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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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G. B.

Le chiese cristiane e il cammino di pace

"Il Regno" n. 16 del 1996

Mentre si riapriva la questione irachena il 31 agosto l'aviazione di Baghdad bombardava un villaggio curdo nel nord del paese e l'esercito conquistava la città di Arbil, formalmente in appoggio alla fazione curda di Massaud Barzani, suscitando la reazione militare statunitense del 3 e del 4 settembre riprendeva in Palestina il dialogo tra Arafat e il nuovo premier israeliano Netanyahu. La pressione internazionale su Tel Aviv non era mai stata così forte. L'Egitto aveva minacciato l'annullamento della terza conferenza economica arabo-israeliana prevista per il novembre prossimo al Cairo; il presidente Clinton ha legato un prossimo incontro con Netanyahua un precedente summit tra il premier israeliano e Arafat; i palestinesi hanno minacciato di riprendere l'Intifada contro l'occupazione dei loro territori.

Anche le chiese cristiane si sono mosse concordemente, pubblicando un appello per la ripresa del dialogo e invitando i credenti alla partecipazione unanime delle celebrazioni di domenica 1 settembre. L'impressione dei patriarchi e dei leader religiosi delle diverse confessioni presenti a Gerusalemme che hanno condiviso l'appello è che la volontà di condurre sino in fondo il cammino di pace conosca oggi una minore convinzione. L'appello, diretto ai responsabili politici, richiama tre punti sostanziali:

" 1. La città di Gerusalemme è l'unica al mondo legata in modo forte e tanto sensibile alle credenze religiose degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani, e non può più essere proprietà di un popolo ad esclusione degli altri. Non è logico che essa sia aperta a un popolo e chiusa a un altro, soprattutto se questo vive a pochi chilometri da essa – la situazione che viviamo oggi.

La città di Gerusalemme è come il cuore di questo paese e in modo particolare di queste regioni palestinesi. Non c'è vita per queste regioni senza Gerusalemme, e neanche per la stessa Gerusalemme est senza queste regioni, a causa dei legami familiari, religiosi, vitali, educativi, di salute e sociali... Per questa ragione la chiusura della città di Gerusalemme (...)distrugge la sua santità e la rende possesso di una parte a esclusione dell'altra. La legislazione mondiale rifiuta questo atto che distrugge i ponti della comprensione e ogni possibilità di convivenza e di accordo tra gli abitanti di questi luoghi santi.

2. Siamo desolati di vedere che quello che era sempre apparso uno dei più gravi ostacoli alla pace, il problema della colonizzazione e degli insediamenti, esiste ancora. Ancor più notiamo che le autorità israeliane attuali, pur invocando la pace nelle loro dichiarazioni, procedono nell'incoraggiare e rafforzare gli insediamenti in terra araba palestinese. L'unico loro motivo è assecondare le aspirazioni di una parte di israeliani fanatici, nonostante che questo atteggiamento sia contrario all'opinione internazionale e ai diritti legittimi riconosciuti dal mondo intero. Ognuno di questi processi non fa che distruggere le basi della pace e tagliarle la strada.

3. Lo stesso affermiamo a proposito delle distruzioni di case, conseguenti nella maggior parte dei casi al ritardo o al rifiuto totale del permesso di costruire. Come è noto la distruzione della casa è avvertita come un provvedimento tra i più duri, e rigettato dalla coscienza umana.

Per questo lanciamo il nostro appello alle autorità israeliane, che hanno in mano la chiave della soluzione, e chiediamo loro:

– di togliere l'embargo dalla città di Gerusalemme e aprirla alle sue famiglie e agli abitanti dei luoghi limitrofi;

– di non creare una nuova realtà attraverso la politica degli insediamenti, nella città di Gerusalemme e nelle regioni palestinesi che attendono le proposte negoziali per una soluzione definitiva;

– di arrestare la distruzione delle case arabe palestinesi;

– di alimentare e incoraggiare il processo di pace per pervenire allo scopo suddetto.

Ai nostri fedeli, infine, chiediamo di recarsi, domenica mattina, nelle loro chiese per chiedere al Dio di illuminare tutti i responsabili nel diligente impegno a favore del ritorno della pace nella terra della pace".

L'incontro tra Arafat e Netanyahu si è poi tenuto il 4 settembre, in una località al confine tra Israele e la striscia di Gaza. Il nuovo premier israeliano vuole una modifica degli accordi conclusi da Rabin e Peres. Gli accordi prevedono che l'esercito israeliano si ritiri dall'80% del territorio di Ebron, lasciando il restante 20% sotto il controllo di 450 coloni israeliani. Netaniahu chiede ai palestinesi di lasciare il centro storico della città. Un compromesso su questo punto esige, per Arafat la revoca da parte di Israele della chiusura dei territori occupati e di quelli autonomi; l'aumento del numero dei palestinesi autorizzati a lavorare in Israele; libertà di movimento tra territori occupati e enclave autonome; libertà di movimento personale per lui e la liberazione dei prigionieri arabi.

articolo tratto da Il Regno logo

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