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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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P. S.

Nuovi tentativi a Wye Plantation

"Il Regno" n. 20 del 1998

Come si è ben espresso un editoriale, apparso su Le Monde del 25-26 ottobre 1998, in diplomazia la maniera conta. Il piccolo passo verso la pace compiuto da israeliani e palestinesi a Wye Plantation va giudicato in questa luce. è stato doloroso, laborioso, a volte brutale, sempre aspro. Le belle parole conclusive non devono nascondere quello che il precedente negoziato di nove giorni ha rilevato: l'esistenza di un fossato, sempre più largo, di diffidenza e di incomprensione che separa israeliani e palestinesi. Restano infatti ben pochi dubbi, aggiungiamo, riguardo al fatto che solo la volontà del presidente Clinton (corroborata da potentissimi interessi di politica interna e sostenuta dal prestigio del vecchio e malato re Hussein di Giordania) ha consentito di giungere a un accordo che, come sempre, rimanda a nuovi e difficili appuntamenti la soluzione delle questioni più delicate.

Yasser Arafat è apparso un negoziatore affaticato e non sempre al corrente dei termini delle discussioni in corso, mentre Netanyahu ha dato di se stesso l'immagine consueta: più che uomo di stato intento a plasmare l'avvenire è risultato un capo di partito preoccupato di mantenere in piedi una coalizione governativa decisamente spostata a destra.

Naturalmente, aggiungeva Le Monde, anche i risultati contano. Con due anni di ritardo sul calendario prospettato a Oslo e grazie alla tardiva mediazione americana, si sono compiuti dei progressi lungo la sola linea capace di condurre a una sistemazione accettabile: i territori in cambio della pace. Inoltre la lotta contro il terrorismo a cui si è impegnato Arafat è dotata di un risvolto nuovo e importante: le misure assunte saranno garantite dalla CIA. Più in generale, si può aggiungere che l'impegno di controllo sugli sviluppi degli accordi da parte degli USA è molto più elevato che in passato. Ciò rappresenta l'essenziale del cosiddetto Memorandum di Wye River. Le modalità con cui è stato ottenuto gettano, però, varie ombre sulla sua applicazione. Esso non consente facili ottimismi sul negoziato vero e proprio che dovrebbe aprirsi a brevissimo termine e che dovrebbe, entro il 4 maggio 1999, decidere sui punti più duri: lo stato definitivo dei territori e di Gerusalemme e quello dei coloni e dei rifugiati palestinesi residenti in altre zone del mondo.

Criticato da destra, Netanyahu ha trovato l'appoggio della sinistra e del centro, ciò gli consente di allargare la sua base politica. Dal canto suo Arafat riacquista Ramallah e può infine promettere alla popolazione qualche dividendo concreto della linea fin qui perseguita: apertura di un porto a Gaza e di un corridoio tra questo territorio e la Cisgiordania. Pur nella parzialità dei loro risultati, le giornate di Wye Plantation hanno rimesso in moto un processo bloccato al punto da farlo somigliare, ogni giorno di più, la situazione a una guerra larvata. Appare purtroppo scontato, come si è già avuto modo di costatare, che vi sarà una temporanea recrudescenza di atti terroristici. Vediamo in dettaglio i principali punti del Memorandum.

1. Israele accetta di attuare i primi due dei tre ritiri militari previsti in Cisgiordania. In un primo momento l'esercito israeliano si ritirerà dal 13% del territorio cisgiordano: l' 1% passerà sotto controllo totale dell'Autorità palestinese, il 12% sarà posto sotto l'autorità civile dell'Autorità palestinese, il 3% di esso costituirà una "riserva naturale" dove saranno limitate le costruzioni. Le parti formeranno un comitato incaricato per esaminare le modalità della terza fase del ritiro previsto dagli Accordi di Oslo (cf. Regno-att. 18,1993,527; Regno-doc. 19,1993,640). Gli Stati Uniti saranno regolarmente informati sulle trattative.

2. Le due parti accettano di prendere "tutte le misure necessarie al fine di prevenire gli atti di terrorismo, crimini e ostilità". In dettaglio si prevede: un piano di sicurezza palestinese in collaborazione con gli Stati Uniti; il ristabilimento dell'accordo bilaterale israelo-palestinese in materia di sicurezza e la creazione di un comitato americano-palestinese incaricato di fare il punto sulle misure assunte dai palestinesi per reprimere i gruppi estremisti. Le autorità palestinesi indagheranno e giudicheranno gli individui sospetti di atti di violenza e si impegnano a cercare le armi illegali presenti nel territorio da esse controllato; infine pubblicheranno un decreto, simile a quello già in vigore in Israele, che condanna tutte le forme di incitamento alla violenza; un comitato tripartito USA-Israele-Autorità palestinese sarà incaricato di sorvegliare i casi di incitamento alla violenza.

3. Revisione della carta dell'OLP. L'atto è già avvenuto il 7 novembre, quando il Comitato esecutivo palestinese ha approvato a Gaza la modifica della Carta palestinese con l'abrogazione di tutti i passaggi che incitavano alla distruzione di Israele. Nell'esecutivo dell'OLP è rappresentato il governo dell'Autorità palestinese insieme a tutti i movimenti palestinesi, eccetto quelli che rifiutano il processo di pace.

4. Le parti accettano di creare una zona industriale a Gaza e di aprire un "corridoio" tra Gaza e le altre zone palestinesi. Inoltre le parti si impegnano ad aprire entro sessanta giorni un porto a Gaza.

5. Israele libererà parecchie centinaia dei tremila palestinesi detenuti nelle sue prigioni.

6. Le parti accettano di impegnarsi immediatamente in negoziati accelerati sullo "statuto definitivo" relativo alle frontiere, a Gerusalemme, ai coloni israeliani e ai rifugiati palestinesi.

7. Le parti accettano di astenersi dal prendere misure unilaterali che modifichino lo status della Cisgiordania e della striscia di Gaza.

articolo tratto da Il Regno logo

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