Strumenti di animazione

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Antonella Borghi

Troppi attori per una trattativa

"Il Regno" n. 4 del 2002

Il 9 gennaio sembrava tutto perduto, e la popolazione colombiana, ormai assuefatta a 38 anni di violenza, ha cominciato a prepararsi al peggio. La sera di quel giorno, infatti, il presidente Andrés Pastrana annunciava in un messaggio teletrasmesso alla nazione che le trattative con le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, il gruppo terroristico d’ispirazione marxista più longevo e potente nella storia dell’America Latina) erano a un punto morto, e che a partire dal giorno 11 i guerriglieri avrebbero avuto 48 ore di tempo per lasciare la vasta area smilitarizzata detta "di distensione", che lo stesso Pastrana aveva concesso loro tre anni fa.

In verità, già da ottobre il dialogo tra governo e guerriglia aveva subito una pesante battuta d’arresto, in seguito al rapimento e all’uccisione da parte di una banda di guerriglieri di Consuelo Araujo Noguera, ex ministro della cultura e moglie dell’attuale procuratore della Repubblica. Solo dopo un lungo tira e molla e la promessa di colloqui per un cessate il fuoco, il governo colombiano aveva accettato di prorogare fino al 20 gennaio di quest’anno la zona di distensione, decidendo però nel contempo di rafforzare i controlli militari ai confini dell’area (che copre una superficie di 42.000 km2, più o meno l’estensione della Svizzera) e di autorizzarne il sorvolo da parte di aerei da ricognizione, in deroga agli accordi presi con la guerriglia alla fine del 1998.

Davanti al netto rifiuto opposto dalle FARC, Pastrana (criticato all’interno del paese per un eccesso di generosità nei confronti dei guerriglieri, piuttosto che il contrario) ha deciso di non piegarsi a ulteriori compromessi, arrivando così al drammatico annuncio alla nazione del 9 gennaio scorso. Tre anni di faticose e apparentemente infruttuose trattative stavano per essere buttate a mare, e uno spargimento di sangue di dimensioni inimmaginabili si profilava all’orizzonte, con 14.000 militari già ammassati alle frontiere, pronti a riportare sotto il controllo di Bogotá la zona smilitarizzata che, secondo gli osservatori più critici, è diventata negli ultimi tre anni il centro di raccolta e addestramento dei 16.000 guerriglieri delle FARC, nonché il santuario delle coltivazioni illegali di coca, dalla cui lavorazione e smercio la guerriglia trae la principale fonte di sostentamento.

Solo grazie al tempestivo intervento dell’incaricato speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Colombia, James LeMoyne, il presidente Pastrana ha accettato di concedere un ulteriore ultimatum ai leader della guerriglia, chiedendo una pubblica e fattiva dichiarazione d’impegno per il processo di pace entro lunedì 14 gennaio; altrimenti, la parola sarebbe definitivamente passata alle armi.

Dopo una prima reazione negativa da parte delle FARC, a pochissime ore dallo scadere dell’ultimatum, i rappresentanti del governo e della guerriglia hanno inaspettatamente raggiunto un accordo, decidendo di riprendere i colloqui di pace e mettendo sul tappeto alcuni nodi cruciali, tra cui il cessate il fuoco e la fine dei rapimenti di civili da parte delle FARC. Per parte sua, il governo si è impegnato ad attuare provvedimenti urgenti a favore dei disoccupati e una seria lotta contro i gruppi paramilitari di destra (le cosiddette AUC, Autodifese unite della Colombia, forti di circa 8.000 uomini ben equipaggiati, delle cui efferatezze sono stati spesso complici anche ufficiali dell’esercito regolare).

La mediazione della Chiesa

L’accordo in extremis del 14 gennaio è stato raggiunto per merito del tenace lavoro di mediazione di LeMoyne e del cosiddetto Gruppo dei paesi facilitatori (Venezuela, Messico, Cuba, Canada, Italia, Spagna, Francia, Svizzera, Norvegia e Svezia). Ma "determinante è stata la mediazione della Chiesa", hanno scritto i guerriglieri in un comunicato emesso al termine della trattativa per ringraziare mons. Alberto Giraldo, presidente della Conferenza episcopale colombiana e arcivescovo di Medellín (da sempre in prima linea come mediatore tra le parti in conflitto) e il nunzio apostolico Beniamino Stella. Nei primi giorni di febbraio è stato sancito ufficialmente che la Chiesa cattolica avrà un ruolo di "accompagnamento formale" dei negoziati, insieme a ONU e paesi facilitatori, anche se non è ancora chiaro "quali debbano essere i termini che regoleranno lo svolgersi di tale accompagnamento", come si legge in un comunicato emesso dai portavoce del governo e della guerriglia.

Uno dei primi frutti del dialogo riallacciato è stata la proroga della concessione dell’area di distensione alle FARC fino al prossimo 10 aprile. Ben più difficile si prospetta il raggiungimento, entro il 7 aprile, del cessate il fuoco e della fine di rapimenti, estorsioni e reclutamento forzato di minori e civili da parte delle FARC. Di fatto, nelle settimane seguite alla ripresa delle trattative, la guerriglia, lungi dall’astenersi da atti di violenza, ha addirittura intensificato gli attacchi contro bersagli sensibili, sia umani (sei persone uccise e molte ferite solo nel primo week-end di febbraio), sia strategici, come centrali elettriche, tralicci dell’alta tensione e oleodotti.

