Strumenti di animazione

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Lorenzo Prezzi

Alla confluenza delle religioni monoteiste

Fonte: "Il Regno" n. 20 del 2000

Gli accordi con Israele e Palestina, gli interventi per la pace, le richieste per Gerusalemme: l’azione diplomatica della Santa Sede in Medio Oriente.


Al termine del seminario di studio su "La Santa Sede e il Medio Oriente" (Perugia, 20-21.10.2000), le notizie dei persistenti scontri israeliano-palestinesi distendevano un’ombra di sconforto. Né la conferma sulla positività dell’insieme della politica diplomatica della Santa Sede in Medio Oriente, né la memoria del viaggio del papa in Israele e Palestina (20-26.3.2000) potevano rimuovere l’impressione suscitata dall’ondata di violenza avviata dalla passeggiata di Arel Sharon, esponente della destra israeliana, sulla spianata della moschea a Gerusalemme (28.9.2000), gli scontri militari successivi, il fallimento del vertice – mediato da Clinton (USA), Annan (ONU) e Mubarak (Egitto) – a Sharm el-Sheikh (Egitto, 16-17.10.2000), la fine della maggioranza favorevole al processo di pace con la probabile formazione di un governo di unità nazionale e il tramonto del processo di pace avviato a Oslo (Regno-att. 18,1993,527; Regno-doc. 19,1993,640). La pace che sembrava "a portata di mano" (secondo il ministro degli esteri Ben Ami; cf. Regno-att. 16,2000,530) veniva sopraffatta dalla vendetta e dall’ira.

Le raffinate riflessioni giuridiche, politiche e religiose della cinquantina di esperti presenti, in rappresentanza di cinque università italiane e dell’Institut catholique di Parigi, si infrangevano sull’attualità, ma anche sulla complessità di rapporti politici, religiosi e culturali difficilmente componibili.1 Nel dibattito a seguito delle relazioni erano infatti apparsi altri elementi capaci di mettere in scacco il lavoro diplomatico: la persistenza della guerra e delle violenze, la questione delle acque, i mutamenti demografici.

Guerra, acqua, demografia

L’area mediorientale ha visto un susseguirsi impressionante di guerre: da quella arabo israeliana del 1948 a quella del 1956 per il controllo del canale di Suez, dalla guerra "dei sei giorni" del 1967 a quella del 1973, dalla battaglia ebreo-libanese del 1982 alla guerra civile in Libano (1975-1990), dalla rivoluzione islamica in Iran (1979) al confronto Iran-Iraq (1980-1988) fino alla guerra del Golfo (1991). Se si aggiunge l’intifada, la violenza non armata dei palestinesi verso gli israeliani (durata dal 1987 fino al 1993), e la persistenza delle azioni terroristiche si comprende la difficoltà della pace nell’area.

Meno note, ma non meno rilevanti le tensioni circa la proprietà e l’uso delle fonti d’acqua. Israele, Palestina, Siria, Iraq, Libano e i paesi del Golfo sono ormai in una situazione di stress idrico. Due terzi dei paesi arabi hanno a disposizione meno di 1.000 metri cubi d’acqua per abitante, che è considerata la soglia della penuria. Le costruite e previste dighe in Turchia su Tigri ed Eufrate mettono in sofferenza Siria e Iraq (cf. Regno-att. 8,1991,208). La Siria con la proprietà delle alture del Golan controlla le fonti più abbonanti di Israele. A sua volta Israele ha messo in difficoltà la Giordania tentando di cancellare una fornitura d’acqua prevista dal trattato di pace del 1994 e continua a sfruttare i pozzi acquiferi della Cisgiordania e di Gaza a danno dei palestinesi.2

Si aggiunga il vistoso sommovimento prodotto dagli andamenti demografici che riguardano le minoranze cristiane e lo stesso Israele. I cristiani sono oggi circa 7 milioni, distribuiti in tutta l’area. A parte il Libano (dove sono il 43%) sono un’esigua minoranza negli altri stati: 6% in Egitto, 8% in Giordania, 3% in Israele, 3% in Iraq, 9% in Siria. Sono tendenzialmente in riduzione in tutti gli stati (per l’emigrazione e il minor tasso di natalità). Secondo una stima attendibile fra il 1985 e il 2020 Israele passerà da 4.233.000 a 6.639.000 abitanti, ma gli stati confinanti conosceranno uno sviluppo clamoroso: l’Egitto crescerà da 47.578.000 a 92.181.000, la Giordania da 3.506.000 a 12.429.000, la Siria da 10.498.000 a 35.736.000; senza contare la Libia (da 3.786.000 a 12.263.000) e la Turchia (da 50.345.000 a 76.345.000).3

Le possibili strategie della presenza cristiana nell’area hanno visto tramontare l’identità nazionale, democratica e laica che aveva alimentato i progetti delle borghesie nazionali per gran parte del secolo. Fondamentalismo e islamismo politico hanno reso del tutto impercorribile l’ipotesi filoccidentale, che non ha più spazio nel dibattito culturale e politico. Abu al-Mawdudi, padre spirituale del Movimento islamico pakistano, ha detto alla Conferenza islamica mondiale nel 1993: "Dico a voi musulmani, in tutta sincerità, che la formula di governo occidentale che va sotto il nome di democrazia laica è, come potete facilmente costatare, sotto tutti i punti di vista in contraddizione con la vostra religione e la vostra fede... Neppure in questioni di piccolo conto può esistere una concordanza tra islam e democrazia, dal momento che essi sono diametralmente opposti".

