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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Antonella Borghi

Elezioni: il ballottaggio è già una vittoria

"Il Regno" n. 10 del 2000

Tutto ci induce a pensare che le cose non si sono fatte con trasparenza ed equità. Le parole di mons. Oscar Cantuarias Pastor, vescovo di Piura e Tumbes, danno voce a moltissimi peruviani che la pensano come lui, ma anche ai molti osservatori internazionali giunti in Perú per supervisionare le controverse elezioni presidenziali e legislative dello scorso 9 aprile.

I brogli non sono bastati

Il risultato delle legislative è già agli atti: la fazione del padre-padrone del Perú Alberto Fujimori (l’alleanza Perú 2000) ha conquistato 51 seggi; 28 sono andati al gruppo Perú Posible, che sostiene la candidatura di Alejandro Toledo (l’unico vero antagonista del presidente uscente fin dal principio della contesa elettorale); 9 seggi ha ottenuto il Frente Independiente Moralizador (che non ha espresso nessun candidato per le presidenziali), mentre il resto dei 120 seggi di cui si compone il Parlamento peruviano sono stati spartiti tra forze politiche minori.

La mancanza di una maggioranza assoluta comporterà inevitabilmente una ricerca preventiva di accordi e compromessi tra forze politiche antagoniste per riuscire a varare nuove leggi, e potrebbe complicare la vita al nuovo presidente, chiunque egli sia.

L’incertezza, a questo proposito, regna sovrana, ed è già stato abbastanza difficile approdare a dei risultati minimamente condivisi dopo il primo turno. Inizialmente, sulla base degli exit polls, pareva che Fujimori avesse stravinto e che non ci sarebbe stato nemmeno bisogno del ballottaggio fra lui e Toledo. Ma, col passare delle ore, lo spoglio delle schede (molte delle quali manomesse e addirittura mutilate della foto e del simbolo del candidato d’opposizione) ha cominciato a smorzare i toni trionfalistici dei sostenitori del "chino" (il cinese, come viene familiarmente chiamato Fujimori, che in realtà è di origine giapponese). Il controverso risultato finale (il 49,87% delle preferenze al presidente uscente, contro il 40,24% di Toledo) consente comunque una prova d’appello per il fronte anti-Fujimori, il prossimo 28 maggio.

Il 50% è povero

Sono diverse e tutte bene argomentate le ragioni che hanno spinto una buona parte dell’elettorato peruviano a mobilitarsi contro un terzo mandato a quello che molti considerano un presidente-dittatore, salito al potere democraticamente nel 1990, ma autore nel 1992 di un golpe bianco che ha sostanzialmente snaturato le istituzioni democratiche del paese latinoamericano. Le condizioni economiche di larga parte della popolazione si sono deteriorate durante la sua presidenza, e oggi sono 13 milioni i peruviani che vivono al di sotto della soglia di povertà (su un totale di nemmeno 25 milioni).

Nonostante un rigido programma di riassetto economico e finanziario (passato soprattutto per una serie di privatizzazioni su larga scala, specie nei settori minerario, elettrico e delle telecomunicazioni), il debito estero è in costante aumento (30,5 miliardi di dollari nel 1997, con un servizio da corrispondere ai creditori pari a 120 milioni di dollari al mese). Crescono anche le disuguaglianze sociali e la sottoccupazione.

Nonostante un tasso di astensione che ha raggiunto il 30% (un fatto senza precedenti nella storia elettorale del paese andino), il presidente della Conferenza episcopale peruviana, Luis Bambarén Gastelumendi ha espresso la sua soddisfazione per il ruolo svolto dai giovani, sia al momento del voto sia durante le pacifiche manifestazioni di protesta contro i brogli elettorali, che hanno percorso Lima e altre città del paese nelle ore e nei giorni seguenti la chiusura delle urne. Il coinvolgimento dei giovani e di tanta gente comune (nonostante il black-out informativo attuato dai principali canali televisivi sui programmi dell’opposizione) segna forse una svolta rispetto a un decennio di rassegnazione, disinteresse e apatia nei confronti della cosa pubblica, facendo sperare in una rinnovata partecipazione dei cittadini alla vita democratica del paese, congelata dalle scelte autocratiche di Fujimori.

Le ambiguità di mons. Cipriani

Anche altri vescovi peruviani hanno avuto parole di speranza e hanno rinnovato l’appello alla serenità e al rifiuto della violenza anche di fronte alle frodi massicce messe in atto per favorire la coalizione presidenziale (il settimanale peruviano Caretas ha addirittura riferito di presunti pirati informatici assoldati da Fujimori per manomettere i risultati elettorali). Non si registrano invece reazioni da parte di mons. Luigi Cipriani, il discusso arcivescovo di Lima che un giornalista ha definito il "teologo di Fujimori".

L’alto prelato, membro dell’Opus Dei, dopo un primo periodo di aperta ostilità verso il presidente golpista ne è poi divenuto intimo amico, sostenendo e difendendo il suo operato politico, sia sul fronte della lotta al terrorismo, sia su quello delle politiche sociali. "L’utopia politica di un mondo senza poveri è un nemico fabbricato da un sistema filosofico-politico che impedisce di ragionare onestamente", ebbe a dire durante un convegno nel 1996. "Abbandoniamo l’utopia di un mondo senza classi né gruppi sociali, che è un’idea radicalmente falsa e che per questo genera odio, frustrazioni e distorce il senso cristiano della carità".

Se questo è ancora il suo punto di vista, è probabile che a mons. Cipriani non siano affatto piaciute le dichiarazioni rilasciate dal candidato Toledo in un’intervista a La Repubblica del 14 aprile scorso: "Per combattere la povertà bisogna coinvolgere i peruviani nell’ingranaggio produttivo, senza una politica assistenzialista e paternalistica che regala i pesci ai poveri, invece di insegnare loro a pescare".

articolo tratto da Il Regno logo

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