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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Alex Zanotelli

Farsi eco della profezia della nonviolenza...

"Mosaico di pace" marzo 2004

Così Pax Christi, qualche mese fa, ribadiva il suo impegno quotidiano in una lettera aperta a tutti i credenti e alle comunità cristiane. E lo faceva all’indomani di quelle mirabili parole pronunciate all’Angelus da Giovanni Paolo II, il 30 novembre 2003, “Rinnovo il mio appello ai responsabili delle grandi religioni: uniamo le forze nel predicare la nonviolenza, il perdono e la riconciliazione! ‘Beati i miti, perché erediteranno la terra’ (Matteo 5,5)”.

In questa breve ma ricca affermazione c’è tutto quello che un cristiano deve fare per essere costruttore di pace. Anzitutto, il ruolo delle religioni: non è più tempo, per le Chiese, di silenzi e connivenze di fronte al tragico ripetersi di conflitti e dell’instaurarsi del “pensiero unico” della guerra, intesa ormai come unico mezzo per risolvere le controversie… ma anche per far girare l’economia. Ormai il militare è parte essenziale del sistema economico-finanziario. In secondo luogo, lo stretto connubio tra nonviolenza, perdono e riconciliazione: tre tappe dello stesso percorso, per il quale non si dà l’una senza le altre. I cristiani dovrebbero allora essere “maestri” della pedagogia della nonviolenza, dovrebbero essere i portatori sani di quella che Bernard Häring definiva la “forza terapeutica” della nonviolenza.

Infine la citazione della beatitudine della mitezza. Non credo che il Papa l’abbia utilizzata come un ornamento letterario. Sono convinto, infatti, che la nonviolenza alla quale siamo chiamati abbia la sua radice proprio nella Parola di Dio e nello stesso Cristo, modello di nonviolenza. In questo modo, la nonviolenza non è una delle tante teorie che gli uomini sono riusciti a produrre nella storia dell’umanità o di qualche personalità eccezionale, come Gandhi o Martin Luther King.

Al contrario, la nonviolenza evangelica è la sintesi di quel comandamento nuovo (di quell’ordine, cioè) di amarci come Dio ci ama e, addirittura, di amare i propri nemici. I miti, allora, non sono i passivi, gli arrendevoli o gli amici del dittatore di turno, ma sono i nonviolenti, coloro che sanno perdonare e lavorare per la riconciliazione, quanti disarmano anzitutto i propri pensieri e i propri cuori, rinunciando a qualsiasi idea di qualsiasi nemico.

Per Gesù la nonviolenza rimetteva gli oppressi della Galilea in piedi, ridava loro dignità, rifiutando così la logica dell’ “occhi per occhio”. “Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli l’altra” (Mt 5,39), diceva Gesù. Per colpire uno sulla guancia destra bisogna usare il manrovescio e al tempo di Gesù veniva usato dal padrone per umiliare lo schiavo. Gesù dice: “Mettiti in piedi fratello, tu sei un uomo, non uno schiavo! E porgigli la guancia sinistra”.

“Se chiude la mano o usa il pugno della mano, il padrone è costretto a trattare lo schiavo come suo pari” – dice W. Wink in un bellissimo volume Rigenerare i poteri. In un mondo di onore e umiliazioni, si è impedito a un pre-potente di svergognare un “inferiore” in pubblico. Gli è stato sottratto il potere di disumanizzare l’altro. Come insegnava Gandhi, “il primo principio dell’azione nonviolenta è la non cooperazione con tutto ciò che si prefigge di umiliare”.

Se crediamo che questa sia la via, l’unica via per la sopravvivenza del genere umano, destinato altrimenti al suicidio, allora dobbiamo credere che essa valga non solo a livello personale e interpersonale, ma anche nelle relazioni sociali e internazionali, nonché nelle nostre Chiese. Occorre cioè credere che la nonviolenza possa diventare prassi quotidiana, comportamento “normale” dei singoli e dei gruppi, strategia che regola i rapporti tra gli Stati, strumento che la politica preferisce alla guerra, quella guerra verso la cui “proscrizione”, come disse il Papa durante la prima guerra del Golfo, l’umanità deve risolutamente andare.

La nonviolenza attiva deve diventare una dimensione essenziale della sequela. Le Chiese devono avere il coraggio di proclamare che è Gesù che l’ha praticata nella sua vita. Se la Chiesa scomunica chi abortisce o dice che non può fare la comunione una donna che usa i contraccettivi, non dovrebbe scomunicare chi va a bombardare in una guerra come quella contro l’Iraq ritenuta “immorale” (card. Martino) e “criminale” (card. Tauran)?
Con l’augurio che queste pagine siano utili al nostro comune cammino.

articolo tratto da Mosaico logo

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