No a uno stato cristiano

La forma più comune di presenza è di tipo subalterno e invisibile. È il caso dello status della tradizione islamica di dhimma, cioè di soggetti protetti con una propria identità rispettata, ma con diritti politici limitati. Ogni attività missionaria e pubblica della fede è vietata e fortemente limitati i diritti (pressione fiscale maggiore, diritto familiare subalterno a quello islamico ecc.). Un risultato simile vale anche per l’istituto di origine ottomana, il millet (o nazioni), un’appartenenza definita dall’identità religiosa che si pone come organismo intermedio fra il singolo e lo stato. Ma il millet musulmano è considerato quello dominante, mentre gli altri sono subordinati, giuridicamente e socialmente meno garantiti. Pur nella grande diversità dei quadri giuridici la subalternità civile accomuna la consistente minoranza copta d’Egitto alle piccole minoranze cristiane degli altri stati dell’area. La rivendicazione dei diritti umani secondo la carta dell’ONU è avvertita come politicamente pericolosa e culturalmente inaccettabile. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e tutti gli accordi successivi sono considerati troppo condizionati dalla cultura cristiano-occidentale.

La terza strategia è quella in atto in Libano e va sotto il nome di "comunitarismo istituzionale". È una configurazione che ha permesso la partecipazione politica delle comunità religiose alla vita nazionale ed è caratterizzata dalla visibilità identitaria, dalla rappresentazione politica e dalla piena libertà di culto e associativa. Dopo 15 anni di guerra civile l’accordo firmato a Taef (24.10.1989) ha confermato in Libano le radici religiose dell’identità nazionale come unica garanzia per impedire che qualche popolo possa scomparire. Questa "vita in comune" dà alla religione un ruolo decisivo e permette allo stato di non definirsi religioso. Ma il progressivo restringersi numerico della comunità cristiana, il venir meno della protezione politica delle potenze occidentali, la delegittimazione dell’ipotesi di democrazia laica mette in stato di sofferenza un sistema di presenza che, nonostante i suoi risultati, è avvertito come precario.

L’atteggiamento della Santa Sede nell’area si ispira a tre cure maggiori. Anzitutto quella del dialogo interreligioso e dello scambio tra sistemi culturali diversi. In secondo luogo la difesa delle comunità cristiane dell’area, che costituiscono un elemento di equilibrio non solo nel Medio Oriente, ma nell’insieme del quadro mediterraneo, ove appaiono consistenti minorità musulmane nei paesi europei. In terzo luogo le singole questioni nazionali.

Mons. Migliore, sottosegretario vaticano per i rapporti con gli stati, ha offerto un ampio panorama dell’azione diplomatica della Santa Sede nell’area, concentrandosi poi sulla Chiesa cattolica in Terra santa. "Mentre in Libano ha perseguito la preservazione della coesistenza e della cooperazione sociale e politica delle due comunità religiose, nella Terra santa si è reso necessario tenere chiaramente in conto gli interessi della comunità cattolica, ai fini della sua sopravvivenza e sviluppo, con un’opera non sempre facile di armonizzazione con gli interessi di tutta la comunità cristiana, e con un’attenzione particolare alla causa palestinese, intimamente congiunta nelle sue linee generali alla stessa sopravvivenza della comunità cristiana in quei territori".

Pur nella diversità istituzionale (stato democratico quello di Israele, orientamento islamico per la nascente realtà palestinese) i due accordi sottoscritti, cioè l’Accordo fondamentale con Israele (1993; Regno-doc. 19,1993,640) e l’Accordo di base con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP; Regno-doc. 5,2000,162), affermano il rispetto e l’esercizio della libertà di religione e di coscienza secondo l’intento della Dichiarazione universale. Con una forzatura sia nei confronti della concezione statuale musulmana, sia rispetto al concetto israeliano di "comunità religiose riconosciute". "I due accordi segnano il passaggio... dal riconoscimento di certi diritti delle minoranze al riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana".

Per una pace giusta, completa e duratura

In generale l’indirizzo diplomatico vaticano s’ispira al suo statuto proprio, cioè alla sua natura religiosa, universale e umanitaria (cf. Regno-att. 6,1999,197). Gli interventi sulle singole emergenze (dalla crisi libanese alla guerra del Golfo) tengono conto di queste direzioni. Così si precisa l’atteggiamento circa il conflitto israeliano-palestinese, ove si chiede una pace "giusta, completa e duratura" e vi si collega l’insieme delle normative pattuite negli accordi.

