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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

G. B.

Ur è più lontana

"Il Regno" n. 22 del 1999

Si allontana il viaggio del papa a Ur. Il pellegrinaggio che Giovanni Paolo II desidera compiere nell’anno del giubileo sulle orme di Abramo, Mosè, Gesù e Paolo, seguendo un itinerario ideale di geografia della salvezza, si è fatto incerto quanto ad alcune delle sue tappe fondamentali. Il viaggio – come è espresso nella Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza (29.6.1999; Regno-doc. 15,1999, 465) – avrebbe dovuto inizialmente comprendere cinque paesi: Ur dei Caldei (Iraq meridionale), Sinai (Egitto), Nazaret, Betlemme e Gerusalemme (Israele e territori palestinesi), Damasco (Siria) e Atene (Grecia).
All’impossibilità di andare ad Atene, per il rifiuto opposto dal Sinodo ortodosso greco, si aggiunge ora l’incertezza e la problematicità della tappa iniziale del pellegrinaggio: Ur dei Caldei, dove la tradizione vuole che Abramo abbia mosso i primi passi nella storia della salvezza.

L’Iraq è insicuro per il papa

Il 10 dicembre scorso è stata resa pubblica una nota del portavoce della Santa Sede, Navarro-Valls, nella quale per la prima volta si danno notizie delle difficoltà della visita: "Le autorità irachene hanno fatto sapere che le condizioni anormali in cui versa il paese a motivo dell’embargo e della no-fly zone, come anche la situazione esistente nella regione, non consentono di organizzare adeguatamente una visita del santo padre a Ur dei Caldei, in Iraq".
Il comunicato vaticano attribuisce le responsabilità alle autorità irachene, che a loro volta la scaricano sugli Stati Uniti e sull’ONU. L’ultima previsione fissava la visita dal 16 al 20 gennaio prossimo. Ma essa era già stata spostata rispetto alla prima ipotesi, che a fine estate Raphael Bidawid, patriarca di Babilonia dei Caldei, indicava come fissata dal 2 al 5 dicembre 1999. Che la data di gennaio fosse già saltata era parso chiaro dall’esito del viaggio (22-25 novembre) della delegazione vaticana, che si era recata a Baghdad per discutere le modalità della visita. L’esito dei colloqui era stato inconcludente, tanto che la delegazione – ne facevano parte mons. Carlo Maria Viganò e p. Roberto Tucci, che sovrintendono alla parte organizzativa dei viaggi papali – non si era recata a Ur per il consueto sopralluogo; non aveva fatto dichiarazioni; aveva lasciato Baghdad senza poter fissare la data di un nuovo incontro e nella convinzione che le sopraggiunte difficoltà al viaggio del papa fossero a questo punto frapposte dallo stesso Saddam Hussein.

Il desiderio di Giovanni Paolo II di compiere questo viaggio aveva spinto la Santa Sede ad andare avanti ugualmente, nonostante il veto statunitense. Clinton teme che la stretta di mano tra il papa e Saddam possa essere usata dal dittatore iracheno per rilanciare la propria immagine politica all’interno e all’esterno. Anche se dal settembre scorso era aumentata la freddezza da parte di Baghdad sull’ipotesi del viaggio.

Critiche da Baghdad

A fine settembre, un gruppo di intellettuali iracheni di religione islamica aveva pubblicato una lettera molto critica sull’ipotesi religiosa e politica del viaggio papale: "Se l’Occidente e voi con esso – recita il documento rivolgendosi ai cristiani e alla lettera del papa sul pellegrinaggio – sentite di dover essere liberati dalle indecenze del passato, i mari, i golfi, la terra e il cielo degli arabi non sono il luogo dove lavare i vostri panni sporchi del sangue delle vittime perseguitate. Questo non dovrebbe essere fatto a spese degli arabi e delle loro realtà sacre, perché queste realtà sacre sono il prodotto di tutte le sacrosante realtà divine accumulate nella regione nel corso della storia.
Le idee con cui introducete il desiderio del papa di visitare la regione appartengono a questa categoria. Il vostro ricorso alla generalizzazione, alla confusione e alla giustificazione così come nella Torah e nella letteratura ebraica sembra perseguire unicamente questo obiettivo.