L’iniziativa statunitense

Proprio in considerazione degli attacchi massicci subiti da tali infrastrutture, che rivestono un’importanza cruciale per l’economia del paese (soprattutto in riferimento al petrolio), nei primi giorni di febbraio il governo degli Stati Uniti (i cui interessi petroliferi in Colombia sono cospicui) ha chiesto al Congresso di approvare uno stanziamento di 98 milioni di dollari per aiutare la Colombia a proteggere un oleodotto strategico di 770 chilometri, Caño Limón, che porta il greggio dal giacimento di Arauca (nel nord-est del paese) fino al golfo di Coveñas, nei Carabi. L’oleodotto, gestito dalla compagnia statunitense Occidental Petroleum a un costo medio mensile di 40 milioni di dollari, ha subito nel corso del 2001 ben 166 azioni di sabotaggio da parte dei guerriglieri, che lo hanno costretto a restare inattivo per 266 giorni su 365. Le perdite per l’intero settore petrolifero colombiano a causa della guerriglia ammontano a 24 milioni di barili solo nel corso del 2001.

L’iniziativa statunitense (che servirebbe ad addestrare ed equipaggiare un’unità militare colombiana di vigilanza all’oleodotto) ha però scatenato una ridda di voci contrarie. Molti paventano infatti che una simile iniziativa segnerebbe un preoccupante salto di qualità nell’intervento militare degli Stati Uniti in Colombia, finora limitato, secondo gli accordi che vanno sotto il nome di Plan Colombia (cf. Regno-att. 2,2001,47), alla lotta contro il narcotraffico. Un’eventuale cooperazione militare estesa anche alla lotta contro la guerriglia interna, infatti, sembra rispondere alle esigenze del governo Bush di stanare e reprimere ogni forma di terrorismo anche in America Latina, più che al desiderio di "aiutare i colombiani a creare una Colombia che sia una democrazia pacifica, prospera, libera dalla droga e dal terrore", come ha dichiarato il sottosegretario di stato Marc Grossman durante una visita a Bogotà lo scorso 5 febbraio.

Il governo Pastrana si trova a camminare su un difficile crinale, tra un disperato bisogno di aiuti (il presidente Bush ha appena proposto uno stanziamento di 731 milioni di dollari per la lotta al narcotraffico in tutta la regione andina) e l’esigenza di mantenere uno spazio autonomo di manovra nella risoluzione del conflitto quasi quarantennale con la guerriglia marxista. Per quanto deluso dalla mancanza di risultati tangibili, il popolo colombiano sembra ancora propenso a una soluzione negoziale del conflitto, e molti rifiutano la militarizzazione caldeggiata dal grande fratello nordamericano.

Sta di fatto che la via negoziale si prospetta lunga, incerta e assai sfaccettata. In Colombia, infatti, non esiste solo il problema delle FARC. Sul territorio colombiano sono attivi almeno altri tre movimenti guerriglieri, di cui il maggiore, l’ELN (Esercito di liberazione nazionale, forte di 5.000 aderenti) è stato invitato alla fine di gennaio a un "vertice per la pace" di tre giorni, tenutosi a Cuba sotto il significativo patrocinio di Fidél Castro (uno dei maggiori sostenitori dei movimenti di lotta armata in America Latina durante gli anni della guerra fredda) e alla presenza dei rappresentanti di Spagna, Francia, Norvegia e Svizzera. Secondo gli auspici del governo di Bogotá, tale vertice dovrebbe spianare la strada a un negoziato separato con l’ELN, parallelo a quello con le FARC.

Ma un fermo no a qualsiasi negoziato con i guerriglieri è giunto all’indomani dell’accordo tra governo e FARC da parte delle AUC, i gruppi paramilitari che hanno apertamente accusato il "codardo" Pastrana di avere "concesso tutto in cambio di niente". Se la guerra contro la guerriglia avrà presto termine, hanno dichiarato attraverso un portavoce, non sarà certo per merito dei negoziati di pace, ma per merito delle loro armi.

Sul fronte opposto, Pastrana è accusato da tre organizzazioni non governative - Amnesty International, Human Rights Watch e WOLA (Washington office on Latin America) – di non avere rimosso dal loro incarico e perseguito penalmente i militari riconosciuti colpevoli di contiguità, quando non di collaborazione, con i gruppi paramilitari, la cui efferatezza verso la popolazione inerme fa il paio con quella dei guerriglieri. Le tre ONG stanno facendo pressione sugli Stati Uniti, affinché sospendano ogni aiuto alla Colombia finché il governo del paese non avrà dimostrato un maggiore impegno per il rispetto dei diritti umani. Se l’amministrazione Bush staccasse l’assegno a favore di Pastrana "affrettatamente e senza una verifica, dimostrerebbe che gli USA voltano lo sguardo mentre la Colombia resta nell’impunità, nella violenza e nel terrore", recita un comunicato delle tre ONG.

Intanto, il paese si prepara a due importanti appuntamenti elettorali: il 10 marzo si terranno le elezioni legislative (con il dispiegamento di 18.000 osservatori), mentre per agosto sono previste le presidenziali. L’evidente aspirazione di Andrés Pastrana è quella di ottenere qualche risultato concreto sul fronte dei negoziati multilaterali, in modo da spianare la strada al nuovo candidato conservatore.

articolo tratto da Il Regno logo

Footer

A cura di Caritas Italiana (tel. +39 06 66177001 - fax +39 06 66177602 - e-mail comunicazione@caritasitaliana.it) e Pax Christi (tel. +39 055 2020375 - fax +39 055 2020608 - e-mail info@paxchristi.it)