anche un autoritarismo sempre più marcato e il ricorso alla violenza come metodo per il cambiamento (o per impedirlo) non cessa d’essere utilizzato: non a caso questo conflitto nasce con l’uccisione di un leader politico.

articolo tratto da Mosaico logo

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