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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

Troppo poveri per schierarsi

"Il Regno" n. 22 del 1998

A quattro mesi dall'inizio (2 agosto) della nuova guerra che insanguina la repubblica democratica del Congo (ex Zaire; Regno-att. 16,1998,533), il 7 novembre una delegazione della Conferenza episcopale ha incontrato il capo di stato Laurent Désiré Kabila. L'incontro è stato preparato da un'assemblea straordinaria dell'episcopato che ha redatto un testo in otto punti che esprime la posizione dell'episcopato in merito al conflitto e soprattutto riguardo alle possibili soluzioni negoziali. "Non c'è dubbio che alcuni paesi stranieri abbiano aggredito la Repubblica democratica del Congo per i propri interessi. Insieme a tutta la popolazione congolese i vescovi dicono "no" all'aggressione, "no" a questa nuova guerra". Per i vescovi, comunque, i mali del Congo hanno radici interne; per questo i primi negoziati dovranno essere con le parti in lotta congolesi "da distinguersi da trattative con gli stranieri".

"I vescovi sono determinati a rassicurare circa l'impegno della chiesa nei confronti della popolazione e, nei limiti della missione che le è propria, nei riguardi della ricostruzione del paese e nell'avvento di uno stato di diritto, senza escludere un inserimento nell'assemblea costituente aperta a tutte le forze vive del Congo". Il primo passo potrebbe essere quello dell'istituzione di un "governo di unità nazionale", seguito dall'"organizzazione di elezioni veramente libere, democratiche e trasparenti (...) Solo in questo modo l'integrità del territorio, la sovranità nazionale e il patrimonio economico saranno garantiti. Un'unità del paese che non è negoziabile sebbene tutti denuncino un piano di "balcanizzazione" della Repubblica democratica del Congo" (Misna 9.11.98).

Quella dell'integrità territoriale è la posizione ufficialmente ribadita con maggior forza da parte di coloro che puntano a una soluzione negoziata del conflitto; tuttavia è esattamente la questione maggiormente incerta in quanto la coalizione dei cosiddetti ribelli – formata dai banyamulenge (tutsi zairesi), da parte dell'opposizione politica interna congolese, con l'appoggio logistico-militare di Ruanda, Burundi e Uganda – ha acquisito posizioni nella regione congolese del Kivu ben prima dello scoppio del conflitto in agosto e ha messo al potere una propria classe dirigente a livello amministrativo: infatti, il governatore di Bukavu (Kivu del Sud) il 17 ottobre è fuggito in Belgio, dichiarando di essere stato fatto prigioniero dai ribelli da agosto e poi sostituito da un altro governatore fedele alle forze occupanti la regione.

Ma la regione del Kivu è sempre stata l'epicentro degli scontri che tra il 1994 e oggi hanno modificato gli equilibri politici ed etnici della regione dei Grandi laghi. Già alla vigilia della cacciata di Mobutu, essa era stata travagliata dalla questione della nazionalità zairese da concedere o meno ai banyaruanda (zairesi di origine ruandese, sia hutu sia tutsi; cf. Regno-att. 14, 1996,427) a cui si era sovrapposta la drammatica presenza dei rifugiati ruandesi: a questo proposito occorre ricordare la denuncia delle angherie subite dai rifugiati e della situazione della regione al limite della guerra civile da parte di mons. Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, assassinato il 13 ottobre 1996 proprio a causa delle sue prese di posizione, (cf. Regno-doc. 17,1994,552ss; Regno-att. 20,1996,587).

"Il mondo piange ma io sono un duro"

Durante la guerra condotta da Kabila contro Mobutu, la zona ha assistito al massacro di centinaia di migliaia di profughi hutu ruandesi – massacri accertati anche dall'Onu, ma per il quale non vi è ufficialmente nessun responsabile –; si è poi instaurato un clima di terrore nel Kivu che è rimasto anche dopo l'insediamento della nuova classe dirigente: a titolo d'esempio, il 20 febbraio scorso l'esercito di Kabila, ha ucciso 300 civili nella città di Butembo per rappresaglia al sostegno che la popolazione avrebbe dato ai guerrieri may-may, alleati del Ruanda. Già il 25 gennaio, in una riunione con le autorità civili, tradizionali e militari di Bukavu, Kabila aveva dichiarato: "La grave misura che ho voluto prendere ieri, è la proclamazione dello stato di emergenza, e la nomina di un amministratore che sarà responsabile della corte marziale. Avrete un coprifuoco 24 ore su 24 e ogni casa sarà perquisita per cercare le prove dell'appartenenza al gruppo dei may-may e quelli che saranno scoperti, saranno fucilati sul posto. Così è. Il mondo piangerà, ma mi conoscono abbastanza: io sono un duro!".

Il successore a Bukavu di mons. Munzihirwa, mons. Emmanuel Kataliko, è stato una delle prime voci della chiesa cattolica a pronunciarsi ufficialmente dopo l'inizio del conflitto. Il 24 settembre scriveva un Messaggio ai cristiani e agli uomini di buona volontà (L'Osservatore romano, 9.10.1998, 5). "Senza averlo voluto, né previsto ci troviamo immersi in una situazione di grande sofferenza a causa di questa guerra che devasta il nostro paese (...) Che fare dunque contro questo flagello che ci colpisce contro la nostra volontà? (...) Rispondere alla violenza con la violenza non è mai la vera soluzione, ma piuttosto un modo di lasciarsi dominare dallo stesso male che si vorrebbe combattere ed eliminare".

