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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

M.E. G.

Isolamento e abbandono

"Il Regno" n. 16 del 1998

Il Sudan sta affrontando una crisi alimentare grave quasi quanto quella affrontata dall'Etiopia nel 1985. La regione colpita è quella meridionale, in particolare gli stati di Bahr al Ghazal e del Nilo superiore, per la siccità e per la mancanza – a causa della guerra civile che da 15 anni oppone il governo arabo-islamico di Khartoum alla guerriglia nero-cristiana attiva nel sud – di un'attività agricola stabile. Gli appelli delle organizzazioni umanitarie e delle chiese, specialmente di quella cattolica, sono stati lanciati sin dall'inizio dell'anno; tuttavia la comunità internazionale ha reagito fornendo aiuti solamente a partire da luglio.

A Wau, la città capoluogo del Bahr el Ghazal, nel solo mese di agosto sono morte 1.330 persone, di cui 238 solo nell'ultima settimana del mese. Il Programma alimentare mondiale e le organizzazioni non governative che partecipano al cartello Operation Lifeline Sudan (OLF) sfamano a Wau 72.000 persone e hanno lanciato nel sud 10.200 tonnellate di viveri: l'aereo è l'unico e fondamentale mezzo di trasporto, vista l'assoluta mancanza di strade, ma anche la necessità d'importare tutto ciò che serve per l'allestimento dei campi di soccorso e il mantenimento dei volontari, poiché non esiste commercio.

L'amministratore apostolico della diocesi di Rumbek, mons. Cesare Mazzolari, ha espresso preoccupazione per il fatto che la fame interessa 2 milioni e 600 mila persone e che le coltivazioni, causa una guerra la cui fine "non è certamente vicina", sono scarse e poco fruttifere. Di ritorno dal Sudan, una responsabile dell'organismo Christian Solidarity Worldwide, ha dichiarato: "prima che arrivassimo, nessuno aveva fatto loro (alle popolazioni del sud) visita per anni. Essi si sentono isolati, dimenticati, abbandonati" (The Tablet 15.8.1998, 1053).

La fame colpisce nel nord le popolazioni che emigrano per fuggire dalle zone meridionali devastate dal conflitto e che, per lo più di religione cristiana, vengono discriminate nel ricevimento degli aiuti alimentari dal governo di Khartoum. A ciò si aggiungono anche i disagi provocati dall'improvviso straripamento del Nilo, nello stato di Kassala, già compromesso dalla guerra contro la guerriglia del Sudan Peoplés Liberation Army (SPLA), attualmente alleato con l'Eritrea.

Le scorrerie delle tribù arabe che praticano un ancor'oggi diffuso commercio di schiavi – donne e bambini –, i baggara, grazie alla complicità del governo che fornisce loro mezzi di trasporto veloci (auto e cavalli) e garantisce una sostanziale impunità, distruggono i villaggi del sud, li depredano, costringendo le popolazioni dinka e nuba a fuggire o a sopravvivere tra le rovine. Secondo le stime di mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, sarebbero 3.000 le persone fatte schiave tra febbraio e luglio scorso.

Un catechista che ora si prende cura di quattro piccoli nipoti, orfani a causa di queste scorrerie, di fronte alla propria parrocchia ridotta in macerie domanda: "La chiesa non ci vuole più?". Le popolazioni cristiane vivono isolate; di alcune – specie nella Nubia –, non si conosce né l'entità né dove siano i villaggi; le distanze e i territori montuosi isolano; solo la guerra e la fame sono ovunque.

Una morte sociale

In 15 anni non solo l'economia e la sussistenza del sud del paese sono state distrutte, ma anche il tessuto sociale. La tregua che nel Bahr al Ghazal e nel Nilo superiore governo e guerriglia stanno osservando dal 15 luglio, consente agli aerei delle agenzie umanitarie di lasciare a terra derrate alimentari. Khartoum, tuttavia, a fronte di questa ampia concessione, sta bloccando l'invio dei medicinali (80 giorni per sdoganare i medicinali urgenti) e intralciando il rilascio dei visti in entrata per medici e infermieri diretti al sud.

