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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Sigfrido Ranucci

Luci sul fosforo

"Mosaico di pace" febbraio 2006

Un filmato. E una denuncia. Poi un passaggio clandestino sulla Rai. Infine il caso. Quando l’informazione di guerra rompe il controllo. E ritorna libera. Storia di un caso.


È fuori di dubbio che la prima serata per vedere l’inchiesta di RaiNews24 sul fosforo bianco usato dagli americani durante gli attacchi alla città irachena di Fallujah, gli italiani se la stanno organizzando da soli. Sono ormai centinaia le proiezioni che si sono svolte, e che si stanno ancora svolgendo nei circoli, nelle sedi di associazioni, nelle sale delle amministrazioni pubbliche, nelle scuole o nelle università di tutte le città d’Italia. Alcuni sono scesi in piazza armati di un portatile e hanno mostrato alla gente, che camminava per strada, l’inchiesta, è successo a Firenze. Nel quartiere Talenti, a Roma, non avendo di meglio, qualcuno ha pensato di proiettare il filmato sulle bianche pareti di un centro commerciale, tra la curiosità della gente alle prese con le spese natalizie. In centinaia ci hanno chiesto di partecipare a dibattiti per spiegare il nostro lavoro. Ovunque siamo andati abbiamo ricevuto la gratitudine della gente per aver restituito credibilità al servizio pubblico.

La forza del pubblico
Con altre migliaia di utenti invece ci siamo incontrati attraverso il web. In pochi giorni abbiamo ricevuto più di mille mail, e dal nostro sito sono state scaricate circa sei milioni di pagine da diverse parti del mondo. Soprattutto perché non ci hanno fatto sentire soli durante quest’esperienza che nella carriera di un giornalista capita una volta nella vita, se mai capita. Grazie per le belle parole che ci hanno scritto, soprattutto per i sentimenti di stima, ma anche per i consigli (alcuni utenti si sono rivelati ottimi corrispondenti e ci hanno inviato utili informazioni). Un grazie anche per le critiche che ci hanno aiutato a ragionare e migliorare nelle risposte agli attacchi subiti, più da colleghi in verità, che dal Pentagono. Grazie perché provengono dall’unico padrone che un giornalista dovrebbe riconoscere: “Il pubblico!”
È stata un’esperienza bellissima, di quelle che riempiono una vita professionale e restano nella nostra vita e nei nostri cuori, probabilmente irripetibile per argomento e congiunture “astrali” che hanno coinvolto pubblico, politici e quelle che amo definire le “anomale tribù giornalistiche”. Fallujah la strage nascosta, è stata tradotta in diverse lingue, trasmessa in parte da circa 1100 televisioni. Alcuni giorni fa l’abbiamo intercettata sul web su un sito ceceno o tradotta addirittura in lingua persiana. Sui blog ha viaggiato tanto, soprattutto su quelli americani, da occuparsene l’ufficio di J. Negroponte, capo dell’intelligence statunitense, che monitorizza l’informazione pubblica, perché quell’inchiesta stava cambiando l’opinione pubblica americana.
È stata un’esperienza irripetibile anche perché ci siamo trovati prima contro poi a fianco colossi dell’informazione come il New York Times, la Bbc, il Corriere della Sera, L’Espresso, Panorama, The Indipendent, movendoci all’interno del tangibile imbarazzo di alcuni settori dell’azienda che ha preferito non trasmettere in prima serata l’inchiesta. Abbiamo anche combattuto contro tutti i mali dell’informazione italiana e non solo: quello dell’informazione embedded, quell’auto referenziale, narcisista, quell’arrogante, supponente o semplicemente piegata al potere.

Strage voluta
Sono intervenuti strateghi militari di fama mondiale, mezzi maghetti e altro. Gli stessi apparati e giornalisti che vedevano ovunque all’inizio della guerra in Iraq, armi di distruzione di massa e pistole fumanti, che hanno tentato di

attaccare e delegittimare l’inchiesta affermando che i morti mostrati erano stati troppo al sole (come se fossero morti per un’insolazione) o assicurando che il fosforo non uccide. Tentativi maldestri che sono stati rispediti al mittente con le ammissioni dello stesso Pentagono e con la richiesta di una commissione internazionale d’inchiesta da parte dei membri del Parlamento Europeo. Lo stesso N.Y. Times ha chiesto al governo Usa la moratoria delle armi al fosforo. Avevamo anche raccolto testimonianze sull’utilizzo di altre armi non convenzionali da parte degli Usa, ma a riprova della nostra serietà non avendo la prova filmata, non abbiamo ritenuto di farne menzione.

