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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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G. Z.

Vocazione di pace

"Il Regno" n. 16 del 1996

Ritornava da una cerimonia in ricordo dei sette monaci trappisti di Nostra Signora dell'Atlante, prima rapiti e poi barbaramente uccisi la primavera scorsa (cf. Regno-att. 8,1996,216 e 12,1996,361). Mons. Pierre Lucien Claverie, vescovo di Orano, sapeva bene che quelle vittime difficilmente sarebbero state le ultime e che il fatto stesso di aver scelto di restare in Algeria metteva a repentaglio la sua vita. È stato ucciso, assieme al suo autista, da un ordigno fatto esplodere nel cortile del vescovado con un congegno a distanza, la sera di giovedì 1 agosto.

Mons. Claverie era un "pied noir" – come vengono chiamati i francesi d'Algeria – della quarta generazione, nato ad Algeri, nel quartiere popolare di Bab el-Oued, l'8 maggio 1938: sin da piccolo aveva ben imparato a confrontarsi e condividere la quotidianità con i coetanei di religione musulmana. Lasciato il paese per svolgere gli studi nell'ordine domenicano, vi tornerà presbitero, nel 1965. Le sue lezioni di arabo classico non saranno frequentate solo da studenti francesi, ma anche da arabi. Divenuto responsabile del Centro diocesano d'Algeri per lo studio e la formazione linguistica, detto "des Glicines", lo lascierà per succedere a mons. Tessier alla guida della diocesi di Orano, nel 1981. Sarà il Card. Duval, vescovo di Algeri, a imporgli le mani nell'ordinarlo vescovo.

Definitivamente legato all'Algeria con l'elezione a pastore, ne chiederà subito la cittadinanza, che tuttavia mai gli verrà concessa. Prima dell'inizio dell'ondata di violenza che sta attraversando il paese, la sua diocesi, 5 milioni e mezzo di abitanti, contava circa 1.500 cattolici, 10 parrocchie, 9 sacerdoti diocesani, 13 sacerdoti religiosi e 45 suore.

La sua spiccata sensibilità nel dialogo con il mondo islamico lo aveva portato a ricoprire l'incarico di membro del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. "Noto ben al di là della comunità cristiana e dei confini della sua diocesi egli aveva contribuito alla creazione della prima Lega algerina per i diritti umani e non esitava a prendere posizione su problemi della società, oltre che della giustizia e dei diritti delle donne. Sul terreno politico, egli non aveva risparmiato le sue critiche in merito all'accordo detto di Sant'Egidio, concluso a Roma nel gennaio 1995 tra il partito dell'opposizione e il Fronte islamico di salvezza (FIS)" (La Croix 3.8.1996, 3-4).

Il nostro sangue si è mescolato
A differenza di quanto era accaduto per i monaci trappisti, il cui rapimento portava la firma del GIA (il Gruppo armato islamico, braccio armato del FIS), questo attentato non è stato rivendicato. La matrice appare comunque chiara: un gesto contro il riavvicinamento tra Algeria e Francia, che la visita ufficiale del Ministro degli esteri francese Hervé de Charette veniva a riconfermare proprio in quel giorno. Ed è insieme a lui che mons. Claverie era andato a rendere omaggio alle tombe dei monaci uccisi.

L'assassinio del vescovo di Orano ha suscitato commenti di indignazione e cordoglio nel mondo e particolarmente in Francia, da parte sia del governo sia dell'arcivescovo di Parigi, Card. Lustiger, a Washington, in Algeria, nonché da parte di un rappresentante del FIS all'estero, Anouar Haddam, che l'ha definito "un atto sadico e immorale, contrario a ogni insegnamento divino". Giovanni Paolo II, nel telegramma inviato a mons. Teissier, arcivescovo di Algeri, sottolineava come per la chiesa d'Algeria "una nuova pagina si aggiunge al martirologio".

Ma i cristiani non sono i soli a morire in Algeria. Lo ricordava mons. Claverie, e proprio questo lo spingeva a restare: "Anche se volessimo partire, non potremmo più farlo. Il nostro sangue si è mescolato". Lo ha ricordato il Card. B. Gantin, prefetto della Congregazione per i vescovi, celebrando le esequie funebri in rappresentanza del papa: "La sua morte è tragica. Essa va ad aggiungersi a quella dei diciotto religiosi che figurano sulle pagine di questo martirologio moderno. Essa si aggiunge anche a quella delle centinaia di algerini che muoiono quasi ogni giorno in questo paese lacerato dalla violenza che nessuna causa saprebbe giustificare. E tanto meno la religione".

Così come i monaci di Nostra Signora dell'Atlante, egli sapeva i rischi che correva. Lui stesso aveva poco prima preannunciato il pericolo di nuovi attentati conseguenti alla visita di Hervé de Charette. Ma ha deciso di rimanere. Lo ha fatto "in segno di solidarietà con il popolo algerino e con tutti coloro che lavorano per la pace". Nel messaggio ai suoi frati, P. Timothy Radcliffe, Maestro dell'ordine domenicano, richiama ancora, con le parole stesse di Claverie, le ragioni che lo hanno condotto a questa scelta: "Alcuni mesi fa, si era espresso sul senso di questa presenza: "La chiesa adempie alla sua vocazione e alla sua missione quando è presente nelle divisioni che crocifiggono l'umanità nella sua carne e nella sua unità. Gesù è morto diviso tra il cielo e la terra, con le braccia distese per riunire i figli di Dio dispersi dal peccato che li separa, li isola e li mette gli uni contro gli altri e contro Dio stesso.

Egli si è posto sulle linee di frattura scaturite da questo peccato. In Algeria, noi ci troviamo su una di queste linee sismiche che attraversano il mondo: Islam-Occidente, Nord-Sud, ricchi-poveri. E qui ci sentiamo al nostro posto, poiché è in questo luogo che si può intravvedere la luce della risurrezione"" (cf. Regno-doc. 19,1995,632).

In questo crocevia di dolore e di contraddizione, egli non si sentiva né un profeta, né un fanatico, né un eroe, ma semplicemente un uomo che aveva stretto con l'Algeria un legame "che niente potrà distruggere, neppure la morte".

La sua trepidazione per i fratelli strappati al monastero di Tibhirine, si unisce alla consapevolezza del segno che costituivano: "Sono stati rapiti, non sappiamo perché. Non abbiamo più ricevuto notizie. Qualsiasi cosa accada, noi ci riconosciamo comunque in essi. Noi riconosciamo in essi la vocazione di una chiesa. Si trovavano lì per la pace, avevano deciso di dare la propria vita per la pace. Vivi o morti, sono artefici di pace". Parole vere oggi, non diversamente, per lui.

articolo tratto da Il Regno logo

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