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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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A. B.

Adesso i vescovi temono

"Il Regno" n. 6 del 2000

Il 9 aprile prossimo, il Perú torna alle urne per eleggere il presidente che ne reggerà le sorti durante il prossimo quinquennio. Negli ultimi dieci anni, il gioco democratico nel paese andino è stato ridotto a poco più di una mera formalità dalla presenza pervasiva e vieppiù autoritaria dell’uomo forte di Lima, quell’Alberto Fujimori che nella primavera del 1990 conquistò il potere in modo del tutto inaspettato, grazie al voto dei ceti meno abbienti, degli indios e dei meticci (che da sempre si sentono sfruttati ed emarginati dall’élite bianca del paese). Sarebbe interessante, a distanza di dieci anni, raccogliere le impressioni di coloro che, all’epoca, preferirono Fujimori al candidato del Fronte democratico, lo scrittore Mario Vargas Llosa.

La democrazia autoritaria

Un metodo efficace per tastare il polso della popolazione peruviana, otto anni dopo il "golpe bianco" con cui Fujimori sospese la Costituzione vigente sciogliendo le Camere, nelle quali il suo partito era in netta minoranza, sarebbe stato quello del referendum popolare che, nelle intenzioni dei suoi promotori, avrebbe dovuto consentire ai cittadini di esprimersi in merito alla decisione assunta dal Congresso di permettere per al seconda volta al presidente in carica di candidarsi alla propria successione, come già accaduto nel 1995. Ma il Congresso ha respinto la proposta referendaria, e così la campagna elettorale (come tutte le cose che contano in Perú) è nuovamente dominata dallo strapotere del "giapponese" (Fujimori è nato a Lima nel 1938 da immigrati giunti dal Giappone). Contro uno come lui poco potranno le forze esigue e frammentate degli altri otto candidati in lizza.

In un simile contesto di "democrazia autoritaria", anche i vescovi peruviani hanno voluto dire la loro, in vista dell’imminente scadenza elettorale, con il documento Elezioni generali e responsabilità etica, approvato lo scorso 28 gennaio al termine della loro 79a assemblea ordinaria. "In conformità con il sistema democratico, i candidati e i gruppi politici devono godere di uguali diritti", si legge nel documento. E per garantire al processo elettorale tutta la "chiarezza e la pulizia" necessarie, i vescovi invocano non solo la presenza di osservatori esterni, ma anche di "rappresentanti della società civile peruviana, (...) per ricevere e verificare eventuali denunce o anomalie". Com’è accaduto spesso negli ultimi dieci anni, i vescovi peruviani insistono a denunciare "i problemi che affliggono attualmente il nostro popolo: le grandi differenze geografiche e culturali all’interno del paese, la politica demografica, la povertà, le eccessive disuguaglianze sociali ed economiche, la disoccupazione, la corruzione, l’indebolimento delle istituzioni democratiche, l’instabilità giuridica...".

Il prezzo del silenzio

La Chiesa cattolica non nega al governo del presidente Fujimori il riconoscimento di alcuni importanti traguardi raggiunti, come il controllo dell’inflazione, la lotta al terrorismo, il processo di pacificazione interna, gli accordi di pace e di convivenza con Ecuador e Perú. D’altra parte, i vescovi ritengono loro dovere denunciare la crescente mancanza di equilibrio fra poteri all’interno del sistema democratico peruviano (così come esso si è venuto configurando dopo il golpe bianco del 1992 e la nuova Costituzione, varata da Fujimori nel ’93). "In questi dieci anni, i poteri dello stato, e soprattutto i mezzi di comunicazione sono stati utilizzati sulla base di politiche volte a mettere loro il silenziatore", scrivono i vescovi. La mancanza di comunicazione e di dialogo fra chi detiene il potere e i diversi attori sociali presenti sulla scena peruviana porta come risultato l’allontanamento della popolazione dai centri decisionali, con un prevedibile corollario di disimpegno e di indifferenza da parte della gente comune, sempre più estranea e diffidente verso la politica e ogni altra forma di impegno sociale, in un paese che, al contrario, avrebbe un disperato bisogno di partecipazione, di condivisione e di solidarietà. La questione democratica è oggi al primo posto.

articolo tratto da Il Regno logo

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