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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

Tutti contro tutti

"Il Regno" n. 14 del 1995

Il 9 aprile scorso nel piccolo villaggio di Yosi (400 abitanti) sono stati massacrate almeno 62 persone, tutte donne e bambini. Un gruppo ribelle, non meglio identificato, ha raggiunto il villaggio nel cuore della notte e ha radunato la popolazione. Chi non è riuscito a fuggire è stato ucciso a colpi di machete. Del massacro nella stessa zona ve ne sono stati altri di cui non si hanno testimonianze certe è stata data notizia solo il 18 aprile, quando alcuni fuggitivi hanno raggiunto la capitale, Monrovia, e il comandante della missione osservatori dell'ONU (UNOMIL) ne ha dato notizia.

Un paese da depredare
Le "atrocità" compiute da "tutte le fazioni armate" e denunciate da Amnesty International sono l'amaro esito di una storia nazionale nata sotto il segno del riscatto. La Liberia, fondata come stato nel 1821, doveva essere la patria degli schiavi neri americani liberati. L'attuale guerriglia è scoppiata nel 1989, quando un gruppo di ribelli, guidato da Charles Taylor, ex ministro del governo, ha invaso il paese dalla Costa d'Avorio, rovesciando il regime dittatoriale di Samuel Doe, ucciso sotto tortura (Regno-att. 8,1993,229). I ribelli si sono poi divisi in mille gruppi e sottogruppi, seguendo le linee di frattura etnico-tribale; ogni gruppetto con qualche arma alla mano razzia ciò che può. Il risultato: 150.000 morti e 1,5 milioni di fuggitivi (metà della popolazione). Una forza di pace regionale l'Economic Community Monitoring Group (ECOMOG), i cosiddetti "caschi bianchi", il cui contingente, a maggioranza nigeriana, controlla solamente la capitale ed è molto interessato allo sfruttamento e all'esportazione illegale del caucciù, che frutta molto bene grazie agli acquirenti malesi, coreani e libanesi. E infine la missione ONU con il solo scopo di osservare.

Nella totale anarchia in cui versa la situazione non è possibile attribuire a questo o a quel gruppo la responsabilità del massacro. L'unica cosa chiara è che i civili sono a turno il bersaglio delle fazioni, con l'accusa di parteggiare ora per l'una ora per l'altra. Questa la denuncia dell'Interfaith Mediation Committee che collega cristiani e musulmani del paese. Per sua iniziativa il 9 marzo gli abitanti di Monrovia hanno aderito in massa, nonostante l'opposizione del governo, a uno sciopero generale: "Rimaniamo a casa il prossimo mercoledì per dimostrare che stiamo facendo qualcosa che porterà davvero alla pace", affermava un volantino pubblicato per promuovere la protesta.

A ciò si aggiunge la denuncia della lettera pastorale in occasione della Pasqua, pubblicata dai vescovi cattolici, delle condizioni in cui versa la popolazione liberiana: "Monrovia ha un'infrastruttura costruita per accogliere 300.000 persone. La stessa infrastruttura è stata gravemente danneggiata nel 1990... e ora deve servire per 1.300.000" (ANB-BIA 279, 1.5.1995, 23). I vescovi lodano l'ospitalità delle famiglie che accolgono amici e parenti sfollati nelle loro modeste case, l'abnegazione della gente che si piega a lavori umili e malpagati, la dedizione di chi lavora nelle ONG, la generosità dei missionari che hanno deciso di restare. Tuttavia molte diocesi sono emigrate con il proprio vescovo verso il confine con la Costa d'Avorio: è il caso della diocesi di Cape Palmas, trasferitasi in massa col proprio vescovo, mons. Boniface Nyema Dalieh. Nella diocesi di Gbarnga, le truppe di Taylor hanno distrutto la residenza episcopale e tutto ciò che apparteneva alla chiesa. Il vescovo, mons. Benedict Doty Sekey si è rifugiato a Monrovia e poi a Tabou, sempre presso il confine ivoriano.

Decine sono stati i tentativi di mediazione di un conflitto potenzialmente destabilizzante per gli equilibri politici della regione anche per il problema dei profughi. L'ultimo tentativo in ordine di tempo è fallito il 19 maggio scorso, quando ad Abuja, capitale della Nigeria, i rappresentanti della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale1 e della guerriglia liberiana, costatando il fallimento del vertice, hanno pubblicato una serie di "raccomandazioni" indirizzate ai belligeranti (sull'esecutivo di transizione, sulla necessità di organizzare libere elezioni, ecc.), consapevoli che resteranno lettera morta. Tra gli stati CEDEAO maggiormente interessati all'evolversi del conflitto, Guinea, Ghana e Nigeria appoggiano il governo liberiano (e quello della Sierra Leone); Burkina Faso e Costa d'Avorio appoggiano Taylor (e la guerriglia sierra-leonese), con l'avallo della Libia.

Ora tocca alla Nigeria che dovrà trovare i fondi per il mantenimento della forza di pace ECOMOG, senza poter contare su aiuti internazionali, visto l'esito dei negoziati. Se anche l'ECOMOG si ritirasse si scatenerebbe una guerra totale lasciando a se stessa la popolazione e i rifugiati.

articolo tratto da Il Regno logo

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