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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Vescovi cattolici d’Algeria

Una nuova stagione ecclesiale

"Il Regno" n. 1 del 2005

«La ragione di questa assemblea è che stiamo entrando in una nuova fase della vita dell’Algeria. (…) Pensiamo che sia un bene per la Chiesa essere presente in Algeria. Essa le insegna a esistere in quanto minoranza in una terra islamica. È ugualmente utile per l’Algeria poiché essa rappresenta una piccola finestra aperta sulla differenza. Vogliamo porre il segno di una presenza fraterna. E vogliamo avere un futuro anche a motivo delle tensioni tra l’Occidente e un certo numero di comunità musulmane». Con queste parole mons. Henri Teissier, arcivescovo di Algeri, apriva la prima assemblea interdiocesana della storia ecclesiale algerina, nel settembre 2004, cui hanno preso parte 120 delegati, in rappresentanza delle quattro diocesi di Algeri, Laghouat, Orano e Constantine (cf. Regno-att. 18,2004,609). Un mese dopo la sua celebrazione, i vescovi hanno rielaborato i contenuti dell’assemblea in questo documento programmatico. Esso conferma l’indirizzo che ha sin qui caratterizzato la Chiesa algerina – una Chiesa di dialogo e solidale con la popolazione musulmana – e incoraggia le comunità ad aprirsi all’arricchimento proveniente dai tanti cristiani che arrivano in Algeria dall’Africa sub-sahariana o dall’Asia: «La Chiesa di Cristo non è europea. Essa è un dono di Dio a tutti i popoli e le nostre comunità, piccole ma molto diverse, sono chiamate a manifestare tale dono».

Les orientations des évêques: vers une nouvelle étape spirituelle et apostolique, stampa da supporto magnetico in nostro possesso. Nostra traduzione dal francese.


Cari fratelli e sorelle delle quattro diocesi della nostra Chiesa cattolica d’Algeria,

è trascorso ormai un mese dal 22-26 settembre 2004, da quando abbiamo celebrato, in un’atmosfera di grande comunione, l’Assemblea interdiocesana d’Algeri.

Il delegato della vostra comunità vi avrà certamente portato la testimonianza diretta dello svolgimento del nostro incontro. Speriamo che cogliere in essa la comunione che si manifestava tra noi, nonostante le differenze e la distanza dei luoghi di vita e di testimonianza, vi abbia permesso di condividere la nostra gioia.

Come abbiamo annunciato nel messaggio che vi abbiamo rivolto subito dopo la conclusione dell’Assemblea, ora, a seguito di una riflessione tra vescovi delle quattro diocesi, vogliamo rendervi partecipi del nostro discernimento sulle convinzioni e proposte che ci sono state trasmesse dai delegati all’Assemblea.

Lo faremo in tre momenti.

– Anzitutto una riflessione che vorrebbe riprendere come nostre le convinzioni espresse dai delegati all’Assemblea, e svilupparle ampliando l’orizzonte della nostra vocazione e della nostra missione in questa tappa della vita del paese e della nostra Chiesa.

– In seguito riprenderemo le proposte per dedurne gli orientamenti da trasmettere a tutte le comunità cristiane delle quattro diocesi.

– Infine alcune osservazioni o decisioni relative alle strutture da impostare per dare seguito all’Assemblea e per dare nuovo dinamismo alle nostre diocesi e comunità.

I. Le convinzioni riguardanti la missione della nostra Chiesa
Come sapete, la maggioranza dei gruppi che hanno preparato l’Assemblea ha incentrato la riflessione sul tema: «il senso della nostra presenza». Anche il teologo della nostra sessione, p. Henri-Jérôme Gagey, nelle sue due conferenze ha dedicato le sue esposizioni allo stesso tema. È dunque nella stessa direzione che desideriamo proporvi qualche indicazione sulla missione della nostra Chiesa.

Una Chiesa che ci dona la pace e la gioia di Dio

Iniziamo facendo nostra una frase di p. Gagey: la missione di una Chiesa consiste anzitutto nel donare ai suoi membri la gioia del Vangelo e la comunione nello Spirito. Le nostre comunità diocesane o locali devono interrogarsi soprattutto sull’aspetto della fedeltà alla loro missione. Sono davvero luoghi dove ci si possa donare gli uni gli altri il perdono, la riconciliazione, la pace e gioia di Dio? Se in una comunità mancano l’amore reciproco e la comunione non esiste possibilità di testimonianza. Questo appello, vero per la vita interna di ogni comunità, deve valere anche nelle relazioni tra le comunità.

Il Signore Gesù ci ha detto: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). San Cipriano rivolgeva ai cristiani del suo tempo il seguente appello all’unità: «E si ritiene che l’unità, che scaturisce dalla saldezza stessa di Dio, che s’accorda con i misteri del cielo, possa essere frantumata nella Chiesa e spezzata dal divorzio di volontà in conflitto? Colui che non custodisce l’unità non rispetta la legge di Dio, non ha la fede nel Padre e nel Figlio e non ha neppure la vita e la salvezza».

Le differenze esistenti in ognuna delle nostre comunità hanno un significato molto importante. Infatti, se sono riunite nell’unità del corpo di Cristo, manifestano il mistero di comunione, che vive in Dio per l’eternità e al quale ci è concesso di partecipare. La testimonianza di una Chiesa riposa anzitutto sulla sua capacità di creare comunità nelle quali i membri sanno condividere l’amore di Dio e donare al mondo, assai spesso lacerato, un segno di unità.

Una Chiesa solidale

La Chiesa non è fine a se stessa. Il Signore l’ha voluta per rendere testimonianza all’amore di Dio e annunciare a tutti il suo regno di pace. La comunione che deve realizzarsi nelle nostre comunità cristiane è a servizio della loro missione. Una comunione che diventa segno. Ma anche una comunione da perseguire con tutti e a favore di tutti, in modo speciale chi è lontano, escluso, emarginato. La solidarietà è stata il tema del secondo seminario dell’Assemblea diocesana. La nostra Chiesa deve mettere in pratica, nei confronti di tutti, le diverse forme di solidarietà dalle quali può scaturire la comunione. L’Assemblea ha indicato molteplici e concreti ambiti di impegno: la presenza fra i giovani, ragazzi e ragazze, mediante l’accompagnamento scolastico, la formazione femminile, i vari tipi di animazione, la formazione professionale o educativa; l’aiuto a quanti sono bloccati nella trappola della disoccupazione; l’attenzione ai migranti e ai disabili; la ricerca delle collaborazioni da attuare con le associazioni senza fini di lucro, specialmente quelle femminili.

Sappiamo che, tradizionalmente, la vitalità di una Chiesa si esprime su tre linee direttrici, complementari, identificate fin dalle origini con tre parole greche: liturgia (leiturgia), annuncio (kérygma) e diaconia (diakonia), cioè servizio. Il servizio, dunque, non è un’attività marginale. Costituisce la fedeltà di una Chiesa alla sua missione. Gesù ha detto: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Di conseguenza, ogni Chiesa deve dotarsi degli strumenti che le permettono di compiere il servizio della solidarietà, segno e realizzazione del progetto di Dio sul mondo. Nel Nuovo Testamento, la fede che piace a Dio è «la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6).

