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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Sudan

"Mosaico di pace" gennaio 2005



“I piloti degli elicotteri hanno attaccato deliberatamente e indiscriminatamente i campi profughi sapendo perfettamente che vi erano civili innocenti” (dal rapporto della Commissione sulla violazione del cessate-il-fuoco dell’Unione Africana relativo agli attacchi ai villaggi di Hashaba e Gallab del 26 agosto 2004)
“Le sole cose di cui c’è abbondanza nel Darfur sono le armi. È più facile possedere un kalashnikov che un tozzo di pane” (Jan Egeland, coordinatore per i soccorsi di emergenza dell’Onu, 1° luglio 2004)

Amnesty International ha diffuso dettagliate informazioni sulle esportazioni incontrollate di armi che alimentano gravi abusi dei diritti umani in Sudan, tra cui uccisioni, stupri, torture e lo sfollamento di oltre un milione di civili dall’inizio del conflitto in Darfur nel febbraio 2003.
“I governi devono smettere di ignorare le conseguenze immediate e a lungo termine di questo commercio totalmente irresponsabile. Devono garantire che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu imponga a tutte le parti in conflitto in Sudan, incluse le forze armate governative, un embargo obbligatorio e rigidamente controllato sulle armi. L’embargo deve mirare a bloccare tutte le esportazioni di armi che si ritiene possano essere usate per commettere violazioni dei diritti umani” ha dichiarato Elizabeth Hodgkin, ricercatrice di Amnesty International per il Sudan.

Nel corso di un incontro con la stampa tenutosi a Nairobi, alla vigilia della riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu prevista in settimana nella capitale del Kenya, i delegati di Amnesty International hanno presentato un rapporto che identifica i principali tipi di armi inviate in Sudan e i governi che hanno deliberatamente o involontariamente consentito questi trasferimenti.
Il rapporto Sudan: armando i responsabili di gravi abusi nel Darfur mostra come le forze del governo sudanese e i loro alleati delle milizie abbiano utilizzato tali armi per compiere gravi violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

“Intorno alle 6 di mattina, due aeroplani Antonov, cinque elicotteri e due Mig hanno attaccato il nostro villaggio. Poi sono entrati cinque carri armati. L’attacco è continuato sino alle 7 di sera… diciotto uomini e due bambini della nostra famiglia sono stati uccisi mentre cercavano di fuggire”.
(testimonianza resa ad Amnesty International nel maggio 2004 da Aziza Abdel Jaber Mohammed e dalla sua sorellastra Zahra Adam Arja sull’attacco a Kornoy, nel Darfur del Nord, del dicembre 2003).

Fra le principali scoperte del rapporto, basato sulle testimonianze di centinaia di sopravvissuti raccolte da Amnesty International così come su documenti commerciali, dati dell’Onu sul traffico di armi e ulteriori fonti, figurano:
- aeroplani militari e loro componenti venduti al Sudan da Russia, Cina e Bielorussia, con alcune componenti per elicotteri vendute dalla Lituania, nonostante tali velivoli siano stati più volte utilizzati per bombardare villaggi e compiere pesanti attacchi contro i civili;
- carri armati, veicoli militari e artiglieria trasferiti in Sudan da Bielorussia, Russia e Polonia, nonostante questi equipaggiamenti siano stati usati per sferrare attacchi indiscriminati contro i civili;
- granate, fucili, pistole, munizioni, altre armi di piccolo calibro e armi leggere esportate in Sudan da altri paesi, principalmente Cina, Francia, Iran e Arabia Saudita;
- il recente coinvolgimento di società di intermediazione di Regno Unito e Irlanda nel tentativo di fornire grandi quantitativi di aerei Antonov e veicoli militari dall’Ucraina e pistole dal Brasile;
- l’addestramento e la cooperazione militare offerti da Bielorussia, India, Malesia e Russia.

“Alcuni governi come quelli di Bulgaria, la Lituania e il Regno Unito hanno già iniziato ad agire per fermare i flussi di armi verso il Sudan e l’Unione Europea ha imposto un embargo, ma altri governi non mostrano alcun segnale di voler chiudere il rubinetto che sta alimentando queste atrocità”, ha affermato Brian Wood, direttore della ricerca di Amnesty International sul commercio di armi e sicurezza.

Amnesty International chiede al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di imporre un embargo obbligatorio per fermare le esportazioni di armi che potrebbero essere usate per commettere violazioni dei diritti umani. L’embargo deve essere accompagnato da un monitoraggio rigoroso da parte dell’Onu, sia all’interno che all’esterno dei confini sudanesi.
L’organizzazione chiede a tutti gli Stati citati nel rapporto di adottare misure immediate e concrete per sospendere tutti i trasferimenti di armi, assistenza logistica e forniture di sicurezza, che si stanno utilizzando per compiere gravi violazioni dei diritti umani in Sudan.

Per impedire al commercio di armi di contribuire a questi disastri, Amnesty International sta anche conducendo azioni di sensibilizzazione nei confronti di tutti gli Stati per stabilire controlli molto più rigorosi sulle armi convenzionali, compresa l’istituzione di un Trattato sul commercio delle armi che impedisca le esportazioni di armi verso destinatari che probabilmente le userebbero per violare il diritto umanitario e il diritto internazionale dei diritti umani.

Il rapporto Sudan: armando i responsabili di gravi abusi nel Darfur è disponibile nel sito internet www.amnesty.org e l’Ufficio stampa di Amnesty International Italia.

articolo tratto da Mosaico logo

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