Un po’ di storia
L’inchiesta nasce quando Mohammed Tareq al Deraji, biologo e direttore del centro studi per la difesa dei diritti umani, esce, per la prima volta dall’inizio della guerra, da Fallujah, destinazione Strasburgo. L’ONG “Un ponte per…”, con l’aiuto di alcuni parlamentari di sinistra convoca una conferenza stampa. Mohammed ha portato materiali fotografici e filmati inquietanti. È il 5 giugno. La sala della conferenza stampa preliminare all’audizione di Strasburgo è vuota, come sono vuoti gli scranni del Parlamento europeo. A Mohammed vengono concessi pochi minuti per denunciare quello che era avvenuto durante la battaglia di Fallujah.
Ma l’attenzione della stampa, soprattutto quella italiana, è dedicata alle invettive contro Ciampi da parte della delegazione Leghista guidata da Borghezio. Mohammed mi mostra delle foto e dei filmati che mi sconvolgono: mostrano dei corpi sfigurati senza apparenti segni di ferite. I volti sono fusi dal calore, i vestiti sono praticamente intatti. Le foto ritraggono persone morte durante il sonno, altre mentre pregavano. Mohammed ci racconta anche di una pioggia di fuoco che scendeva dal cielo sui quartieri della città di Fallujah, di gente che prendeva fuoco, di persone che faticavano a respirare. Avevo però la necessità primaria di capire se quei corpi sfigurati fossero effettivamente di Fallujah.
Notai che le foto avevano un numero di identificazione che scoprii essere riportato nei registri cimiteriali redatti sotto la supervisione dell’autorità americana. Quei registri riportavano il nome, quando era stato possibile identificare la vittima; il luogo di ritrovamento, e spesso erano i quartiere di Jolan o di Alskari, quelli cioè più colpiti dai bombardamenti americani; ma soprattutto vi era scritto il luogo di sepoltura. Queste informazioni erano fondamentali per avere la certezza che eravamo alla presenza delle vittime di Fallujah. Ci siamo messi alla ricerca di militari Usa che fossero disponibili a parlare. La rete in questa ricerca è stata fondamentale. Abbiamo scoperto il “soldato Ekkle”. Ekkle, un nickname, aveva cercato di raccontare la vera storia dell’Iraq, ed era stato contattato anche dal settimanale Diariodal collega Mario Portanova che mi aiutò a rintracciarlo. Dopo 40 giorni di scambi di mail riuscii a convincere Ekkle a materializzarsi con il suo vero nome: Jeff Englehart, soldato del 3° battaglione della prima divisione, di stanza a Fallujah durante i bombardamenti del novembre 2004. È lui a raccontarci del bombardamento con armi contenenti fosforo bianco sulla città nei primi giorni di novembre, subito dopo la conferma di Bush alle presidenziali.
L’inchiesta denunciava dunque due fatti su tutto: corpi che presentavano anomalie e un bombardamento al fosforo sui quartieri di Fallujah. Ma erano raccontati anche altri fatti: violazioni di diritti umani, torture, ragazzi uccisi con un drappo bianco in mano in segno di resa, la croce sulla quale è stato inchiodato Gesù Cristo, usata come sfregio nelle moschee. Ma soprattutto ha cercato di fare un po’ di luce su una delle battaglie più misteriose degli ultimi anni. Ancora oggi è impossibile ricevere informazioni da Fallujah, anche perché quando c’era la dittatura di Saddam qualche giornalista poteva andare laggiù, oggi che gli abbiamo portato la democrazia è impossibile raccontarla.
Di tutto questo non si è potuto parlare, si è discusso solo se il fosforo fosse o meno un’arma chimica e se quei morti erano o meno compatibili con quel tipo di agente chimico. Anche a questo abbiamo risposto, abbiamo pubblicato documenti della Cia che nel 1995 riferendosi a un bombardamento con ordigni al fosforo effettuato da Saddam Hussein nel 1988 sui Curdi, lo definiva chiaramente e inequivocabilmente un bombardamento con armi chimiche. A chi vuole prenderci per il naso raccontandoci che è un’arma incendiaria, va ricordato che è da considerarsi tale solo se usata nei modi consentiti, cioè come tracciante (guarda caso è questa la prima versione del Pentagono sull’uso del fosforo fatto a Fallujah) o come schermo per i movimenti delle truppe.
Ma se usata contro le persone, come dice chiaramente Peter Kaiser, portavoce dell’OPCW, l’ufficio Onu per il divieto dell’uso di armi chimiche, in un’intervista che è sul sito di Rai News 24, “è da considerarsi arma chimica!” E Peter Kaiser è l’uomo più qualificato per dirlo. Non è un caso che nessuno oltre noi abbia pensato ad intervistarlo.