Sulla questione di Gerusalemme da molti anni la Santa Sede persegue la domanda di uno statuto speciale internazionalmente garantito che contenga la libertà di religione, l’uguaglianza davanti alla legge delle tre religioni monoteiste, il carattere sacro della città, il libero accesso ai luoghi santi, la difesa dello status quo. Il prof. Ferrari ha ricordato il passaggio avvenuto nel 1967 fra il progetto di internazionalizzazione della città e la richiesta successiva dello statuto speciale limitatamente alla Gerusalemme storica segnalando le ultime acquisizioni in questa prospettiva. Anzitutto il consenso di tutte le comunità cristiane presenti nella Città santa sull’idea dello statuto (memorandum del 1994). In secondo luogo l’approvazione a schiacciante maggioranza della risoluzione 10\2 dell’Assemblea generale dell’ONU (1997), che chiede garanzie internazionali per la città. Infine, il preambolo dell’Accordo di base con l’OLP, che è per gran parte dedicato a formulare il concetto stesso di statuto internazionalmente garantito. Senza esito invece il tentativo di allargare i soggetti del negoziato sullo status di Gerusalemme, trasformandolo da bilaterale in multilaterale. Dell’opportunità di questo sforzo è segno il fallimento dell’ipotesi di spartizione del recente negoziato di Camp David. Se la divisione della città lì proposta fosse passata, la comunità cristiana sarebbe stata smembrata con un rischio a breve di estinzione per la comunità armena.

Nell’impasse attuale sono riemerse la proposta di una "sovranità di Dio", non ben chiarita, e il richiamo a un protettorato delle Nazioni Unite sul patrimonio culturale della città santa. Ipotesi che si reggono su un’acquisizione importante: quella della dissociazione fra sovranità territoriale e sovranità personale.

Un posto a parte ha rivestito la testimonianza del card. A. Silvestrini, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Ha parlato del viaggio del papa in Israele e in Palestina (20-26.3.2000), leggendolo sulla falsariga del viaggio di Paolo VI nel 1964 e riconoscendo la caratteristica peculiare del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II non nella sostanziale conferma dell’atteggiamento verso i palestinesi, ma nella nuova sensibilità rispetto alla tradizione ebraica. La splendida, protocollare e fredda accoglienza del primo giorno contrastava in maniera netta con la commozione dell’ultima sera e l’affermazione del primo ministro Barak: "A questo papa non possiamo chiedere di più". Fra i due episodi si sono sviluppati i numerosi colloqui con i responsabili e i rabbini, ma particolarmente i gesti come la visita al museo della Shoah e la preghiera al muro del pianto con l’inserimento del foglietto con la richiesta di perdono per le colpe dei cristiani e della Chiesa nelle fessure delle pietre. Il fine perseguito non è stato solamente quello di superare l’ignoranza, i pregiudizi e gli stereotipi che sui due fronti (Israele e Chiesa) hanno segnato e segnano i rapporti, quanto di avvicinarsi alla radice ebraica propria della Chiesa secondo il dettato conciliare: "Scrutando il mistero della Chiesa, questo sacro concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo" (EV 1/861). Un mutamento di queste dimensioni del rapporto fra Chiesa e Israele non può che aiutare la pace – ha concluso il cardinale – sostenendo il popolo ebraico nell’accettazione della possibilità della convivenza con gli altri popoli del paese e della regione.

1 Le università coinvolte nel programma sono quelle di Perugia (prof. G. Barberini, animatore e organizzatore del seminario), l’Università cattolica di Milano (G. Feliciani), l’Università statale di Milano (S. Ferrari), quella di Firenze (F. Margiotta Broglio), e quella di Genova (Varnier). Il seminario su "La Santa Sede e il Medio Oriente" (Perugia, 20-21.10.2000) prevedeva l'introduzione di G. Barberini, la relazione di p. M. Borrmans ("Le comunità cristiane nei paesi arabi e islamici") e di J. Maila ("La specificità della situazione libanese"). Poi sono intervenuti il card. A. Silvestrini ("Commenti al viaggio di Giovanni Paolo II a Gerusalemme"), mons. C. Migliore ("La politica della Santa Sede in Medio Oriente"), S. Ferrari ("La questione di Gerusalemme e dei Luoghi santi").

2 Cf. C. Chesnot, "Pénurie d’eau au Proche-Orient", in Le Monde diplomatique n. 2, 2000; Vivant Univers (2000) 3-4, 9.

3 Cf. P. Fargues, "I cristiani arabi dell’Oriente: una prospettiva demografica", in A. Pacini, Comunità cristiane nell’islam arabo, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996; M. Livi Bacci, F. Martuzzi Veronesi, Le risorse umane del Mediterraneo, Il Mulino, Bologna 1990, 185ss.


articolo tratto da Il Regno logo

Footer

A cura di Caritas Italiana (tel. +39 06 66177001 - fax +39 06 66177602 - e-mail comunicazione@caritasitaliana.it) e Pax Christi (tel. +39 055 2020375 - fax +39 055 2020608 - e-mail info@paxchristi.it)