Questo rafforza la nostra cautela nei riguardi delle vostre precedenti tendenze, a partire dall’assoluzione degli ebrei dalla responsabilità di avere sparso il sangue di Cristo, passando attraverso tutte le posizioni assunte in precedenza, fino a questa vostra lettera.

Anche il vostro misero riferimento ai credenti nell’islam, che li descrive come se non contassero, rafforza i dubbi e invita alla cautela e all’apprensione per il futuro, quando si considera la relazione dei retroscena del vostro punto di vista sulla situazione. Voi non troverete i credenti musulmani allineati lungo il percorso del passaggio del papa, intenti ad applaudirlo, mentre stringete un’alleanza con gli assassini di Dair Yaseen e con gli assassini dei bambini dell’Iraq. I veri credenti riempiono la terra della fede e sono pronti a sacrificarsi per essa, ora e in avvenire così come lo hanno fatto in passato".

E ancora: "Il papa desidera visitare l’Iraq per recarsi a Ur. Egli conosce molto bene la portata della continua distruzione inflitta dall’aggressione americana-sionista all’Iraq, conosce il numero dei bambini, delle persone anziane e delle donne uccise dall’embargo. Come si comporterà di fronte alle loro sofferenze, alla loro fame e alle loro malattie? O sono cose che non hanno importanza dal momento che la sua è una visita spirituale? Se la religione non si impegna a migliorare la vita del popolo chi lo farà? L’immagine prodotta dall’aggressione all’Iraq è come quella della Palestina e di tutti i luoghi in cui avviene un’aggressione. Noi, come loro, abbiamo diritto di chiedere: che profitto trarrà l’umanità dal suo cammino sulla strada scelta da Dio se non si elimina la sofferenza e se la fede e la bontà non rigettano l’aggressione?". Un testo politicamente non casuale e non estraneo alla gestione che Baghdad intende fare della trattativa per l’eventuale visita di Giovanni Paolo II.

Nuove aperture

Aperture significative all’Iraq erano giunte, il 16 novembre scorso, da parte dello stesso presidente della Conferenza episcopale statunitense. Mons. Fiorenza aveva chiesto all’Amministrazione statunitense di porre fine alle sanzioni all’Iraq e un nuovo approccio sull’intera questione irachena. Nella sua dichiarazione, mons. Fiorenza aveva poi definito il popolo iracheno vittima, a un tempo, dei suoi governanti e della politica internazionale.
È probabile che Saddam Hussein abbia scommesso sulla determinazione del papa di voler compiere questo viaggio e punti così a ottenere dalla diplomazia vaticana qualche riconoscimento ulteriore alla prevedibile condanna dell’embargo, tema su cui il papa si è già più volte pronunciato. Se così fosse, l’annuncio vaticano sul diniego iracheno ha lo scopo di ridurre il ricatto diplomatico iracheno, e l’ipotesi del viaggio non sarebbe ancora tramontata. Ma occorre anche fare i conti con l’imprevedibilità di Saddam e con gli equilibri incerti all’interno della sua corte governativa e nel paese.

A fronte di una chiusura, occorre segnalare una conferma e una nuova apertura: la disponibilità della Siria per la visita del papa a Damasco e l’invito al papa da parte della Giordania e del suo nuovo re, Abdallah. Due inviti, quello giordano e quello siriano, che confermano la possibilità di prospettive nuove nella regione e lasciano più isolato Saddam, qualora decida di insistere sulla sua attuale posizione.

Da parte cattolica la questione viene considerata ancora aperta dal patriarca Bidawid, che ha definito la questione nei termini di un "ennesimo ritardo"; mentre il card. Etchegaray, che si era recato a Baghdad in uno dei passaggi della trattativa, ha confermato "il desiderio intenso del santo padre di fare questo pellegrinaggio".


articolo tratto da Il Regno logo

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