Una Chiesa solidale non è solo una Chiesa che ha dei servizi di solidarietà, è anche una Chiesa che esprime questa esistenza solidale con tutta la sua vita e di cui ogni membro, con tutte le fibre del suo essere, si sente e si vuole prossimo dei suoi fratelli e delle sue sorelle in umanità, specialmente di coloro che soffrono. Nella parabola della carità – il buon samaritano – Gesù ci invita a farci prossimo del fratello ferito dal quale avremmo potuto stare lontani. «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?» (Lc 10,36).

A più riprese, il Vangelo ci mostra Gesù che «sente compassione per le folle» (Mt 9,36), o per questa o quell’altra persona sofferente. «Commosso», Gesù tocca gli occhi dei ciechi di Gerico (Mt 20,34) o fa suo il dolore della vedova di Nain (cf. Lc 7,13). La parola «compassione» traduce una radice semita (rham) che si trova in ebraico e in arabo. Parola che indica le viscere materne. Gesù, mosso a compassione o commosso, è l’uomo toccato nel più profondo del suo essere di Figlio di Dio.

Con questo atteggiamento, gli anziani della nostra comunità hanno attraversato il periodo di crisi del paese, vivendo con il popolo algerino una solidarietà che era «compassione», nel senso forte del termine, «soffrire con». Non finiremo mai di interpellarci gli uni gli altri per verificare a che punto siamo nel cammino verso la verità nella nostra missione, sotto l’aspetto della diaconia, del servizio e della solidarietà.

Una Chiesa per la giustizia e per la pace

Per ragioni di tempo, la nostra Assemblea non ha potuto interrogarsi direttamente sui problemi della giustizia e della pace. Da molti punti di vista la riflessione sulla solidarietà ha portato ugualmente a scambi di vedute sulla giustizia e la pace. Tuttavia la fedeltà evangelica in questo campo non si mette in pratica mediante i soli atti di solidarietà. Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri a capire i meccanismi che conducono a nuove forme di povertà in Algeria e attorno a noi, a comprendere le cause delle violenze che oggi attraversano molte società nella nostra regione, in Africa e in Medio Oriente. Le comunità dovranno quindi porre tali questioni come una delle dimensioni della fedeltà della nostra Chiesa. I vescovi della Conferenza episcopale regionale dell’Africa del Nord (CERNA), nel loro ultimo incontro, si sono interrogati in proposito e hanno deciso di porre l’argomento allo studio per la prossima conferenza della nostra regione.

Il dialogo di salvezza

Il primo seminario presentato dall’Assemblea è stato quello del dialogo con la società algerina, o con i nostri partner musulmani. La Chiesa d’Algeria ha vissuto una nuova tappa della sua esistenza dopo l’indipendenza, nel momento stesso in cui il concilio Vaticano II esprimeva convinzioni nuove sulle relazioni con i credenti di altre religioni. «Infine coloro che non hanno ancora accolto il Vangelo, sono ordinati al popolo di Dio in vari modi. (...) Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani che professano di tenere la fede di Abramo e adorano con noi il Dio unico, misericordioso, giudice degli uomini nell’ultimo giorno» (Lumen gentium, n. 16; EV 1/326)

Il Concilio, quindi, ci invita a incontrare i credenti musulmani come compagni di viaggio sulle strade della salvezza: «Anche a coloro che senza colpa personale non sono ancora arrivati ad una conoscenza esplicita di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta, la provvidenza divina non rifiuta gli aiuti necessari alla salvezza» (Lumen gentium, n. 16; EV 1/326). Di questa dinamica lanciata dal Concilio, Giovanni Paolo II ha fatto uno dei punti privilegiati del suo pontificato. Il discorso di Casablanca e in particolare la giornata di Assisi del 27 ottobre 1986 sono per noi riferimenti importanti.

Con questa convinzione abbiamo cercato di vivere il dialogo della salvezza con tutti i nostri amici musulmani e gli uomini di buona volontà, in modo speciale dopo l’indipendenza del paese. Il più delle volte non si trattava di dibattiti dogmatici, ma di incontri, di collaborazioni e anche di momenti di comunione e di preghiera condivisa. Questa prospettiva appare nella prima convinzione espressa dall’Assemblea: «Dobbiamo continuare a impegnarci serenamente in un dialogo di fede con i musulmani senza temere di trascorrere lunghi momenti apparentemente inutili, ma semplicemente per essere con. Certe relazioni, soprattutto nelle situazioni di bisogno, possono portarci al dialogo dei cuori. È allora che viviamo una reale comunione e beviamo alla stessa sorgente, ed è allora che è possibile osare le parole della fede. In quei momenti ci rendiamo conto che è un guadagno fare l’esperienza della differenza che aiuta tutti a crescere in umanità, ma per questo occorre superare il pericolo della polemica sterile e bandire la paura, ponendoci a livello delle nostre rispettive esperienze a misura d’uomo».

In questi ultimi anni, per illuminare il tempo dell’incontro e della condivisione quotidiana tra credenti cristiani e musulmani, abbiamo evocato spesso gli «Incontri di Gesù in Galilea»1 o abbiamo definito la nostra Chiesa: «Chiesa dell’incontro» o «Chiesa sacramento».2 La sacramentalità della Chiesa può esprimersi nei nostri incontri in modo significativo se riusciamo a dare loro la necessaria intensità.

Sovente abbiamo anche considerato gli impegni con i nostri partner musulmani come un impegno «in tutti i compiti che permettono la venuta del regno di Dio».3 Oggi, dopo le conferenze di p. Gagey, sappiamo in modo più completo che, se i tempi dell’annuncio del Regno sono stati i tempi di Gesù, la Chiesa, invece, è inviata per indicare in Gesù la persona nella quale il Regno si rivela, si manifesta e si dona. L’enciclica Redemptoris missio afferma: «La natura del Regno è la comunione di tutti gli essere umani tra di loro e con Dio» (Redemptoris missio, n. 15; EV 12/580). Poi l’enciclica aggiunge: «Il Regno (...) si attua progressivamente, man mano che essi imparano ad amarsi, a perdonarsi, a servirsi a vicenda» (Redemptoris missio, n. 15; EV 12/580). Questi due richiami al Regno illuminano grandemente i nostri incontri e il nostro lavoro in Algeria.

Ma come il papa, sappiamo che occorre unire «l’annunzio del regno di Dio (il contenuto del kérygma di Gesù) e la proclamazione dell’evento Gesù Cristo (che è il kérygma degli apostoli)» (Redemptoris missio 16; EV 12/582). È proprio ciò che il teologo della nostra Assemblea, riflettendo sulla missione di Gesù e, in seguito, sulla missione della Chiesa, ci ha ricordato.

