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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Diritto violato, non morto: appunti per rafforzare l’Onu

Antonio Papisca
Fonte: "Italia Caritas" giugno 2003

La deregultaion Usa ha svelato il suo volto politico. L’attacco al sistema del diritto e degli organismi internazionali è però una strategia miope, oltre che illegale. Serve una “Convenzione universale” per democratizzare le Nazioni Unite.


Il governo degli Stati Uniti ha messo in discussione sia il vigente diritto internazionale, che si radica nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sia l’intero sistema della “organizzazione internazionale multilaterale”, che di tale diritto è deputata a garantire l’effettività.

E lo ha fatto pesantemente con la guerra in Iraq: non avendo ottenuto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu l’avallo formale dell’azione bellica unilaterale – legittimazione impossibile, poiché avrebbe contraddetto in radice la logica della Carta delle Nazioni Unite –, gli Usa non hanno usato mezzi termini nel manifestare quello che andavano covando da almeno venticinque anni.

Lo snervamento dell’assetto, organizzato in via permanente, della cooperazione fra stati è uno degli obiettivi della strategia cosiddetta della de-regolamentazione (de-regulation), conosciuta anche come reaganomics. Di questa si è solitamente parlato con riferimento al campo dell’economia, ove de-regolamentare significa abbattere gli ostacoli che si frappongono al libero gioco dell’economia di mercato, in vista della realizzazione di un mercato unico mondiale. In realtà, dietro questa dimensione c’è il proposito della superpotenza di sciogliersi dai vincoli costituiti dall’appartenenza a istituzioni internazionali multilaterali. Ora la de-regulation istituzionale porta la sfida al cuore stesso dei meccanismi che producono e garantiscono il diritto.

L’attuale impianto del multilateralismo e del sistema di sicurezza collettiva gestito da un’autorità sopranazionale regge da oltre 50 anni. Il suo bilancio presenta numerosi aspetti positivi: tra gli altri, la creazione e lo sviluppo del diritto internazionale dei diritti umani, la prassi della cooperazione, l’elaborazione della cultura dello “sviluppo umano”.
Il negativo riguarda il settore della sicurezza collettiva, messa in freezer dal quarantennale regime di bipolarismo. Con lo sgretolamento di quest’ultimo, la superpotenza unica ha manifestato la sindrome tipica dei vincitori: il proposito, cioè, di dettare nuove regole per l’ordine mondiale, al fine di collocare se stessa al posto dell’Onu.

Antonio Papisca è professore ordinario di Relazioni internazionali e tutela internazionale dei diritti umani, nonché direttore del Centro sui diritti della persona e dei popoli e titolare della cattedra Unesco di Diritti umani, democrazia e pace all’Università di Padova. È membro del Comitato interministeriale dei diritti umani presso il ministero degli esteri, membro del consiglio direttivo della Società italiana per l’Organizzazione internazionale (Sioi).

La superpotenza ci ha provato con la prima guerra del Golfo, con la guerra in Kosovo, ora con la “guerra preventiva” in Iraq. Ma i giochi sono tutt’altro che chiusi a suo favore. E non potranno esserlo, perché la storia del mondo marcia in altra direzione.

Non soltanto da parte di un numero rilevante di stati, ma anche nel mondo delle formazioni di società civile, a tutti i livelli, compresi gli ambienti universitari e della cultura, c’è una forte levata di scudi contro un disegno considerato destabilizzante e addirittura blasfemo, perché contrario all’etica universale dei diritti umani e allo stesso buon senso comune.

Diritto “blindato”, capace di resistenza
La protervia e la mancanza di intelligenza politica della dirigenza Usa le impediscono di rendersi conto che quanto impiantato nel mondo a metà degli anni Quaranta si è radicato nella prassi politica e nel sentire comune e ha sviluppato, in maniera notevole, la “capacità di resistenza” che inerisce ai principi forti dell’etica e del diritto “costituzionale”.