L'invio delle derrate è aumentato in contemporanea al numero delle morti per inedia. Per capirne i motivi è stata istituita una missione d'inchiesta da parte degli organismi umanitari (19 agosto). Per un verso si è avuta la certezza di ciò che già si sapeva o si poteva supporre: più della metà degli aiuti vengono presi dalle truppe SPLA e distribuiti secondo le gerarchie interne o attraverso "tasse" imposte alla popolazione.

Si ripropone così per il Sudan il dilemma se continuare in una distribuzione che da un lato aiuta le vittime della guerra e dall'altro i suoi fautori; non sembra però che le agenzie umanitarie siano sulla direzione di un ripensamento complessivo, tranne qualche critica che si è levata da parte dell'UNICEF. Ciò, tra l'altro, implica lasciare che la fame sia usata come arma: come rappresaglia nei confronti del villaggio o del gruppo rivale; come momento per rinsaldare o rompere alleanze tra i tanti e frammentati gruppi dello SPLA e il governo, in una complicata geografia che muta mese per mese.

Per un altro verso, la missione d'inchiesta ha appurato un dato ancor più drammatico. Nonostante l'aumento dell'invio delle derrate alimentari, bambini e anziani continuavano a essere denutriti. Ad esempio, nei villaggi dei dinka, pastori e allevatori, la guerra ha esasperato le tradizionali gerarchie sociali, facendo in modo che gli stessi capi villaggio, cui gli organismi affidavano gli aiuti, decidessero a chi dare da mangiare. Innanzitutto agli uomini, poi alle donne, infine a un bambino per famiglia: una vita fatta di spostamenti continui e dell'allevamento di qualche animale ha imposto il criterio di aiutare i più forti, l'esatto contrario di quello usato dagli organismi umanitari, che puntano a salvare innanzitutto i più deboli: i vecchi e i bambini. Quante siano le vittime tra i bambini è poi un dato difficile da valutare perché le famiglie preferiscono non denunciare la morte di un figlio, sfruttando il braccialetto e il foglio d'identificazione rilasciato dai centri nutrizionali del morto per eventuali fratelli sopravvissuti.

Si è tentata una soluzione del problema con l'istituzione di un comitato locale da parte dell'ente erogatore degli aiuti e formato da persone del villaggio, in pari numero donne e uomini. Un assistente rimane nel villaggio per monitorare la situazione per qualche settimana e poi riparte.

Vittime dell'ingiustizia islamica

Al nord il motivo d'isolamento maggiore per i cristiani è dato dalla vera e propria persecuzione da parte del governo. Dopo l'arresto di mons. Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum (Regno-att. 10,1998, 314) altri due sacerdoti sono stati arrestati e sono tuttora detenuti in due prigioni diverse e privi di alcun contatto con l'esterno. Si tratta di don Lino Sebit, sacerdote sudanese ordinato nel 1996 e di don Hilary Loswot Boma, cancelliere diocesano, già interrogato e poi rilasciato in occasione dell'arresto di mons. Zubeir. In entrambi i casi – avvenuti a Khartoum il 28 luglio e il 1 agosto – è stato utilizzato un'ingente dispiegamento di uomini (45-50) dei servizi di sicurezza e di polizia che ha occupato le parrocchie dei due sacerdoti, tenuto in ostaggio sacerdoti, bambini e le altre persone presenti negli edifici e infine portato in carcere i due sacerdoti.

La motivazione ufficiale per l'arresto è di attività sovversiva, in particolare in relazione ad alcuni attentati dinamitardi avvenuti nei primi giorni di luglio a Khartoum, in concomitanza ai festeggiamenti per il IX anniversario dell'insediamento dell'attuale giunta militare.

Il 12 agosto nel campo sportivo del Comboni College di Khartoum si è tenuta una preghiera ecumenica per il rilascio dei due sacerdoti, a cui hanno partecipato alcune migliaia di persone. Durante la preghiera, il vescovo ausiliare di Khartoum, mons. Daniel Adwok, ha ribadito il rifiuto della Chiesa cattolica verso ogni tipo di violenza e ha ribadito l'innocenza dei sacerdoti. In particolare la denuncia e l'impegno di don Boma contro le vessazioni del governo contro gli sfollati del Sud sono per mons. Adwok "il grido dei poveri, vittime delle ingiustizie".