In Algeria d’altronde, in una situazione come la nostra, il legame tra i valori del Regno che vogliamo servire e la nostra identità cristiana è percepito immediatamente. Siamo infatti immediatamente identificati come cristiani dai nostri partner musulmani. È anche vero che quanti fra noi sono nati in questo paese si trovano in una situazione differente. Eppure, sempre di più, anch’essi sono riconosciuti come amici dei cristiani e, di conseguenza, come amici di Gesù e del suo messaggio.

I cristiani algerini al centro delle nostre comunità

Il posto dei cristiani algerini nelle nostre comunità ha costituito uno dei temi più importanti della nostra Assemblea.

Abbiamo vissuto tutti questi anni dall’indipendenza in poi nella grande gioia di saperci inviati ai nostri fratelli algerini, nel disinteresse dell’amore evangelico. L’amore non è un mezzo. È l’essenza stessa di Dio. Per ciò Paolo scrive: «l’amore non cerca il suo interesse» (1Cor 13,5). Ed ecco che fratelli e sorelle si sono uniti a noi, forse proprio perché Dio ci ha preservati dal fare proselitismo, cioè dalla pressione indiscreta che cerca di portare l’altro nel nostro campo, nel nostro gruppo, senza preoccuparci del suo itinerario specifico, della sua identità personale e familiare.

Questa constatazione è motivo di grande gioia per la nostra comunità, che apprende, come gli apostoli nel libro degli Atti, che: «Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede» (At, 15,8-9). Come diceva san Pietro, dopo la conversione di Cornelio e dei suoi compagni: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10,34).

Oggi, i cristiani algerini sono al cuore della nostra Chiesa. Dovranno darsi sempre di più e dare alla nostra Chiesa forme di preghiera, di vita comunitaria e di testimonianza adatte al paese e alla sua cultura.

Accogliendo il dono che Dio ha fatto alla nostra Chiesa con l’arrivo di nuovi fratelli e sorelle, anche noi dobbiamo proclamare la nostra riconoscenza perché ci è offerta la possibilità di spogliarci delle nostre abitudini, troppo spesso segnate dalle nostre origini nazionali e culturali, per vestire, insieme, il nuovo abito battesimale, donato da Dio alla sua Chiesa che è in Algeria.

La relazione con le altre comunità cristiane

Un altro tema ampiamente presente nella nostra Assemblea è stato quello delle nostre relazioni con le recenti comunità cristiane che da qualche tempo si sviluppano nel paese. Sappiamo che l’azione di Dio supera da ogni parte i limiti della nostra comunità. Vogliamo essere interiormente disponibili a discernere il dono di Dio ovunque e certamente anche fuori dalle nostre comunità.

Ma vogliamo anche, con tutte le nostre forze, custodire il dono che Dio ci ha fatto, del quale apprezziamo tutta la grandezza, quello dell’incontro rispettoso coi nostri fratelli musulmani, nel rispetto della loro identità personale e comunitaria. Crediamo che Dio ci chiami a vivere nel rispetto dell’altro, anche se non è battezzato. Egli non ci chiede di mettere distanza tra noi e i nostri fratelli non cristiani. Al contrario ci invita a farci prossimo a tutti, soprattutto a coloro dai quali potremmo credere di essere lontani.

Vogliamo essere liberi di riconoscere il dono di Dio nella vita dei nostri fratelli che non sono stati battezzati, come Gesù che ha ammirato la fede del centurione: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli…» (Mt 8, 10-11).

Pensiamo che le guerre di religione abbiano già fatto troppo male al mondo nei secoli. Vogliamo rispettare i fratelli e alle sorelle delle nuove comunità, ma nello stesso tempo anche ricordare loro che, in questo paese, intendiamo offrire a Dio una Chiesa del rispetto dell’altro, della riconciliazione e della comunione al di là di tutte le frontiere. Quando Gesù ha inviato suoi discepoli per la prima missione, ha detto loro: «In qualunque casa entriate, prima dite: pace a questa casa» (Lc 10,5).

Una Chiesa per tutti i popoli

Nonostante l’asprezza di certi periodi storici, la grande grazia accordata alla Chiesa cattolica è stata quella dell’apertura alla moltitudine dei popoli nella moltitudine delle tradizioni culturali. Per ciò un altro tema importante della nostra Assemblea è stato quello dell’apertura delle nostre comunità all’universale. Questo tema d’altronde corrisponde all’attuale evoluzione delle nostre comunità.

Siamo infatti sempre più di origini diverse. I nostri fratelli studenti provenienti dall’Africa subsahariana portano con sé il dinamismo della giovinezza e le ricchezze di una nuova cultura cristiana, quella dell’Africa. Possiamo dire altrettanto dei nostri amici migranti, di passaggio in Algeria. E dobbiamo dirlo di ciascuno di noi per la diversità delle nostre radici culturali e storiche.

La nostra Assemblea ha vissuto questa diversità con grande gioia, in particolare durante la celebrazione eucaristica dell’ultimo giorno. Se teniamo conto delle recenti evoluzioni delle Chiese d’Europa, tale diversità non può che ampliarsi. È una fortuna per noi e per il nostro avvenire, e non è per noi solo una possibilità di rinnovamento, ma anche un’opportunità di testimonianza nel paese. La Chiesa di Cristo non è europea. Essa è un dono di Dio a tutti i popoli e le nostre comunità, piccole ma molto diverse, sono chiamate a manifestare tale dono. L’umanità che noi attendiamo, che vogliamo preparare, è quella che sarà pronta ad accogliere il dono di Dio alla fine dei tempi, quando si dirà: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”» (Ap 21,3).

Una Chiesa che discerne l’azione dello Spirito e si sforza di seguirla

Il documento della CERNA del 1979, Cristiani nel Maghreb. Il senso dei nostri incontri, nel capitolo quarto proponeva una riflessione intitolata: Lo Spirito di Dio agisce in tutti i percorsi autenticamente umani degli individui e dei gruppi. Comprendeva tre svolgimenti che, poiché conservano tutto il loro significato, possono illuminare il cammino della nostra Chiesa e la sua missione nell’incontro con gli uomini e i giovani della società algerina.

– È lo Spirito di Dio che guida la missione della Chiesa.

– Lo Spirito Santo suscita in ciascuno la ricerca di Dio e il servizio agli uomini.

– Cristiani e non-cristiani devono rispondere insieme alla chiamata di Dio…

Queste riflessioni poggiano sulla solida convinzione espressa dai padri conciliari al Vaticano II: «Dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (Gaudium et spes, n. 22; EV 1/1389).

Da quel momento due documenti del papa hanno sviluppato in maniera speciale la stessa riflessione: la lettera Dominum et vivificantem su lo «Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo» e il capitolo III dell’enciclica Redemptoris missio.

