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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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L. Pr.

La moschea dello scandalo

"Il Regno" n. 20 del 1999

Il 22-23 novembre i santuari cristiani della Terra santa resteranno chiusi. La drastica decisione, che ha ben pochi precedenti, è stata assunta di comune accordo dai patriarchi delle chiese cristiane (cattolica, greco-ortodossa, armena, assieme al custode di Terra santa) per protestare contro la decisione del governo israeliano di permettere nella piazza adiacente alla Basilica dell’annunciazione di Nazaret la costruzione di una moschea.

La vicenda ha inizio due anni fa. Gli islamici pretendono il riconoscimento dell’area come luogo sacro e, in attesa della costruzione di una moschea, innalzano provvisoriamente una grande tenda per il culto e la preghiera. Il tribunale dà loro torto, ma il comune, che aveva precedentemente deciso di sistemare l’intera piazza come spazio dei pellegrini cristiani per il giubileo, si ferma davanti al compromesso fra governo e musulmani locali: la moschea sarà costruita, ma di misure ridotte e soltanto dopo la fine del giubileo. Nel frattempo, a partire dall’8 novembre dovrà scomparire (come è avvenuto) la tenda provvisoria.

La protesta cristiana

I cristiani contestano l’irrilevanza della decisione giudiziaria e il mutamento di quella comunale. Ritengono che, come hanno mostrato i disordini già avvenuti all’inizio di aprile nell’area contesa, la presenza di una moschea diventi uno stabile punto di tensione. Addebitano al precedente governo lo scambio politico fra costruzione della moschea e voto elettorale per B. Netanyahu. Durante una visita a Washington, il patriarca latino mons. M. Sabbah lancia la controproposta di riservare una parte dell’area prospiciente la basilica come luogo per un edificio finalizzato al dialogo interreligioso. Il presidente della conferenza episcopale americana scrive a Clinton perché faccia presente al primo ministro israeliano, E. Barak, l’impatto della vicenda sulla credibilità di Israele come responsabile della sicurezza dei luoghi santi. Le autorità israeliane non cambiano la decisione, assicurando però che la moschea sarà isolata da un muro di cinta e che nei paraggi si aprirà una stazione di polizia.

Nel comunicato dei responsabili cristiani (4.11.1999) si ricorda la lunga tradizione di convivenza pacifica a Nazaret. "Questo senso di pacifica coesistenza e fidata armonia è stato recentemente scosso da una serie di tristi eventi... I violenti incidenti della scorsa Pasqua, quando la polizia israeliana non intervenne subito per calmare i disordini, così come gli insulti e le offese rivolti contro molti cristiani, hanno purtroppo ulteriormente innalzato il livello dell’intolleranza e della tensione. Ora, malgrado la sentenza della corte di giustizia israeliana secondo cui il terreno adiacente alla basilica dell’Annunciazione è di proprietà dello stato, il governo ha appoggiato un piccolo gruppo di fondamentalisti che sono all’opera per costruire una moschea a non più di qualche metro dalla storica chiesa... In qualità di rappresentanti delle comunità cristiane in Terra santa, guardiano con seria preoccupazione a questa decisione. Non solo si tratta di una chiara discriminazione contro la comunità cristiana della Galilea, ma è al tempo stesso un distacco dalla norma di legge attuato dal governo e un tentativo di promuovere interessi di tipo elettorale, di cui farà le spese l’unità nazionale del popolo palestinese in tutto il territorio". Il comunicato che annuncia la chiusura dei santuari per il 22-23 novembre si conclude con un invito ai fratelli musulmani "perché ci sostengano in questa azione, così che quanto accade a noi oggi non abbia ad accadere a loro domani".

La protesta delle comunità cristiane locali è sostenuta dalla Santa Sede e un comunicato del portavoce vaticano mette in relazione la vicenda della moschea con il previsto viaggio del papa. Se non appare prevedibile che l’episodio faccia annullare l’intero viaggio, diventa però probabile che la tappa di Nazaret non venga inserita nel programma papale.

Il processo di pace

La tensione fra cristiani e israeliani si accompagna all’avvio dei dialoghi fra israeliani e palestinesi su punti decisivi per il processo di pace. L’incontro di Oslo (1-2.11.1999), che ha visto la presenza di B. Clinton, E. Barak e Y. Arafat, rilancia una trattativa congelata dal precedente governo. Dopo gli accordi di Oslo del 1993, di Taba del 1995, di Hebron del 1997, il memorandum di Wye Plantation del 1998 e quello di Sharm el Sheikh del 1999 (cf. Regno-att. 16,1999,539), l’8 novembre si aprono a Ramallah i colloqui sullo statuto definitivo dei territori palestinesi per raggiungere un accordo-quadro entro la metà di febbraio e un accordo definitivo entro il 13 settembre 2000. Agli incontri si affiancheranno colloqui settimanali dei rappresentanti delle due parti (Yasser Abed Rabbo per i palestinesi e Oded Eran per gli israeliani). Barak può portare alla trattativa alcune decisioni importanti come la liberazione di alcune centinaia di prigionieri, la strada di collegamento fra Cisgiordania e striscia di Gaza, la disponibilità per il riconoscimento statuale dell’autonomia palestinese e per una possibile presenza a Gerusalemme, che rimarrebbe capitale di Israele, anche di un nucleo-capitale per i palestinesi.

L’apertura delle trattative ha puntualmente coinciso con il riapparire della violenza terroristica. Il 7 novembre tre bombe sono esplose nel entro di Netanya, a una ventina di chilometri da Tel Aviv, provocando una trentina di feriti. I sospetti della polizia israeliana si concentrano su Hamas ed Hezbollah spalleggiati dal governo di Teheran. Nella capitale iraniana si sarebbe svolta una riunione fra le varie forze islamiche che si oppongono al processo di pace, dove sarebbe nata una formazione di copertura, il Gruppo islamico unito.

La strada della pace sarà difficile. Oltre allo statuto di Gerusalemme vi è da discutere della sorte di tre milioni e mezzo di rifugiati palestinesi, della delimitazione delle frontiere e del problema dell’approvvigionamento delle acque.

Sia l’episodio di Nazaret, sia la più rilevante discussione sul futuro di Gerusalemme rivelano l’indirizzo del governo israeliano di rivolgersi ai palestinesi, mostrando minor interesse alle posizioni della Santa Sede.

articolo tratto da Il Regno logo

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