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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Celestino Migliore

La Santa Sede al Consiglio di sicurezza: di fronte alla crisi irachena

La crisi irachena ha messo in luce come nella Chiesa cattolica stia emergendo in maniera consapevole una posizione sempre più critica nei confronti della guerra e della violenza, variamente giustificata. In questo senso il papa si pone quasi come un leader di un pacifismo non ideologico e radicale (Regno-att. 4,2003,76), invitando i cristiani a una responsabilità specifica, quella di essere «sentinelle della pace» (cf. qui a p. 130). Accanto all’appello del papa, cui si sono uniti numerosi episcopati (cf. a p. 132 la nota congiunta dei capi delle Chiese di Sarajevo, Gerusalemme e Baghdad) ed esponenti di altre confessioni cristiane e di organismi ecumenici (cf. la dichiarazione degli arcivescovi di Canterbury e Westminster a p. 131), non ha cessato di agire la diplomazia vaticana. L’intervento dell’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU, mons. C. Migliore, nel corso dell’incontro al Consiglio di sicurezza sulla situazione tra Iraq e Kuwait, ha affermato che ogni decisione va presa all’interno dell’ONU. Nella conferenza tenuta all’Istituto dermopatico dell’Immacolata a Roma il 24 febbraio, intitolata «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra», mons. J.-L. Tauran, segretario per i rapporti con gli stati, ha poi ribadito: «Nessuna regola del diritto internazionale autorizza uno o più stati a ricorrere unilateralmente all’uso della forza per cambiare un regime o la forma di governo di un altro stato... Solo il Consiglio di sicurezza potrebbe, a motivo di circostanze particolari, decidere» di ricorrere alla forza.

Originali: mons. Migliore: stampa (28.2.2003) da sito Internet www.vatican.va, nostra traduzione dall’inglese


La Santa Sede al Consiglio di sicurezza

Signor presidente,

la ringrazio per avermi concesso la possibilità di esprimere la profonda preoccupazione e sollecitudine della Santa Sede per la questione irachena anche in questa sede del Consiglio di sicurezza dell’ONU, dove si discutono le questioni inerenti la pace e la sicurezza internazionali per evitare al mondo il flagello della guerra. Mi è caro ricordare in questa occasione, signor presidente, il fruttuoso incontro del segretario generale Kofi Annan con sua santità papa Giovanni Paolo II che si è tenuto ieri pomeriggio in Vaticano.

Signor presidente, sin dall’inizio la Santa Sede ha sempre riconosciuto alla comunità internazionale un ruolo insostituibile nella risoluzione della questione dell’adempienza da parte dell’Iraq delle disposizioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite.

A questo riguardo la Santa Sede è consapevole che la comunità internazionale è giustamente preoccupata e che sta affrontando una causa giusta e urgente: il disarmo di arsenali di distruzione di massa, una sfida che riguarda non solo una singola regione, ma purtroppo anche altre parti del mondo. La Santa Sede è convinta che mentre si cerca di dare vigore ai numerosi mezzi pacifici previsti dal diritto internazionale, ricorrere alla forza non è percorrere una via come un’altra. Alle gravi conseguenze per la popolazione civile che sono già state abbastanza a lungo constatate, si aggiungono le funeste prospettive di tensioni e conflitti tra popoli e culture e la deprecabile reintroduzione della guerra come mezzo di risoluzione di situazioni insostenibili.

La Santa Sede sta seguendo da vicino gli sviluppi sul terreno ed esprime il suo appoggio agli sforzi della comunità internazionale per la risoluzione della crisi all’interno del rispetto della legalità internazionale. A questo scopo, sua santità Giovanni Paolo II ha di recente disposto la partenza di un suo inviato speciale per Baghdad, dove ha incontrato il presidente Saddam Hussein e gli ha consegnato un messaggio da parte del papa, nel quale si sottolineava, tra l’altro, la necessità di un impegno concreto per adempiere fedelmente alle importanti risoluzioni delle Nazioni Unite. Un messaggio simile è stato trasmesso a Tarek Aziz, il primo ministro iracheno, che ha fatto visita al papa lo scorso 14 febbraio. Inoltre, nella prospettiva di un drammatico scenario frutto di un eventuale intervento armato, l’inviato speciale del papa ha fatto appello alla coscienza di tutti coloro che svolgono un ruolo nel determinare il futuro della crisi in questi prossimi e decisivi giorni «perché, alla fine, è la coscienza che avrà l’ultima parola, più forte di tutte le strategie, di tutte le ideologie e anche di tutte le religioni».

Signor presidente, la Santa Sede è convinta che anche se il processo delle ispezioni sembra talvolta lento, esso rimane ancora la strada effettiva che può portare alla costruzione di un consenso che, se largamente condiviso dalle nazioni, renderebbe quasi impossibile l’azione contraria di un governo senza il rischio dell’isolamento internazionale. La Santa Sede pertanto è del parere che esso è anche la strada appropriata che potrebbe portare a una risoluzione concordata e onorevole del problema, e che in cambio potrebbe porre le basi per una pace reale e durevole.

«Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari» (Giovanni Paolo II, Discorso al corpo diplomatico, 13.1.2003; Regno-doc. 3,2003,67).

Sulla questione dell’Iraq, la grande maggioranza della comunità internazionale sta chiedendo una soluzione diplomatica del contenzioso e che siano esplorate tutte le strade per una soluzione pacifica. Questa domanda non deve essere ignorata. La Santa Sede incoraggia le parti coinvolte a mantenere aperto il dialogo perché possa portare a soluzioni per quanto riguarda la prevenzione di una possibile guerra e sollecita la comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità riguardo a eventuali inadempienze dell’Iraq.

Signor presidente, prima di concludere questa dichiarazione, mi consenta di far riecheggiare in questo luogo di pace le parole piene di speranza dell’inviato speciale del papa in Iraq: «La pace è ancora possibile in Iraq e per l’Iraq. Il più piccolo passo in avanti che si farà nei prossimi giorni vale quanto un grande balzo verso la pace».

Grazie, signor presidente.

New York, 19 febbraio 2003

+ Celestino Migliore,
osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU


articolo tratto da Il Regno logo

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