Riprendiamo i passaggi più importanti di questo capitolo poiché devono diventare oggetto della meditazione di ciascuno di noi sul significato dei nostri incontri. «Lo Spirito offre all’uomo “luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione” (...) Lo Spirito, dunque, è all’origine stessa della domanda esistenziale e religiosa dell’uomo, la quale nasce non soltanto da condizioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere. La presenza e l’attività dello Spirito non riguardano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo Spirito, infatti, è all’origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell’umanità in cammino» (Redemptoris missio, n. 28; EV 12/604-605).

Qui, come nella riflessione sul Regno, non si tratta di introdurre un tema che condurrebbe a una storia della salvezza universale, distinta da quella che noi celebriamo nel Cristo. Come d’altronde afferma il papa: «L’azione universale dello Spirito non va poi separata dall’azione peculiare che egli svolge nel corpo di Cristo che è la Chiesa. Infatti, è sempre lo Spirito che agisce sia quando vivifica la Chiesa e la spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli uomini e in tutti i popoli, guidando la Chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli mediante il dialogo. Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla Chiesa, alla quale Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13)» (Redemptoris missio, n. 29; EV 12/608).

Non finiremo mai di interrogare la Scrittura e le nostre stesse esistenze per scoprire quanto lo Spirito ci propone. Allo stesso modo non finiremo mai di interrogare la vita dei nostri fratelli per scoprirvi i doni dello Spirito che abitano la loro coscienza e orientano la loro vita, nonostante la diversità delle culture religiose alle quali apparteniamo.

II. Le proposte dell’assemblea: il discernimento dei vescovi
Una quarantina di proposte sono state sottoposte al voto dell’Assemblea. Le abbiamo esaminate con attenzione, in particolare quelle che hanno ottenuto il maggior numero di consensi. Pur sapendo che nello stabilire una classifica non manca una parte di soggettività, le abbiamo raggruppate sotto i titoli di quattro capitoli.

– Le dimensioni fondamentali della Chiesa riassunte dalle parole: convivialità, liturgia e luoghi spirituali;

– la particolare attenzione ai diversi gruppi che compongono la nostra Chiesa: i cattolici algerini, la cappellania degli studenti, i nuovi arrivati e gli espatriati;

– la dimensione esterna di certe nostre relazioni: il turismo, l’ecumenismo, la Caritas;

– la formazione rivolta a tutti.

A. Dimensioni fondamentali
La convivialità (gruppo 3)

È stato sottolineato con frequenza che la nostra Chiesa è una Chiesa fraterna e conviviale. Lo è ma dovrebbe esserlo sempre di più, al punto da formare una grande famiglia dai membri molto diversi ma dove ciascuno ha il suo posto e si sente amato. Occorre lavorare ancora molto nelle comunità locali affinché si possa dire di ogni comunità quanto è stato presentato come ideale della prima comunità cristiana: «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32).

Tutti devono sentirsi a loro agio, ascoltati e responsabilizzati fin dall’arrivo nel paese. Che nessuno si senta escluso ed emarginato, soprattutto nei momenti difficili. È l’opera di tutti, nei diversi ambiti o settori. L’ospitalità, lo svago, la condivisione di preghiera, i gesti di solidarietà, la liturgia…

Liturgia (gruppo 10)

La nostra Chiesa vuole essere una Chiesa orante, in mezzo a un popolo di oranti. La preghiera deve occupare un posto preminente. La liturgia, cioè la preghiera comunitaria, ufficiale della Chiesa sarà veramente «cattolica». La celebrazione dell’eucaristia, memoriale della morte e della risurrezione di Cristo, deve essere al primo posto. Tutti i membri delle comunità devono sentirsi a loro agio nelle celebrazioni ed eventualmente devono poter pregare nella loro lingua d’origine, allargando così la lode e l’intercessione alle dimensioni del mondo intero.

Un posto più ampio sarà dato all’uso della lingua araba o berbera, in particolare ove le comunità sono composte di fedeli di tali gruppi linguistici (in queste lingue occorre che siano disponibili libri di preghiera e di canto). Non si dimenticherà di valorizzare la celebrazione dei santi inscritti nel calendario proprio all’Africa del nord. Si aggiungeranno volentieri i santi recenti di altri continenti, se fedeli provenienti da tali regioni sono membri delle nostre comunità

Gli Atti degli apostoli, il libro della fondazione della Chiesa, ci invita a dare sempre un posto preminente alla preghiera che è sempre stata elevata in ogni tempo e in ogni luogo della storia della Chiesa: «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera» (1,14); «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (2,42).

I luoghi di spiritualità (gruppo 8)

Non siamo un’organizzazione non governativa, ma una comunità di credenti cristiani e di oranti che hanno bisogno di nutrirsi spiritualmente per essere fedeli alla propria missione di servitori della buona notizia. I nuovi arrivati come i più anziani hanno bisogno di luoghi che offrano disponibilità di risorse e di persone in grado di aiutarli nel loro cammino verso Dio e verso gli altri. Continueremo a fare appello a comunità monastiche antiche, ma anche a comunità e a movimenti di spiritualità recenti per rianimare i luoghi che abbiamo dovuto abbandonare (Tibhirine, Clarisses) o fondare nuovi edifici (El Goléa).

B. A proposito di alcuni gruppi nelle nostre comunità
I cattolici algerini (gruppo 4)

L’Assemblea interdiocesana ha mostrato con chiarezza che i cattolici algerini devono avere tutto il loro spazio al cuore nella nostra comunità ecclesiale. Questa comunità è sempre più costituita da persone provenienti da tutti gli orizzonti e da ogni cultura. Il pensiero mediterraneo e la lingua francese, tenuto conto della storia dell’Algeria, vi hanno svolto un ruolo importante nella ricerca di un’espressione comune. Oggi questo influsso diminuisce. La concertazione, la ricerca comune di un’espressione adeguata e incarnata della nostra fede appaiono come la condizione fondamentale per progredire verso una comunità che sia al tempo stesso espressione della Chiesa universale e volto specifico della Chiesa d’Algeria.

Se nei testi affermiamo che i cristiani algerini sono al cuore della Chiesa, la conferma di questa convinzione si trova nella particolare attenzione che essi hanno man mano ricevuto durante la preparazione dell’Assemblea. La riflessione sul loro posto nella nostra Chiesa è diventata questione centrale, mentre all’inizio non costituiva che uno dei vari temi.

Constatiamo che la proposta di un «Direttorio per gli itineranti algerini» ha raccolto, nella votazione finale, il maggior numero di suffragi. Non è un caso, poiché un direttorio per gli itineranti esisteva già. È uno strumento importante e funzionale, ma richiede un aggiornamento, che sarà affidato a persone competenti delle diocesi. Le indicazioni fornite da questo Direttorio sono sufficientemente chiare. Resta da scegliere con cura gli strumenti da realizzare, come pieghevoli, opuscoli, cassette.

