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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Terrorismo, odio distruttivo. Lo vince chi tesse dialogo

Justo Lacuna-Balda
Fonte: "Italia Caritas" giugno 2003

Sul mondo cola una lava di morte, che travolge vite innocenti. E che non conosce né le frontiere degli stati né quelle dello spirito. Ma guerra e bombe non sono risposte “sagge”. Solo la nonviolenza sa affrontare i problemi reali e trovare soluzioni civili.


Gli eventi di matrice terroristica che hanno insanguinato l’Arabia Saudita, il Marocco e il Medio Oriente nelle settimane centrali di maggio hanno lasciato una scia spaventosa di morte, terrore e sofferenza.

L’allarme terrorismo non si ferma e continua ad alimentare paure incontrollabili. Gli attentati sono programmati e sincronizzati in maniera tanto diabolica, da apparire un incubo, più che una realtà. L’odio nascosto, la violenza covata nell’animo e la malignità della mente degli autori di tali atti sono diventati lava incandescente, che al suo passaggio travolge decine di persone inermi, spezzando la vita di uomini e donne innocenti. È un prezzo altissimo, ingiustamente pagato al lugubre manifestarsi della follia umana. È un lungo graffio, spietato e ignobile, disegnato con orrore sulla mappa dell’umanità.

Al dolore degli animi e alla sofferenza delle ferite seguono lo sgomento e l’incertezza. Chissà, domani potrebbe capitare anche vicino a noi, nel nostro quartiere, nella mia piazza preferita, durante le nostre vacanze estive. Il male nascosto nell’animo dei terroristi non conosce né le frontiere degli stati né quelle dello spirito. Esso non si preoccupa della sorte dei credenti o della fine degli infedeli. Quello che cerca è il caos generalizzato, la confusione endemica, la cecità totale. I terroristi non hanno altro pensiero che poter portare a compimento i loro piani di distruzione, sputando sugli occhi del mondo i grumi avvelenati della loro malvagità.

Il terrorismo naviga a vele spiegate
Dopo la cosiddetta guerra in Iraq proviamo qualche seria difficoltà a capire che cosa stia succedendo nel nostro mondo. Non riusciamo a credere che le reti internazionali di criminali e terroristi possano continuare a collocare bombe in luoghi affollati o a organizzare attacchi suicidi contro vittime innocenti.
Ci chiediamo come mai gli addetti ai lavori non riescano a smantellare l’organizzazione capillare del terrorismo internazionale e a troncare le sue innumerevoli coperture. Si rafforza anzi la convinzione che le cellule del terrore organizzato, ovunque esse operino, possano godere di efficaci appoggi logistici e attingere a enormi risorse finanziere.

Justo Lacuna-Balda è membro dei Padri Bianchi – Missionari d’Africa. Africanista e arabista, è rettore del Pontificio istituto di studi arabi e islamistica (Pisai), dove è anche professore ordinario di lingua araba e studi islamici.

Il terrorismo funziona tramite la grande finanza, si avvale delle moderne tecnologie, si arrampica sull’albero del potere costituito. Nasce sempre attraverso una pianificazione ben ideata e una gestazione intelligentemente programmata. Perciò, nella confusione generale del dopoguerra, il terrorismo naviga a vele spiegate, cercando nuovi bersagli da colpire e riattivando le sue cellule nascoste.

La televisione ci ha mostrato meravigliose immagini sulla guerra moderna. Gli esperti in materia bellica ci hanno spiegato quanto siano straordinarie le prodezze inaudite delle “armi intelligenti” e quanto sorprendenti i fuochi d’artificio delle bombe a grappolo. La distruzione di città e villaggi, la morte orrenda di uomini e donne, l’inquinamento delle acque sono stati “saggiamente” presentati avvolti nell’involucro magico della “liberazione” del popolo iracheno. I grandi esperti non osano parlare dell’uso delle bombe all’uranio impoverito e delle terribili conseguenze per la popolazione irachena. In televisione ci hanno fatto vedere le immagini terrificanti della guerra con il nulla osta dei centri di potere e spesso sotto la veste regale della vittoria, della libertà, della sconfitta del male, della fine del terrorismo.

Ma l’atmosfera di guerra continua su tutti i fronti, anche dopo l’ultimo conflitto, il quale prevedeva una soluzione definitiva al problema della proliferazione delle armi di distruzione di massa, al terrorismo e ai conflitti del Medio Oriente. Purtroppo, le previsioni dei sostenitori della guerra in Iraq si sono rivelate fuorvianti, giacché ora si deve ammettere senza mezzi termini che “la guerra sarà lunga”. Sarebbe opportuno chiedersi fino a che punto l’idea di risolvere i problemi umani con la guerra e le armi, secondo una logica puramente bellica, sia un concetto radicato nelle menti umane. Si tratta di un sospetto grave, di un fatto che costituisce lo scoglio principale nella costruzione di un mondo più umano, libero e civile.

Nonviolenza, un’arma “disarmata”
È dunque urgente essere onesti e sinceri, affermando in modo perentorio che la guerra non è, e mai sarà, la strada maestra per risolvere i problemi delle società umane. Non è possibile pensare che la guerra dell’Iraq non abbia provocato migliaia di morti e feriti.

Il ritornello delle “bombe intelligenti” non ci fa pensare più al fatto che le bombe uccidono migliaia di persone, distruggono il territorio, inquinano l’ambiente, lasciano intere comunità nella miseria e nella povertà. Questa è la grande lezione che dobbiamo imparare dall’esperienza irachena: ci vorranno anni per ricostruire il paese, un lungo periodo per calmare gli animi afflitti e turbati, per guarire le ferite profonde nella società. Se a questo si aggiungono le incertezze politiche, le lotte per il potere, il vuoto istituzionale di governo, si capisce come l’alba di un nuovo giorno per l’Iraq sia davvero lontana.

Gli slogan pubblicitari, le formule di laboratorio, gli annunci televisivi, i sorrisi di circostanza per le telecamere possono mascherare la realtà, ma non potranno mai ricostruire ciò che è stato distrutto, calpestato e avvelenato nel cuore trepidante degli iracheni.

Le guerre e i conflitti lasciano sempre accesa la miccia della violenza, alimentano nuovi focolai di inimicizia fra gli stati, riaprono le antiche vette dell’odio nelle popolazioni. La strada è lunga e laboriosa per arrivare a far rinascere la cultura della nonviolenza nel mondo moderno. Ma occorre compiere passi verso la pace. Occorre, in altre parole, sgombrare il terreno dall’idea e dal convincimento che le guerre e i bombardamenti sono necessari per risolvere i problemi umani e le difficoltà reali. Le preziose risorse del mondo sono sprecate nelle guerre e nei conflitti, che assediano e distruggono l’umanità. Essi creano un terreno fertile dove fioriscono la miseria disumana, la povertà crudele, la schiavitù degradante.

La convinzione inamovibile della nonviolenza porta invece ad affrontare con serietà civile i problemi umani e a trovare soluzioni reali. Solo allora uomini e donne di ogni fede e di ogni cultura potranno costruire una pace duratura e vivere senza pregiudizi nel rispetto reciproco. Nel frattempo, è necessario affrontare i problemi di convivenza in un mondo plurale e tessere con determinazione la tela dei rapporti fra culture e religioni del mondo. Impegnando le nostre forze nella lotta per la pace, ferma ma disarmata.


articolo tratto da IC logo


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