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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Guido Miglietta

Un paese in ostaggio, Colombia senza speranza?

"Italia Caritas" luglio-agosto 2004

Si calcola che il conflitto che da quarant’anni insanguina la Colombia sia causa di circa settemila morti all’anno. Un tributo di sangue pesantissimo, che rende urgente una riconciliazione nazionale. Ma non è semplice mettere fine al terrorismo guerrigliero e, per converso, al “paramilitarismo” che hanno preso in ostaggio la società colombiana. Il controllo del territorio da parte di fazioni terroriste e forze paramilitari disintegra l’unità nazionale, a vantaggio di poteri locali e regionali violenti e antidemocratici. Sul piano politico, il governo considera il fenomeno paramilitare come un’unità, ma (come accade nel campo della guerriglia) tra le formazioni paramilitari esistono profonde divisioni storiche.

Il governo attuale ha ribattezzato “Piano patriota” il suo programma di intervento. La cui logica prevede che l’esercito entri nelle foreste per farne sloggiare la guerriglia e compia arresti di massa, come già avvenuto nella regione del Caquetá, dove il 60% degli arrestati sono poi risultati innocenti. Va a finire che a dover abbandonare il territorio sono le popolazioni locali, consolidando il gigantesco popolo dei desplazados. Gli effetti di tale strategia (“Non è il tempo di negoziare la pace, ma di fare la guerra”) appaiono dubbi persino sul piano militare, mentre i grandi problemi sociali, a cominciare da quello dei milioni di rifugiati, vengono accantonati. Il governo non intende riconoscere l’esistenza di una crisi umanitaria. Nonostante sia provato che nel 97% dei teritori indigeni siano avvenuti spostamenti di popolazione.

Quarant’anni di guerra bastano
La chiesa colombiana continua, intanto, ad assumere iniziative coraggiose. Nel quarantesimo anniversario dall’inizio delle attività delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), ha esortato il gruppo ad abbandonare la lotta armata. «Quarant’anni di guerra sono sufficienti - ha detto il 27 maggio il vicepresidente della Conferenza episcopale, monsignor Luis Augusto Castro -: celebrate l’anniversario cercando una maniera definitiva di concludere la guerriglia e arrivare all’impegno politico non violento».

E l’arcivescovo di Bogotà e presidente della Conferenza episcopale, cardinale Pedro Rubiano Sáez, ha commentato che la migliore celebrazione sarebbe consistita nella liberazione delle persone sequestrate, chiedendo ai colombiani di seguire l’esempio degli spagnoli dopo gli attentati di Madrid, «dove non un solo cittadino non è uscito a manifestare contro i terroristi».

Il portavoce delle Farc, Raúl Reyes, ha però dichiarato che i guerriglieri continueranno nella lotta perché non esistono condizioni reali per partecipare ad elezioni trasparenti e si va affermando una politica che favorisce il crimine istituzionalizzato contro l’opposizione legale. Vent’anni fa, ha ricordato Reyes, durante un negoziato con il governo le Farc crearono un partito politico, l’Unione Patriottica, che fu perseguito e sterminato. Così le Farc (la maggiore guerriglia colombiana, circa 17 mila membri distribuiti in cento fronti su gran parte del territorio nazionale) resistono all’attuale offensiva del governo.

Nella sua azione evangelizzatrice e di negoziazione, la Chiesa cattolica sta pagando un alto prezzo di sangue. Negli ultimi dieci anni 57 tra vescovi, sacerdoti e religiosi sono stati assassinati nel paese. Alcuni di loro erano stati protagonisti di collaborazioni tra le Caritas Italiana e Colombiana. Proprio la memoria del loro coraggioso impegno evangelico induce a proseguire il cammino comune. In un paese che sembra negarsi ogni via di speranza.

articolo tratto da IC logo

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