Grazie ai vari contributi espressi durante l’Assemblea, abbiamo constatato che non vi è unanimità nell’uso delle lingue e i modi di partecipare alle celebrazioni. Bisogna prenderne atto e costruire a partire da questa realtà. Non abbiamo guide adeguate. Nelle diocesi dove è possibile, occorrerà anzitutto procedere alla creazione di un’équipe che possa definire le basi di un’espressione di contenuto e di forma innanzitutto adatte a questa nascente comunità. Il comitato di attuazione cercherà di facilitare la comunicazione tra queste équipes.

La cappellania degli studenti subsahariani. Volto nuovo e priorità nell’accoglienza da parte della Chiesa (gruppo 5)

Da qualche anno gli studenti dell’Africa subsahariana sono numerosi nelle nostre comunità parrocchiali. Ogni parroco, con la sua comunità, dimostrerà di sentirsi responsabile della loro accoglienza creando luoghi di incontro, di convivialità, di scambio e di formazione sulle realtà del paese. Oltre alle celebrazioni parrocchiali saranno organizzati momenti di nutrimento spirituale. Ci si augura che in vari momenti dell’anno vengano proposti agli studenti ritiri, esercizi, incontri diocesani di spiritualità. A livello diocesano, questa formazione può essere completata da corsi di introduzione alla cultura del paese. L’iniziativa delle università estive va sostenuta. È importante stabilire rapporti più istituzionali tra la Conferenza episcopale regionale dell’Africa del Nord (CERNA) e il Simposio delle Chiese di Africa e Madagascar (SCEAM) per aiutare gli studenti a stabilire un legame tra le loro radici dei paesi d’origine e la realtà del paese di accoglienza e della sua Chiesa.

L’Assemblea ha manifestato la preoccupazione di tenere separati i compiti di accoglienza a favore degli studenti da quelli dell’aiuto per chiarire le relazioni. Preoccupazione apprezzabile, ma non sempre di facile applicazione.

L’accoglienza ai nuovi arrivati (gruppo 6)

È d’importanza fondamentale per assicurare il nostro avvenire. Si realizza anzitutto in ogni comunità. Comporta anche la cura a far scoprire il paese nella ricchezza dei suoi costumi e delle sue tradizioni. È importante fornire la possibilità di studiare le lingue del paese quanto di conoscere la religione musulmana.

Gli incontri di studio dell’Algeria e della sua Chiesa, organizzati negli ultimi anni dall’Unione dei superiori maggiori delegati d’Algeria (USMDA) saranno aperti anche ai nuovi arrivati non praticanti. Si possono sollecitare altri organismi affinché collaborino in questi settori. Quanti sono presenti da più lungo tempo avranno cura di aiutare i nuovi arrivati a inserirsi a livello umano nella società e a condividere le responsabilità di Chiesa.

I nuovi arrivati, per quanto li riguarda, cercheranno di conoscere la storia della presenza della Chiesa in Algeria per capire meglio ciò che ne percepiscono gli algerini. Apprezzeranno la presenza di quanti sono presenti da più lungo tempo che sono stati testimoni e attori di questa storia, che occorre ora far proseguire negli anni a venire.

Gli immigrati (gruppo 7)

Paragonati a quelli dell’epoca post-indipendenza, i gruppi di espatriati attuali sono caratterizzati dalle necessità economiche di scambio in un contesto di globalizzazione. Riteniamo che questi gruppi siano destinati ad aumentare in funzione di tali scambi. Saranno sempre più dispersi e sempre più diversificati a motivo dell’origine nazionale ed ecclesiale, vivendo inoltre sovente senza famiglia e anche, per periodi abbastanza lunghi, spesso rinchiusi in centri di accoglienza (bases-vie), eccetto che nelle grandi città.

Questa situazione pone alla Chiesa il problema di fornire il «minimo sacramentale» senza potere sempre immaginare un’istruzione cristiana adatta né una riflessione specifica sulle realtà del paese. Il fatto stesso di proporre da parte nostra un censimento della loro presenza costituisce una presa d’atto dei progetti di sviluppo del paese, nonché una buona occasione di conoscenza.

Nella misura delle nostre possibilità faremo attenzione a riservare il posto che loro compete nella vita della nostra Chiesa; organizzeremo delle celebrazioni particolari, ad esempio in occasione delle grandi feste, che permetteranno di presentare più facilmente il senso della nostra vocazione. Per raggiungerli nella diversità delle loro lingue, favoriremo la conoscenza dell’inglese come «lingua franca».

Per i gruppi più numerosi, come i filippini, è necessario reiterare la richiesta di preti originari del paese, anche per periodi limitati.

C. Oltre le nostre comunità
Pastorale del turismo

La domanda turistica in Algeria resta fluttuante e la sua industrializzazione ci pare prospettiva ancora remota.

Per quanto ci riguarda possiamo attualmente prefigurare quattro casi: i viaggi ricordo degli stranieri che, nel passato, hanno vissuto e lavorato nel paese; un turismo familiare o ecclesiale con una risposta personalizzata; un turismo «d’avventura», con gruppi più o meno numerosi; all’inizio, quando vengono a visitarci, le richieste saranno di stampo piuttosto culturale; un turismo di dimensione «spirituale» o di pellegrinaggio: la Chiesa d’Algeria ha molte ricchezze: basiliche fondate nel cristianesimo primitivo e basiliche radicate nella storia moderna dell’Algeria… Per rendere un servizio migliore a questo tipo di pellegrinaggio, che passa in genere attraverso le agenzie, converrebbe trovare un coordinamento tra le diocesi.

Da un punto di vista turistico, il Sahara si trova in una situazione speciale. Turismo e spiritualità camminano spesso insieme tanto che sembra importante pensare a un vero servizio pastorale. Sarà necessario offrire luoghi di ritiro, trovare persone competenti, guide formate… poter proporre a dei preti soggiorni prolungati in cambio di un servizio diocesano.

Ecumenismo (gruppo 12)

La presenza di cristiani evangelici o di altre denominazioni è diventata una componente della società algerina. In questo momento è indispensabile mantenere i contatti con questi fratelli cristiani e, insieme al vescovo, compiere una valutazione costante delle nostre relazioni con loro. Questo contatto, che spesso ci turba, ha il merito di mettere in questione certe espressioni della nostra fede, spesso elitarie o miopi, aggravato dall’incapacità di tradurre il messaggio di Gesù nelle lingue del paese.

Nell’intento di avvicinarsi, possiamo prevedere momenti di preghiera comune, di studi biblici congiunti ed, eventualmente, attività comuni.

L’Assemblea, tuttavia, ha mostrato un pressante bisogno di chiarire questioni di fondo, come: la teologia della salvezza, l’ospitalità eucaristica e perfino il battesimo quando è amministrato solo nel nome di Gesù. È dunque davvero urgente che tali questioni siano sottoposte a specialisti competenti. La responsabilità incombe anzitutto ai vescovi, che la potrebbero delegare all’équipe incaricata della formazione.

Le risposte a tali questioni devono figurare nel Direttorio; esse costituirebbero degli elementi di segnalazione sia per le guide sia per i pellegrini affinché il dialogo sia franco e rispettoso.