Il diritto internazionale dei diritti umani è intrinsecamente capace di questa resistenza, perché ha diretta risonanza nella coscienza profonda dell’umanità e perché le formazioni attive di società civile globale si sono appropriate di questo diritto e contribuiscono a dar voce a questa coscienza. È un diritto per così dire “blindato” e il destino dell’organizzazione internazionale multilaterale gli è collegato in maniera indissociabile. E d’altronde nell’attuale stagione storica emerge l’esigenza obiettiva, razionale e ragionevole, di governare i processi di mutamento con forme e strumenti in corretto rapporto di scala con l’ordine di grandezza delle sfide. L’unilateralismo, o unipolarismo che dir si voglia, è risposta sbagliata, miope, irrazionale, oltre che contraria a principi di etica umana oggi ampiamente condivisi.

Il nuovo diritto internazionale dunque non è morto: è violato, e chi lo viola si pone in stato di illegalità, come tale sanzionabile. Occorre evitare di cadere nel pessimismo catastrofista. Il diritto sarebbe morto se non ci fosse chi ne invoca la validità in presenza di violazioni. Ma le cose non stanno in questi termini. Echi si oppone alla nuova barbarie avanza anche proposte, già per il breve periodo. La prima, e più importante, riguarda il futuro delle Nazioni Unite. Si tratta di attivare subito, con determinazione, il tavolo della riforma per “potenziare e democratizzare”. Per dare forza all’autorità sopranazionale dell’Onu, occorrono più legittimazione diretta per i suoi organi e più partecipazione politica popolare al loro funzionamento. Occorre pertanto iniettare bacilli di democrazia, per esempio creando una seconda Assemblea generale, accanto all’attuale, nella forma di una “Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite”, composta da delegazioni dei parlamenti nazionali. Occorre elevare l’attuale status consultivo delle ong a status di co-decisionalità per le materie riguardanti lo sviluppo umano, i diritti umani, l’economia di giustizia.

Occorre rendere più rappresentativo il Consiglio di sicurezza in vista del superamento del potere di veto, rafforzare gli apparati e le procedure deputate alla garanzia internazionale dei diritti umani, sviluppare il sistema di sicurezza collettiva sotto diretta autorità delle Nazioni Unite, sostenere il funzionamento della Corte penale internazionale, avviare a soluzione, una volta per tutte, il problema della iniqua “divisione internazionale del lavoro” (rapporti di scambio tra paesi ricchi e paesi poveri), ecc.

Metodo convenzionale e bacilli di etica
Le proposte, puntuali, non mancano: in Italia, per esempio, è dal 1945 che le edizioni biennali della “Assemblea dell’Onu dei popoli”, collegate alla marcia Perugia-Assisi, curano un dossier propositivo di altissima qualitàpolitica.
Per procedere su questo terreno, rompendo (o quanto meno stemperando) il monopolio interstatuale del dibattito sulla riforma, la via che propongo è il metodo “convenzionale”, in analogia con quanto sta avvenendo per il futuro dell’Unione Europa. Per il rafforzamento e la democratizzazione dell’Onu propongo l’istituzione di una “Convenzione universale delle Nazioni Unite”, composta, indicativamente, da rappresentanze degli stati, delle organizzazioni internazionali regionali, dei parlamenti nazionali, degli enti di governo locale e regionale, delle reti di organizzazioni non governative con status consultivo alle Nazioni Unite. Il compito di questa “Convenzione universale”dovrebbe essere quello di elaborare una serie di documenti, alcuni dei quali da sottoporre, per l’approvazione finale, all’attuale Assemblea generale, che procederebbe secondo le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite riguardanti la procedura di revisione della medesima.

L’auspicio è che sia l’Unione Europea, impegnata nel suo processo di stesura di una Costituzione da parte di una Convenzione, ad avanzare la proposta di “Convenzione universale”, dimostrando al mondo la sua volontà di perseguire pace e legalità per vie democratiche, non con le bombe. Sono certo che l’iniziativa troverebbe il consenso di centinaia di stati, oltre che degli ambienti di società civile e del mondo della cultura.

Non si tratta di inventare un nuovo ordine mondiale. Si tratta piuttosto di sviluppare i sani bacilli di etica umana universale e di legalità umanocentrica di cui è portatrice la prima parte della Carta delle Nazioni Unite.


articolo tratto da IC logo

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