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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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La nonviolenza cammina sulle gambe degli uomini

Giuseppe De Rosa
Fonte: "Italia Caritas" giugno 2003

Pacifismi organizzati come mai. Eppure la storia resta una catena di oppressioni e aggressioni. Gli esseri umani non sono spontaneamente inclinati alla pace. Che va anzitutto chiesta a Dio. E cercata nella conversione dei cuori.


Ciò che maggiormente impressiona oggi, quando si riflette sulla pace, è la contraddizione tra il gran parlare che si fa, della pace, e la situazione attuale del mondo, che non è di pace. Mai, infatti, il pacifismo, nelle sue molteplici forme, è stato tanto diffuso nella storia umana, e mai è stato tanto gridato nelle piazze da movimenti pacifisti organizzati. Eppure, la pace non c’è.

Sono appena terminate le guerre in Afghanistan e Iraq e già si minacciano altri conflitti (Siria, Iran). L’India e il Pakistan da anni si contendono il Kashmir. La Corea del Nord minaccia di attaccare con le armi atomiche la Corea del Sud. L’Africa è teatro di guerre e guerriglie, infinite e sanguinose, che insieme con l’Aids piagano quel continente. La guerriglia affligge anche molte nazioni dell’America Latina, come la Colombia. È violenza senza fine tra israeliani e palestinesi.

L’Europa si gloria di essere un continente senza guerre; in compenso, con un floridissimo commercio di armi, aiuta gli altri paesi a scannarsi ferocemente, guadagnandoci sopra. Così, il nostro mondo è un mondo senza pace. La si desidera, la si invoca a gran voce, ma non si riesce a realizzarla. Perché?

Dono di Dio, opera dell’uomo
La pace da una parte è dono di Dio. D’altro canto, è opera dell’uomo. In quanto dono di Dio, essa deve essere chiesta e invocata nella preghiera. Ma quanti, nel mondo di oggi, pregano per la pace o sono consapevoli che senza l’aiuto di Dio non può esserci pace tra gli uomini?

In quanto opera degli uomini, la pace nasce invece dal cuore degli uomini e cammina sulle loro gambe. E questo significa due cose di difficile realizzazione. Significa, anzitutto, che i cuori degli uomini devono convertirsi alla nonviolenza e alla pace. Parrà strana una simile affermazione, ma si deve dire che le persone umane non sono naturalmente e spontaneamente portate alla pace, alla fraternità e alla benevolenza nei rapporti con gli altri. Nel Seicento il filosofo inglese Thomas Hobbes definiva lo stato di natura come “una guerra di tutti contro tutti” (bellum omnium contra omnes) e affermava che “l’uomo per l’uomo è un lupo” (homo homini lupus). Ma già la Sacra scrittura, nella Genesi, aveva presentato gli inizi dell’umanità come un “crescendo” di delitti e di vendette.
Purtroppo tutta la storia umana seguente ha fatto onore a quei tristi inizi, poiché è stata un susseguirsi di guerre, di lotte, di stragi, di oppressioni, di aggressioni, di vendette senza fine, tanto da potersi dire che la storia umana è un seguito di guerre e di conflitti intervallato da brevissimi periodi, non di pace, ma di tregua tra una guerra e l’altra, poiché spesso le paci sono state causa di nuove guerre: si pensi alla pace di Versailles (1919), alla radice della seconda guerra mondiale.

Padre Giuseppe De Rosa dal 1958 fa parte della redazione di Civiltà Cattolica, ne è stato vicedirettore dal 1985 al 1997; attualmente è scrittore emerito della rivista dei Gesuiti.

Tutto ciò ci dice che se non cambia il cuore degli uomini, convertendosi dal desiderio sfrenato del dominio sugli altri e della ricchezza (intesa come strumento di potere e di godimento egoistico), allo spirito di fraternità, di rispetto degli altri e delle loro giuste esigenze, al senso della giustizia nella condivisione dei beni e delle ricchezze, non ci sono per l’umanità speranze di pace. Si dice una falsità storica, quando si afferma che alla guerra succede la pace: si firma, infatti, non la pace, ma un trattato cosiddetto di pace, in attesa di condizioni favorevoli per riprendere la guerra, anche sotto forme diverse, come può essere una guerra economica, che può essere altrettanto disastrosa e distruttiva quanto quella combattuta con le armi. È dunque necessaria un’educazione del cuore e dello spirito dell’uomo alla pace e alle sue condizioni, che sono la verità, la giustizia, lo spirito di fraternità e – diciamo pure in grande la parola cristiana – di carità.

Le tendenze profonde e la conquista dolorosa
In secondo luogo, il fatto che la pace sia opera degli uomini significa che bisogna lavorare per la pace. Se, infatti, questa nasce dalla conversione del cuore, per realizzarsi ha bisogno di “camminare sulle gambe degli uomini”. Costoro, infatti, sono chiamati a essere “operatori di pace”, a cominciare dalla propria famiglia, dal proprio ambiente di lavoro, dalla propria comunità religiosa e civile, dalla propria nazione, per giungere in prospettiva alla comunità internazionale. È impressionante sperimentare quanto sia diffuso il clima di violenza e di prevaricazione nei rapporti umani, anche più semplici e comuni, e quanto sia difficile accettare coloro che sono diversi per nazionalità, razza, cultura o religione, o che la pensano diversamente. Altrettanto difficile, oggigiorno, è instaurare rapporti di comprensione reciproca, di mutuo rispetto (che è cosa diversa dalla tolleranza) e di amicizia. C’è invece la tendenza – teorizzata a suo tempo da Carl Schmitt – a dividere gli uomini fra “amici” e “nemici”, e quindi “avversari” da odiare e da combattere con la violenza e la sopraffazione, che vengono giustificate precisamente per il fatto che si tratta di “nemici”. La massima, così umana e così cristiana (“ogni uomo è tuo fratello”), non è affatto così normale come dovrebbe essere; va invece contro certe tendenze profonde dell’uomo, che questi deve combattere per accettare e fare propria quella massima.

Bisogna quindi lottare per la pace, la quale è sempre una conquista, che può essere assai dolorosa. In realtà il drammatico problema del nostro tempo è che la violenza e la sopraffazione degli uni sugli altri hanno assunto forme istituzionalizzate, garantite dalle norme del diritto internazionale. Così, la situazione di povertà e di sottosviluppo in cui si trova il Sud del pianeta non è avvertita come una situazione ingiusta, favorita e mantenuta dalla rapacità e dalla forza culturale, economico-finanziaria e militare del Nord del mondo, ma come una situazione – disgraziata, certamente – di cui non si può incolpare il Nord, esigendo che questo sacrifichi una parte consistente delle sue ricchezze per incolpare il Sud. È evidente che una tale situazione di ingiustizia legalizzata è una situazione esplosiva, che può fare del XXI un secolo di guerre feroci. Ma quanti oggi ne hanno coscienza?


articolo tratto da IC logo


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