La Caritas (gruppo 2)

Accogliamo le attività della Caritas come un mezzo privilegiato dell’espressione della carità della Chiesa. Sarebbe opportuno che tutti, da coloro che operano alla base fino a coloro che ricoprono posti di responsabilità, prendano coscienza delle numerose evoluzioni della Chiesa in genere e della nostra Chiesa in particolare. La Caritas, come altre organizzazioni cristiane di solidarietà (Secours catholique, Misereor ecc.) hanno conosciuto un grande sviluppo ovunque nel mondo. La carità e il sostegno allo sviluppo sono ormai un dato acquisito nella dottrina sociale della Chiesa. Ciò permette di collaborare in diversi modi al benessere dalla società, pur salvaguardando l’autonomia che è propria della Chiesa. In un contesto in cui l’economia regge il mondo, la Chiesa, grazie alle strutture della Caritas e delle organizzazioni non governative cristiane, ha potuto denunciare certi abusi e additare i luoghi di povertà presenti in ogni società.

È un lavoro che richiede un contatto attento alla realtà, analisi accurate, professionalità nella gestione dei problemi, tutte condizioni necessarie all’evangelizzazione.

Per ragioni inerenti alla condizione nella quale viviamo, l’autonomia concessa alla Caritas viene limitata. Oggi giuridicamente essa non esiste se non sotto forma di «Servizi Caritas delle diocesi di Algeria». Ciò riduce indubbiamente il margine di attività ma, per contrasto, la Caritas mantiene tutta la sua credibilità sul campo, grazie alla storia recente della Chiesa nella vita del paese. Per ovviare in qualche modo a questa condizione giuridica, la Caritas si fa dovere di collaborare in modo leale con gli organismi di azione sociale della società civile e dello stato. Ci pare necessaria una concertazione regolare tra i delegati della quattro diocesi, come pure un incontro annuale con i vescovi.

Dobbiamo essere attenti ai bisogni reali della società nella quale viviamo. Dobbiamo privilegiare l’analisi per operare i cambiamenti necessari. Tutti, a qualsiasi livello, dovranno improntare la propria opera a una buona professionalità. Occorre imparare a presentare i progetti secondo le norme e la legislazione correnti. Per fare ciò, in una Chiesa quasi esclusivamente clericale, l’aiuto dei laici costituisce un aiuto importante.

In tale prospettiva occorrerà pensare ai mezzi necessari a ogni iniziativa: finanziamenti, locali, personale.

D. La formazione
Un bisogno urgente (gruppo 11)

Siamo consapevoli che il mondo attuale, di fronte a questioni sempre più cruciali, abbia un bisogno urgente e crescente di formazione. Questo assillo deve essere anzitutto assunto da ogni vescovo che provvederà a circondarsi di collaboratori disponibili, a seconda dei bisogni della diocesi. La formazione, tuttavia, necessita che siano messi in campo mezzi consistenti. Perciò, un coordinamento interdiocesano non può essere che benefico. Il Centre d’etudes «des Glycines» ci pare risponda adeguatamente a questo bisogno, e dovrà trovare posto in questa dimensione e assumerà il valore simbolico di una prima opera interdiocesana.

L’apprendimento della lingua araba è un buon esempio della necessaria attuazione. Si tratta di alternare l’apprendimento di base con periodi di soggiorno sul posto. Questo richiede la realizzazione di luoghi di accoglienza per gli stage nelle varie diocesi e il coordinamento dei periodi di soggiorno. Non c’è dubbio che vi sia materia per un coordinamento.

Appare sempre più chiaramente la necessità di una équipe per la formazione biblica, teologica, umana, sull’islamismo che raggiunga i gruppi e le comunità disperse e spesso prive di mezzi formativi. L’équipe avvierà un lavoro personale indispensabile che arricchirà gli incontri della comunità parrocchiale o religiosa. Essa offrirà strumenti di lavoro: griglie di lettura, indicazioni pertinenti nella scelta delle opere disponibili… Sarà compito del responsabile diocesano della formazione suscitare le collaborazioni.

Il lavoro personale e il confronto sono più che mai necessari in questa Algeria che cerca la sua identità.

III. Accogliere concretamente il dinamismo dello Spirito
L’Assemblea interdiocesana è stata il primo incontro del genere a essere organizzato insieme dalle quattro diocesi, rispondendo così a un’aspirazione nota da qualche tempo, cioè di vedere rafforzarsi i rapporti tra le diocesi. L’Assemblea si augura di vedere questi legami consolidarsi e rafforzarsi. Una delle proposizioni che ha ottenuto il maggior numero di suffragi inizia così: «Occorre rendere la nostra Chiesa ancora più fraterna a livello locale, diocesano e interdiocesano affinché ciascuno possa essere ascoltato pienamente e sentirsi amato». Per seguire la realizzazione degli aspetti interdiocesani di queste proposizioni, l’Assemblea propone l’istituzione di un «comitato di attuazione». Durante lo svolgimento dell’Assemblea, infatti, è affiorato un grande sentimento di unione tra i membri delle diverse diocesi. Come vescovi ci auguriamo che questa dinamica possa continuare negli anni a venire e vogliamo restare aperti a nuove prospettive. Ci siamo quindi trovati d’accordo sul principio di un comitato di attuazione.

Siamo però altrettanto consapevoli che è difficile definirne i compiti. Esamineremo di seguito il ruolo del comitato di attuazione, il suo funzionamento, la sua composizione prima di affrontare qualche problema particolare.

Il compito del comitato di attuazione

La lettura attenta delle proposizioni dell’Assemblea mette in evidenza due tendenze.

– La prima insiste sulla centralizzazione dei mezzi umani e materiali (creare un uffico interdiocesano della pastorale degli studenti, erigere il Centro «des Glycines» in centro interdiocesano, unificare i bollettini delle diocesi, creare dei gruppi interdiocesani per centri di interesse…). Il comitato di attuazione avrebbe, secondo questa linea, un compito di coordinamento e di decisione.

– La seconda insiste sulla necessità di una migliore comunicazione tra le diocesi. Il ruolo del comitato non consisterebbe nel coordinare la messa in pratica degli orientamenti dell’Assemblea interdiocesana quanto di vegliare affinché siano gettati ponti tra le diocesi, nel rispetto delle iniziative locali. Il comitato di attuazione sarebbe più consultivo, con un compito di stimolo.

Le due tendenze non si oppongono in modo assoluto, possono perfino completarsi a seconda dei problemi trattati. Per esempio, non si affronta allo stesso modo la questione della formazione e quella della pastorale degli studenti, anche se le due questioni hanno degli aspetti in comune. Tuttavia, a seconda che si privilegi l’una o l’altra, la fisionomia del comitato di attuazione cambia. Una concertazione più puntuale e talvolta un coordinamento sulla maggior parte dei punti della pastorale ci sembrano auspicabili. Una centralizzazione troppo accentuata, invece, non è adatta alla nostra realtà. Scoraggerebbe le iniziative locali già esistenti. Il suo funzionamento richiederebbe persone totalmente disponibili, esigerebbe molte spese a causa delle distanze. Per assurdo rischierebbe di ottenere un risultato contrario a quello cercato. D’altra parte le proposte che ponevano l’accento su un’eccessiva centralizzazione non hanno raccolto la maggioranza dei suffragi. In quest’ottica proponiamo un comitato di attuazione che abbia lo scopo di garantire una concertazione tra le diocesi e, a volte, di proporre un coordinamento leggero e variabile a secondo delle linee direttrici pastorali.

