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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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Piero Stefani

Stato Palestinese: de facto

"Il Regno" n. 4 del 1996

Per la prima volta nella loro storia, circa un terzo della popolazione palestinese – la maggioranza dei palestinesi vive infatti fuori dalla Cisgiordania, da Gaza e da Gerusalemme est – è stato chiamato, il 20 gennaio u.s., a eleggere il suo presidente e gli ottantotto membri del Consiglio dell'autonomia previsto dalla dichiarazione di principi firmata a Washington il 13 settembre 1993 (cf. Regno-att. 18,1993,527; Regno-doc 19,1993,640). Il Consiglio è il primo organismo democratico eletto a suffragio universale dai palestinesi che abitano i suddetti territori. Il Consiglio, che, secondo le scadenze previste dalla dichiarazione di Washington, resterà in carica fino al 4 maggio 1999, rappresenta il potere legislativo e avrà il diritto di interrogare il presidente e di rigettare le proposte di legge emanate dall'autorità, ma non di destituire il presidente, il quale, a propria volta, non gode del diritto di sciogliere il consiglio.

Uno dei principali compiti di queste nuove istituzioni sarà quello di condurre, a partire dal maggio 1996, le trattative con Israele per lo status finale della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme est. Si prevede che il Consiglio appena eletto si occuperà innanzitutto di affari civili (acqua, salute, istruzione, viabilità, finanze...); mentre resta ancora da valutare il peso specifico che potrà effettivamente avere nella conduzione delle successive fasi delle trattative con Israele. A tal proposito si farà indubbiamente risentire il fatto di rappresentare solo i palestinesi abitanti nei territori, in quanto il confronto con Israele riguarda, inevitabilmente, e non solo sul piano emotivo, anche la vasta "diaspora" palestinese.

Il risultato elettorale su cui val davvero la pena di riflettere non è principalmente costituito dal prendere atto che Yasser Arafat è stato eletto presidente con l'88,1% dei consensi. L'esito era scontato: troppo debole appariva, infatti, al termine di una campagna elettorale di sole due settimane, la candidatura dell'unico avversario, l'indipendente Samiha al-Qhalil (9,3%), Già meno ovvio il fatto che al-Fatah, il partito di Arafat, riuscisse a conquistare una netta maggioranza assoluta nel Consiglio (51 seggi su 88). Il dato più rilevante è stato la partecipazione al voto; hanno votato infatti circa 750.000 persone su poco più di un milione di aventi diritto. In particolare nella striscia di Gaza l'affluenza è stata ben del 93%, mentre in Cisgiordania ha toccato il 75%.

Un dato di segno opposto, in prospettiva tutt'altro che irrilevante, è stato però costituito dal fatto che a Gerusalemme est, dove il controllo è tuttora israeliano, la percentuale dei votanti è stata solo del 30% (e non sono mancate in proposito proteste, anche in sede internazionale, relative ad alcuni comportamenti israeliani che avrebbero intralciato l'effettuazione del voto). Il dato relativo all'affluenza alle urne è rilevante soprattutto perchè la vera opposizione ad Arafat in seno ai palestinesi è costituita dal movimento radicale di Hamas, che aveva invitato la popolazione a boicottare le elezioni. Il senso politico più importante delle elezioni è perciò costituito dalla sconfitta del movimento che persegue lo scontro aperto e incomponibile con Israele e dalla legittimazione, compiuta attraverso gli strumenti propri delle democrazie occidentali, della leadership di Arafat.

Senza opposizione costruttiva
Questo stesso esito, da giudicarsi nel complesso in modo decisamente positivo, trascina con sè delle conseguenze che, in futuro, potranno dar luogo a problemi di non piccolo spessore. L'esito elettorale e la precedente campagna elettorale avvenuta senza registrare la presenza di alcun incidente di rilievo hanno testimoniato una capacità di controllo sulla situazione da parte dell'attuale leadership non solo superiore al previsto, ma anche tale da rendere sempre più inevitabile la finale costituzione di uno stato palestinese.

Come è noto, la situazione attuale dei territori controllati dai palestinesi è stata più volte qualificata secondo la valutazione intermedia di giudicarla come qualcosa di più di una semplice autonomia e qualcosa di meno di uno stato indipendente (cf. Regno-att. 18,1995,527). È chiaro però che quest'ultima prospettiva si sta facendo sempre più concreta, per quanto qualcuno, ivi compreso per ragioni di facciata il primo ministro israeliano Peres, non dia ancora per scontato che si arrivi alla costituzione di uno stato palestinese. Non per nulla Yasser Arafat ha potuto promettere l'avvento "assai prossimo" di uno stato palestinese, mentre, sull'altro fronte, il ministro israeliano dell'ambiente Yossi Sarid, ha affermato che l'esito delle elezioni ha "creato una realtà politica nuova, con il sorgere di uno stato palestinese de facto". Tuttavia tanto più si avvicina questa prospettiva, tanto più diventa inevitabile affrontare problemi come quello di Gerusalemme est e del diritto al ritorno della maggioranza palestinese che vive nella diaspora. Si tratta di due punti indispensabili per qualificare come palestinese la futura entità, esattamente come sull'altro versante queste due stesse caratteristiche (cioè il riferimento a Gerusalemme e alla "legge del ritorno") sono necessarie per qualificare Israele come stato ebraico. Ed è proprio attorno a questa "omogeneità" che si addensano i maggiori problemi, tuttora da affrontare nel confronto israelo-palestinese.

L'altro punto problematico derivato dall'esito delle elezioni è stato ben espresso in un articolo apparso su al Hayat (uno dei principali quotidiani arabi internazionali pubblicato a Londra; cf. Internazionale 3[1996]114, 6); in esso si individua nella mancanza di un'opposizione "parlamentare" una delle principali debolezze dell'attuale situazione politica palestinese: "Nella mappa politica palestinese d'oggi manca, più di qualsiasi altra cosa... una... opposizione costruttiva". Il concentrarsi dell'opposizione in forme "extraparlamentari" e la mancanza di una significativa opposizione "parlamentare"


articolo tratto da Il Regno logo

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