Guerriglia ed equilibri regionali

L'isolamento dei cristiani è ulteriormente aggravato dalle divisioni interne della guerriglia. Il blocco, inizialmente compatto dello SPLA, dominato oggi dall'autoritaria e spregiudicata figura di John Garang, si è in questi anni sempre più sbriciolato, secondo linee di frattura etniche, nelle pieghe delle quali l'abilità politica della giunta islamica è riuscita a inserirsi. Volta a volta ha infatti concesso aministie, potere – Riek Machar, uno dei generali di Garang è infatti attualmente presidente dell'intera regione del sud –, alleanze – Kerubino Kwanyin Bol, anch'egli fuoriuscito dallo SPLA, si è alleato col governo, ha eliminato alcuni gruppi rivali dello SPLA e poi si è riunito al medesimo agli inzi di quest'anno –; o, anche, ha mantenuto una sorta di neutralità, lasciando che i conflitti locali risolvessero da soli il peso dei diversi gruppi alleati, come è successo per la ribellione del giugno scorso di un gruppo nuer nella città di Leer contro l'autorità di Machar, che ha costretto a una partenza forzata anche i missionari della zona.

La conseguenza devastante – ma dal suo punto di vista vantaggiosa – è che il governo ha sempre più una forma di controllo sul sud, anche se non di tipo militare: mantenendolo povero, alla fame, decimato. Tuttavia i responsabili diretti di tale situazione sono identificabili nello SPLA: valga per tutti il dissennato assedio del febbraio scorso a Wau da parte di Kerubino, una volta ritornato nelle file dello SPLA, che è – a detta di tutte le organizzazioni umanitarie – la causa ultima del rapido deterioramento della situazione alimentare della zona.

D'altra parte, il futuro del Sudan è sempre più legato alla ridefinizione dell'equilibrio dell'intera regione centro–orientale, in particolare all'esito del conflitto nell'ex-Zaire (cf. in questo numero a p. ????). Anche il Sudan vi è entrato inviando in aiuto di L. Kabila un contingente di un migliaio di soldati sudanesi a Kindu (430 chilometri a sud di Kisangani) proveniente dalla base militare di Wau. Il Sudan è interessato a questa alleanza a causa del conflitto che lo oppone alle truppe regolari dell'Uganda – uno dei principali sostenitori dell'attuale coalizione dei ribelli che tentano di fare cadere Kabila – perché in Uganda del nord lo SPLA ha alcune retrovie ed è per questo alleato con le milizie anti-ugandesi del Lord Resistance Army.

A sua volta, le sorti del Sudan sono il banco di prova dei rapporti tra paesi di matrice islamica e il cosiddetto "mondo occidentale" in Africa – in questo momento sovra-rappresentato dagli Stati Uniti oltre che da Ruanda e Uganda. Tali rapporti erano già problematici a motivo degli attentati compiuti il 7 agosto scorso presso le ambasciate statunitensi di Dar es Salaam (Tanzania) e di Nairobi (Kenia), che hanno causato presso quest'ultima la morte di 200 persone e il ferimento di altre 5.000.

Vi è stato un ulteriore peggioramento, in seguito all'attacco missilistico statunitense alla fabbrica farmaceutica di Khartoum il 20 agosto, che ha provocato la morte di 7 persone, un gruppo di musulmani sudanesi ha assaltato l'ambasciata statunitense di Khartoum, peraltro chiusa dal ???. La Lega araba il 24 ha condannato l'attacco. Il Sudan ha ritirato il proprio ambasciatore in Inghilterra e ha invitato l'ambasciatore inglese in Sudan a partire, accusando Inghilterra di sapere dell'attacco almeno con una settimana d'anticipo. L'ottenimento da parte del ministro degli esteri sudanese, Mustafa Osman Ismail, da parte del XII summit dei paesi non allineati (Durban, Sudafrica, 1.9-??.9) di una condanna dell'attacco, riporta nuovamente il Sudan in una posizione di forza, che farà sì che l'equilibrio interno al paese non si modificherà in tempi brevi.

articolo tratto da Il Regno logo

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