Tenuto conto di quanto abbiamo detto, per il comitato immaginiamo un ruolo consultivo e di stimolo. È incaricato di vegliare sull’applicazione degli orientamenti proposti dall’Assemblea e ai quali i vescovi accordano un’attenzione prioritaria. Il suo ruolo può riassumersi in tre parole: ascoltare, consigliare, stimolare.

– Ascoltare significa anzitutto essere attenti a quanto è compiuto nelle diocesi. Un primo seppur succinto inventario indica che in molti ambiti evocati dall’Assemblea sono in corso delle iniziative. Occorre metterle in comunicazione, da diocesi a diocesi. Ascoltare è anche osservare in quale modo gli orientamenti presi sono percepiti dalla base ed eventualmente spiegarli per farne comprendere il senso.

– Consigliare consiste nell’attirare l’attenzione dei responsabili sui malfunzionamenti che, malgrado la buona volontà di tutti, possono manifestarsi nell’applicazione delle decisioni o nel mettere in opera gli orientamenti. Consigliare, forse, consiste anche nel proporre soluzioni per i problemi incontrati. È un ruolo delicato, in effetti non si tratta d’interferire nel funzionamento delle diocesi, ma di favorire una comunicazione migliore tra di esse.

– Stimolare è ricordare alle diocesi e alle comunità gli orientamenti decisi insieme. Le numerose proposizioni dell’Assemblea sono di ordine diverso. Non tutte possono essere messe sullo stesso piano. Nell’immediato, abbiamo pensato di insistere su quattro direttrici pastorali a dimensione interdiocesana: la formazione, i cristiani algerini, gli studenti e la solidarietà vista dalla prospettiva della Caritas.

Il comitato di attuazione è quindi incaricato di seguire tutte queste questioni e di fare in modo che le informazioni circolino conformemente a quanto è stato stabilito più sopra. Tuttavia, la formazione e la Caritas hanno aspetti specifici sui quali ritorneremo.

Funzionamento e composizione

Il comitato di attuazione è composto da un vescovo responsabile e da un rappresentante di ogni diocesi. Ci siamo sforzati di scegliere i rappresentanti delle diocesi tenendo conto delle linee pastorali assunte. Secondo noi, è evidente che il comitato costituisce un’équipe. È l’équipe nel suo insieme che è investita della missione descritta sopra. Naturalmente ogni membro del comitato ha una propria sensibilità particolare, dovuta alla propria origine, alla propria attività pastorale o ad altro. È dunque possibile che sia più attento a una delle quattro priorità sopra definite. Il comitato viene nominato per un anno. L’esperienza, infatti, permette di aggiustare il ruolo e il funzionamento.

Alcuni problemi specifici

Come abbiamo già detto, alcuni problemi particolari meritano di essere esplicitati.

La Caritas. La proposta dell’Assemblea sulla solidarietà, così come è stata formulata, riguarda soprattutto le iniziative locali, considerate a livello diocesano. La questione che esige una riflessione è l’articolazione di quanto avviene a livello diocesano con l’azione svolta su scala nazionale. Le situazioni sono assai diverse, dall’aiuto puntuale agli interventi che possono contare sul sostegno internazionale. In questo campo, l’azione del comitato di attuazione sarà di due ordini. Primo, recensire le iniziative in cantiere nelle diocesi. La cosa rivelerà le diverse sensibilità rispetto alle modalità di prospettare le attività della Caritas. Secondo, un’informazione sui grandi progetti gestiti dalla Caritas a livello nazionale, i budget impegnati…

La formazione. Il tema ritorna in molte proposizioni, ma designa realtà molto diverse. Abbiamo pensato di nominare un coordinatore interdiocesano per la formazione. Il suo primo compito consisterà nel censire le iniziative esistenti sia a livello diocesano sia a livello dell’Unione dei superiori maggiori e delegati di Algeria (USMDA) nonché delle congregazioni religiose.

Questo primo approccio permetterebbe di operare una scelta tra quanto dipende dalle congregazioni religiose (formazione spirituale dei loro membri…) e ciò che è invece competenza delle diocesi o che è comune a tutti (sessioni di formazione per i nuovi arrivati, ad esempio…). Partendo da ciò, l’incaricato della formazione formulerà delle proposte per sostenere le realtà esistenti, per evitare dei doppioni e per coordinare la formazione nell’insieme della Chiesa d’Algeria e, perché no, proporre sessioni interdiocesane. Tra l’altro, nella misura del possibile, presterà attenzione affinché le altre diocesi possano approfittare dei conferenzieri di passaggio ad Algeri.

L’incaricato della formazione sarà integrato nell’équipe dei «Glycines». Sia per la posizione geografica sia per la sua storia, questo centro svolge di fatto un’attività specifica per la diocesi d’Algeri (biblioteche, conferenze…). Il responsabile della formazione assumerà una responsabilità interdiocesana che applicherà a nome dei quattro vescovi. Il compito di coordinare e animare la formazione nell’insieme delle diocesi compete all’incaricato della formazione e non al Centro «des Glycines» come tale.

Strutture. Sotto questo titolo, sono stati affrontati parecchi argomenti che esamineremo rapidamente. Anche in questo caso le domande sono diverse. Alcune, d’altronde, interessano le diocesi singolarmente, altre, invece, riguardano le diocesi complessivamente. D’altronde si fa già molto per quanto riguarda gli argomenti evocati: gestione finanziaria, informazione sui consigli diocesani… Gli autori tuttavia sottolineano, a giusto titolo d’altronde, che occorre armonizzare una buona informazione e una sana discrezione. Il problema è assai antico. Già Gregorio Magno, papa della fine del VI secolo, affermava in una sua direttiva pastorale: «Il superiore deve custodire il silenzio con discernimento e parlare in modo utile. Non deve né divulgare ciò che si deve tacere né tacere ciò che bisogna divulgare». Esercizio di grande acrobazia che ognuno mette in pratica secondo il proprio temperamento e gli umori del momento!

L’Assemblea ha rivolto parecchie domande che esigono precisazioni

a) Maggior trasparenza nella gestione finanziaria della Chiesa. Occorre distinguere la gestione delle diocesi da quella delle congregazioni religiose o delle nuove comunità. I vescovi non possono rendere conto che della gestione delle loro rispettive diocesi. Le congregazioni o affiliazioni gestiscono i loro beni indipendentemente dalle diocesi. Alcuni preti, d’altronde, hanno dei redditi personali, provenienti, per esempio, dalla loro famiglia. Sono liberi di gestirli come meglio credono.