Secondo i dati resi noti da Amnesty International durante la visita dello scorso novembre in Italia di Kabila, dallo scorso agosto sarebbero 2.500 i morti nell'est del paese. Organismi della società civile denunciano sparizioni di persone rapite e portate in Ruanda. L'accertamento delle vittime del massacro di Kasika compiuto dai ribelli è arrivato ad annoverarne 1.096: molti corpi sono stati ritrovati lungo la strada vicino alla località. Oltre 500 sono i corpi emersi dai fiumi della regione e quasi 1.200 quelli di tre fosse comuni.

Anche l'arcivescovo di Kisangani – città occupata dalla ribellione –, mons. L. Monsengwo, in un'omelia del 13 settembre nella cattedrale afferma: "la soluzione dei nostri problemi nell'Africa centrale (...) sta (...) nella riconciliazione e nella concordia (...), nell'instaurazione dello stato di diritto all'interno di ogni paese. È necessario e legittimo difendere l'integrità territoriale di ogni paese: è un diritto e un obbligo costituzionale, un dovere di giustizia e di patriottismo, ma il pericolo per ciascuno dei paesi dei Grandi laghi non proviene dall'esterno, ma dall'interno di ogni nazione. Preghiamo affinché cessi la conquista del potere con le armi: non si uccide un popolo che si vuole governare e non si distrugge il paese che si deve costruire!" (Misna 14.9.1998).

I vescovi delle sei diocesi del Kivu (Goma, Bukavu, Uvira, Kindu, Kasongo e Butembo-Beni) il 1 ottobre hanno reso noto un messaggio di condanna della guerra: "gli attori di questa guerra appaiono numerosi. Ognuno pensa che la propria causa sia l'unica difendibile e degna di ottenere il sostegno del popolo". Ma "la povertà e la miseria non permettono più al popolo di ascoltare le discussioni delle parti in conflitto". I vescovi denunciano la guerra come "peccato".

Il 23 e il 24 novembre scorso, Kabila ha chiesto e ottenuto di poter venire in Italia. Durante la visita, è stato anche ricevuto dal papa: "al centro dei colloqui è stato il tragico conflitto che insanguina il paese. La Santa Sede, nell'esprimere profonda preoccupazione al riguardo – il papa anche nell'angelus dell'8 novembre aveva ricordato il conflitto e la miseria della popolazione congolese –, ha auspicato che, mediante il dialogo a livello sia internazionale che nazionale, si pervenga rapidamente a una soluzione pacifica, salvaguardando i principi dell'integrità territoriale e della sovranità nazionale, nel rispetto dei diritti di ogni persona e gruppo sociale". Nell'incontro – contestato in Italia dal commissario dell'Unione europea E. Bonino a causa delle gravi accuse di violazione dei diritti umani che pendono su Kabila – si è anche costatata la situazione della chiesa cattolica che non ha "facili condizioni di vita", ma che desidera "collaborare alla pacificazione e alla ricostruzione nazionale".

Dopo l'Italia, Kabila ha partecipato al 20 vertice francoafricano a Parigi, in margine al quale si sarebbe giunti a un accordo di massima per il cessate il fuoco: un accordo che potrebbe concretizzarsi in questi giorni, con la mediazione dell'Organizzazione per l'unità africana (Oua). Il segretario generale dell'Onu, K. Annan ha dichiarato che, in seguito al ritiro di tutte le forze straniere dal territorio congolese, l'Onu potrebbe garantire una forza d'interposizione e di osservatori lungo la linea del confine orientale, cui partecipino anche stati non africani.

Recependo nella sostanza le indicazioni di tale accordo, mons. Kataliko ha diffuso un Messaggio ai fedeli di Bukavu e agli uomini di buona volontà. "Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore" (Sal 27,14) il 5 dicembre scorso, letto in tutte le parrocchie della diocesi e poi pubblicato su un quotidiano nazionale. Il vescovo si domanda se non sia possibile seguire il modello di quelle nazioni che hanno superato pacificamente i propri conflitti – come il Sudafrica –, mentre sembra che "in Africa centrale la soluzione consista nell'accentuazione degli estremismi etnici".

La situazione è "estremamente complessa: la lotta etnica tra Ruanda e Burundi riversata sul Congo; una dinamica d'occupazione (riconosciuta da tutte le forze presenti) con il pretesto di proteggere le proprie frontiere; l'emergere di movimenti autoctoni di resistenza armata contro l'occupazione straniera; le lotte intestine dei congolesi per il potere, sotto il mantello dei movimenti di "liberazione"; il tentativo di ridisegnare geopoliticamente le frontiere, orchestrato dai "grandi" ed eseguito per procura, a dispetto della Carta dell'Onu, dell'Oua e della miseria dei popoli".

Mons. Kataliko sottolinea l'importanza del fatto che la società civile del Kivu, "vera espressione dell'opinione della gente", si sta impegnando per la realizzazione di una piano di pace che ha essa stessa elaborato e pubblicato il 9 novembre. "Noi, pastore del popolo di Dio che è a Bukavu, riconosciamo in esso le legittime aspirazioni della gente, che incoraggiamo e accompagniamo con tutta la nostra sollecitudine pastorale (...) Mi rivolgo (...) a tutti gli uomini di buona volontà. Dobbiamo comprendere che questa pace non è solamente il dono di Dio che imploriamo ogni giorno con fervore, né solamente il frutto dei negoziati che si realizzano altrove tra i grandi, senza la partecipazione della gente, ma che essa deve essere anche e soprattutto il frutto del nostro impegno quotidiano attorno ai valori cristiano e umani della fiducia, della solidarietà, del perdono, della riconciliazione, della giustizia, del lavoro... La pace non è il risultato di una lotta armata, ma soprattutto il frutto di un arduo combattimento umano, culturale e spirituale".

articolo tratto da Il Regno logo

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