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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Lucia Leggieri

Restituire dignità al paese

"Il Regno" n. 8 del 2005

È ora di far tacere i fucili! E che si dia il via ad atti sinceri e reali di pace (...) È ora che i legislatori definiscano un contesto giuridico che renda possibile il ristabilimento delle relazioni lacerate da un conflitto di più di mezzo secolo (...) È ora di arrivare a un accordo umanitario che serva per iniziare un processo di negoziazione e di pace tra il governo e le FARC e quest’ora non si può più rimandare!

Con questi tre imperativi il presidente della Conferenza episcopale colombiana (CEC), card. Pedro Rubiano Sáenz, ha dato inizio lo scorso mese di febbraio alla 78a Assemblea ordinaria dell’episcopato colombiano, e questi stessi diventano il monito con cui la Chiesa locale esorta tutti, cittadini e governanti, a collaborare per uscire dalla grave crisi in cui da anni ormai stagna il paese latinoamericano.

Il terzo peggior disastro
Quello colombiano sarebbe, a detta di mons. Héctor Fabio Henao, direttore di Caritas Colombia e della pastorale sociale nel paese, il «terzo peggior disastro umanitario del mondo dopo quello del Sudan e del Congo». «La Colombia si trova in piena crisi umanitaria e pare che nessuno se ne renda conto», ha aggiunto ancora Henao.

Le parole forti del messaggio conclusivo dei vescovi della CEC nascono dal continuo protrarsi di una situazione sociale e politica che diventa sempre più insostenibile. Il conflitto in atto ormai da decenni in Colombia tra i due gruppi guerriglieri d’ispirazione marxista, le FARC (Forze armate rivoluzionarie) e l’ELN (Esercito di liberazione nazionale), i gruppi paramilitari AUC (Autodifese unite della Colombia) e le forze regolari non vede soluzioni effettive e concrete all’orizzonte.

I tentativi del governo di intavolare trattative con le diverse realtà in lotta non sono stati del tutto inutili, ma sicuramente insufficienti. Nonostante il disarmo dei gruppi paramilitari e il loro successivo inserimento nell’esercito regolare voluto dal governo di Álvaro Uribe abbia portato alla smilitarizzazione di più di 4.000 combattenti, questo processo porta con sé non poche ombre: le organizzazioni di difesa dei diritti umani nazionali e internazionali e le Nazioni Unite ne lamentano l’incompiutezza e sono critiche riguardo alla possibile impunità finale dei paramilitari. Oltretutto, la repressione del dissenso e la continua minaccia per la vita di chi s’impegna a difesa delle classi più povere ed emarginate (clero, sindacalisti, attivisti politici d’opposizione, civili) è sempre presente: le sparizioni forzate, i sequestri, le esecuzioni sommarie e arbitrarie, i casi di tortura o detenzione illegittima sono ancora all’ordine del giorno.

Sull’altro fronte poi, verso i gruppi di guerriglia insorti, Uribe non ha ottenuto alcun tipo di avvicinamento e, anzi, il conflitto è in questi giorni più che mai acceso: sia nel sud (a Toribio, Cauca) sia nel nord del paese (nella regione di Antioquia), le zone rurali e quelle dove la popolazione è per la maggioranza indigena sono quotidiani teatri di scontri a fuoco che mietono decine di vittime.

La Chiesa mediatrice
In questo quadro, «la Chiesa continuerà a collaborare nella costruzione di una Colombia in pace, dove ci siano verità, giustizia e riconciliazione», dicono i vescovi, per ricordare che la Chiesa locale in questi anni occupa un ruolo di primo piano nelle operazioni di peacemaking, diventando uno dei principali interlocutori nelle trattative con i guerriglieri e tra il governo e i ribelli (cf. Regno-att. 18,2004,634). Quando, ad esempio, nel 2002 i negoziati sembrarono interrompersi, si propose come mediatrice nel conflitto e riuscì più volte a garantire con successo il rilascio di ostaggi. Da quasi un decennio la CEC si è avvalsa inoltre di una Commissione permanente per la riconciliazione nazionale che riunisce personalità pubbliche di alto profilo provenienti da diversi ambiti della società.

Insieme a questo impegno di negoziazione, i vescovi non si stancano di tenere desta l’attenzione sulle vittime del conflitto, auspicando che si riesca presto a «dare al paese una legge di verità, giustizia, riparazione che tenga conto del dolore delle vittime e che apra la strada anche alla riabilitazione davanti alla storia e alla società di chi quelle vittime le ha causate».

Dello stesso segno è anche l’appello al rispetto della vita umana in tutte le sue espressioni «soprattutto laddove si violi la sua integrità o se ne offenda la dignità», perché, ricordano i vescovi, troppo spesso viene messa in pericolo «non solo da chi si trova al margine della legge, ma anche da chi, per la sua responsabilità nella società, è chiamato a vegliare sull’ordine e sul benessere», con chiaro riferimento ad alcuni gruppi politici che si sono pronunciati a favore dell’aborto e dell’eutanasia.

articolo tratto da Il Regno logo

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