A livello diocesano troviamo già una certa chiarezza. I conti delle diocesi sono esaminati ogni anno dal consiglio. La verifica dei conti delle quattro diocesi riunite insieme è oggetto della riunione annuale dell’Associazione diocesana d’Algeria (ADA), supporto giuridico della Chiesa cattolica. In questo campo, la questione cruciale riguarda l’avvenire di tale struttura giuridica, cosa che richiede uno studio più attento.

b) Una concertazione tra l’USMDA e i quattro vescovi per quanto riguarda l’evoluzione delle comunità religiose. Di per sé la concertazione esiste già, ma in questo campo le decisioni non dipendono né dai vescovi né dall’USMDA come tale. Le comunità religiose dipendono dai superiori/e, molti dei quali non risiedono in Algeria. Occorre anche notare che la competenza territoriale di questi superiori/e sorpassa quella delle diocesi e perfino del paese.

c) Una serie di domande riguarda i consigli diocesani. Ogni diocesi è invitata a informare delle realtà esistenti e a migliorare il funzionamento di questi consigli. Il numero dei cristiani, le distanze e la disponibilità degli uni e degli altri variano molto da una diocesi all’altra, da qui la preoccupazione di non moltiplicare gli spostamenti e quindi le riunioni.

d) L’Assemblea ha pure formulato la proposta di istituire, in maniera sistematica, dei contratti di durata determinata e rinnovabile tra le persone che svolgono un servizio di Chiesa e il vescovo. Questo tipo di contratto esiste già per i preti fidei donum o i membri della Délégation catholique pour la coopération (DCC; servizio ufficiale per la cooperazione dell’episcopato francese; ndt), per esempio. È augurabile procedere a una estensione generalizzata, almeno per le nuove nomine.

e) Un’ultima raccomandazione, infine, propone di «scegliere come argomento di dibattito della Chiesa per il 2004-2005 l’esame sulle nostre modalità di funzionamento nella Chiesa». La proposta, il cui scopo è in sé lodevole, non ci pare debba costituire l’oggetto di uno specifico seminario. Una riflessione attenta sulle linee direttrici prioritarie che abbiamo definito, invece, porterà certamente delle migliorie.

IV. Conclusione
Un certo numero di proposte ruotano attorno alla questione delle strutture da cambiare, da sopprimere e, perfino, da creare. In proposito, all’Assemblea sono state rivolte due interpellanze alle quali occorre prestare attenzione.

– La prima è quella di Jean Toussaint. I vescovi l’avevano incaricato di preparare un rapporto sulle strutture. Durante il suo lavoro ha raccolto proposte contrastanti: «Occorre alleggerire le nostre strutture; bisogna creare nuove strutture». Poi è arrivato alla conclusione seguente: «È mia convinzione che non si tratti anzitutto di una riforma delle strutture come se fosse sufficiente cambiare la cornice per risolvere, come per magia, tutti i problemi. Penso che si tratti, anzitutto, di operare una conversione: una conversione delle mentalità e delle pratiche».

– La seconda sollecitazione, proposta da Massimo Toschi, laico della Chiesa italiana, invitato all’Assemblea, ha il carattere di una profezia: «Penso che non sia possibile reinventare la vita cristiana. La vita cristiana, infatti, non dipende da noi, è la realizzazione della grazia di Dio. A noi è concesso di obbedire, obbedire alla Parola, obbedire alla preghiera, obbedire alla fraternità, obbedire alla storia: in un’epoca di globalizzazione non è possibile pensare la vostra storia, ma anche la nostra storia, come una storia individuale, separata».

Queste interpellanze ci invitano ad affrontare la questione delle strutture, non in quanto problema specifico ma come dei mezzi al servizio di un fine. Quest’ultima questione scaturisce dalle convinzioni che abbiamo maturato insieme. Potrebbe essere riassunta così: «essere a servizio dell’azione dello Spirito nel cuore di coloro che incontriamo per poter accogliere con tutti il perdono, la riconciliazione, la pace e la gioia di Dio». Perciò non dovremmo mai smettere di leggere la Scrittura nella tradizione della Chiesa e d’interrogare la storia vissuta insieme al popolo algerino e a tutta l’umanità.

La revisione di vita sulle strutture può essere condotta a partire dalle quattro linee pastorali che abbiamo definito: formazione, cristiani algerini, studenti e solidarietà vista con gli occhi della Caritas. Revisione che deve iniziare da ciò che già si fa alla base: comunità, parrocchia, diocesi avendo l’attenzione di comunicarci più e meglio la nostra esperienza. Ciò costituirebbe anche l’occasione per fare il punto sulle modalità secondo le quali viene esercitata la responsabilità, senza dimenticare la complessità dei centri di decisione.

Bisogna che ciascuno di noi, vescovi, preti, religiosi/e, laici, accetti di lasciarsi pungolare dallo Spirito che «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va» (Gv 3,8). Concretamente ciò significa, in modo speciale per coloro che sono stabilmente al servizio di questa Chiesa, superare la paura di essere coinvolti in un nuovo dinamismo e accettare cambiamenti di direzione o di responsabilità, perfino dei luoghi di vita. Ad alcuni, tali cambiamenti possono apparire dolorosi, ma s’inscrivono nel mistero della morte e risurrezione di cui siamo testimoni. L’apertura di principio a queste evoluzioni condiziona ampiamente il rinnovamento che possiamo attendere dalla nostra Assemblea diocesana, ben al di là della comunione vissuta durante la sua celebrazione.

Nutriamo la speranza di poter vivere giorno dopo giorno nell’attesa di essere illuminati sempre più sulla nostra vocazione e che Christian de Chergé definiva come la sua «più lancinante curiosità: Sì, io potrei, se a Dio piace, gettare il mio sguardo in quello del Padre per contemplare insieme a lui tutti i figli dell’islam come egli li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutto della sua passione, rivestiti del dono dello Spirito la cui gioia segreta consisterà sempre nello stabilire la comunione e nel ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze. Per questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, rendo grazie a Dio che pare l’abbia voluta tutta intera per questa gioia nonostante e malgrado tutto».

Roma, 18 ottobre 2004, festa di san Luca,

Gabriel Piroird,

vescovo di Costantina e di Ippona

Henri Teissier,

arcivescovo di Algeri

Alphonse Georger,

vescovo di Orano

Miguel Larburu,

amministratore apostolico di Laghouat

1 Conferenza episcopale regionale dell’Africa del Nord, Le Chiese del Maghreb nell’anno 2000, gennaio 2000, c. III § 1; Regno-doc. 7,2000,252.

2 Le Chiese del Maghreb..., c. III § 2, Regno-doc. 7,2000,252.

3 Conferenza episcopale regionale dell’Africa del Nord, Cristiani nel Maghreb. Il senso dei nostri incontri, n. 5.5; Regno-doc. 1,1980,35.

articolo tratto da Il Regno logo


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