Per interessi economici
Ho sempre lavorato e creduto nel servizio pubblico. L’aver realizzato quest’inchiesta come giornalista Rai mi rende particolarmente orgoglioso. Mai la Rai in 50 di storia è stata al centro del mondo per un’inchiesta giornalistica. Aggiungo anche che mai il giornalismo italiano è stato al centro dell’attenzione mondiale come in questa vicenda. Solo l’azienda pubblica, che ha nel suo interno grandi potenzialità e professionalità, poteva realizzare un’inchiesta di questo tipo e su questi temi. Forse sarò banale ma se è vero che le guerre si mettono in moto per interessi economici, e se è vero che gli stessi portatori di quegli interessi hanno in mano giornali e tv, penso sia improbabile avere un’informazione imparziale e indipendente sulle guerre. Per evitare strumentalizzazioni politiche non farò un esempio italiano. La News Corporation di Rupert Murdoch controlla negli Stati uniti: Fox, Harper Collins, New York Post, DirectTV, e 34 stazioni tv. La General Electric invece: NBC, CNBC, MSNBC, Telemundo, Bravo e 13 stazioni tv. Così come la Westinghouse, controlla altre importanti emittenti. Ebbene la General Electric e la Westinghouse sono due delle principali fabbriche di armi nucleari e hanno prodotto la maggior parte dei componenti elettronici usati per esempio nella prima guerra del golfo.
Murdoch invece, un mese prima dell’inizio della guerra in Iraq, dichiarava in un’intervista in Australia: “Il risultato migliore che questa guerra frutterà all’economia mondiale sarà il petrolio a 20 dollari il barile!”. E ancora Murdoch ha aggiunto che il presidente Bush sarebbe passato alla storia come un grandissimo presidente. E forse non è un caso che il capo dei notiziari di FOX, Roger Ailes fosse stato in passato il consigliere capo di Bush per i Media! E Murdoch in Italia controlla Sky. Anche molti media in Italia hanno alle spalle editori e aziende che hanno le mani in pasta nell’affare ricostruzione in Iraq.
Alla luce di tutto questo ci pare credibile l’ipotesi che solo il servizio pubblico poteva realizzare un’inchiesta di questo tipo, e non è neppure un caso che la Rai si sia trovata a fianco, in questa vicenda, un altro servizio pubblico, la BBC, che ha ottenuto l’ammissione dell’utilizzo del fosforo sugli insorti da parte di Barry Venebles, portavoce del Pentagono.
Un’ammissione che è avvenuta, lo sottolineo, ai microfoni della BBC, non a quelli della Rai, che forse sulla vicenda delle armi di distruzioni di massa in Iraq voleva togliersi qualche sassolino dalle scarpe, ricordiamo le dimissioni del suo corrispondente Andrew Gilligan, che aveva rivelato le modalità con cui in Gran Bretagna era stato creato il falso dossier sulle armi di distruzione di massa in Iraq. Questo ci fa capire anche quale credibilità abbia la stampa italiana all’estero e ci dovrebbe far riflettere. Per tutto questo il servizio pubblico va difeso e potenziato: lo ha chiesto a gran voce la gente comune che incontriamo anche a nome della difesa della pace.

Sigfrido Ranucci, giornalista di RAI News 24

articolo tratto da Mosaico logo

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