Strumenti di animazione

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Piero Stefani

Più facile vincere che governare

"Il Regno" n. 4 del 2003

La vittoria di Sharon e il futuro incerto della pace


Le elezioni del 28 gennaio 2003 hanno segnato la chiusura della breve esperienza istituzionale, che tra il 1996 e il 2001 ha portato in Israele alla nomina diretta del capo del governo attraverso il voto popolare. Il tentativo di dare autorevolezza e stabilità al capo dell’esecutivo mediante l’elezione diretta ha avuto esiti insoddisfacenti per il rifiuto di far seguire a quella riforma un’altra che assicurasse al vincitore una maggioranza stabile all’interno della Camera. I 120 deputati della Knesset infatti sono sempre stati eletti in base a un sistema rigorosamente proporzionale (con uno sbarramento irrisorio dell’1,5%).

Con questa legge elettorale i governi sono costretti a formarsi come frutto di coalizioni tra partiti, che nel corso della campagna elettorale si sono presentati come non omogenei o addirittura alternativi. Da questo punto di vista il ritorno al sistema precedente, in cui l’incarico di primo ministro viene assegnato al leader del partito vincitore delle elezioni, non ha apportato una modifica significativa al sistema. Tuttavia esso ha impedito al neo-leader laburista Amram Mitzna (cf. Regno-att. 20,2002,652) di smarcarsi rispetto al crollo del proprio partito, operazione che invece fu invece consentita ad esempio a Barak, il quale nel 1999 fu eletto dal voto popolare capo del governo anche se il partito laburista in quell’occasione subì un ridimensionamento (cf. Regno-att. 12,1999,393).

I laburisti, che avevano ottenuto la maggioranza relativa (25 seggi) nel 1999, hanno optato per partecipare a un governo di coalizione dopo la vittoria di Sharon su Barak nelle elezioni del febbraio 2001, che prevedevano solo la nomina del primo ministro (Regno-att. 4,2001,118). Quell’esperienza ha mostrato l’incapacità sia del ministro degli esteri Peres sia del ministro della difesa Ben Eliezer di proporre una linea politica non subordinata alla crescente egemonia assunta dal Likud (che in quella legislatura poteva contare solo su 19 seggi).

Il tardivo sganciamento dei laburisti dal governo Sharon, meno di tre mesi prima delle elezioni, non ha consentito al nuovo leader Mitzna né di risalire la china fino a giungere alla vittoria elettorale (impresa praticamente impossibile), né (secondo l’ipotesi effettivamente sperata) di «perdere bene» in modo da poter gettare le basi di una futura ripresa. I 19 seggi conquistati dai laburisti sono il peggiore risultato che abbiano conseguito nell’intera storia di Israele. Risultato allarmante specie se lo si confronta con la tradizionale consistenza del partito. Nelle elezioni del 1992 i laburisti ebbero 44 seggi e il Likud 40. Dopo un serio declino quest’ultimo partito è tornato a livelli assai prossimi a quelli di allora – nell’attuale Knesset può contare su 37 seggi –, mentre il Labour è precipitato a meno della metà.1

La pace non trova un progetto politico
Per quanto non trovi più un diretto riscontro istituzionale, la «personalizzazione» della vita politica israeliana ha fatto sì che la popolarità di Sharon si sia riversata su una vistosa crescita del suo partito. Di contro, in modo speculare al processo precedente, il discredito in cui è caduto il partito laburista ha tirato con sé il neo-leader Mitzna. Quest’ultimo, commentando amaramente la sconfitta, ha detto che gli israeliani in maggioranza pensano come lui ma hanno votato Sharon. L’osservazione è pertinente se si tiene conto del fatto che, contro le promesse che hanno condotto Sharon al potere, negli ultimi due anni la sicurezza degli israeliani non è certo aumentata – mai ci sono stati tanti morti –, mentre la crisi economica risulta ormai inarrestabile (nella classifica della competitività dell’IMD nel 2002 il paese è sceso dal 16° al 25° posto). Il desiderio di pace non è assente nell’opinione pubblica; esso però non trova uno sbocco politico adeguato.

Sharon ha continuato nella politica repressiva: nell’immediata vigilia delle elezioni è stato sferrato il più violento attacco mai condotto dalle truppe israeliane nel cuore di Gaza (città risparmiata anche nelle grandi operazioni della primavera scorsa; cf. Regno att. 8,2002,217). La repressione militare pur non garantendo la sicurezza ha però eroso completamente la tradizionale leadership palestinese, mettendo fuori gioco Arafat. Allo stato attuale la linea politica prospettata da Mitzna, di riprendere i colloqui di pace con i palestinesi, non è sconfitta dall’efficacia dell’azione repressiva condotta dall’attuale governo: è perdente a causa dell’incapacità di additare interlocutori credibili con cui riaprire le trattative. Questo senso di sfiducia presso l’opinione pubblica trapela anche dalla percentuale dei votanti, in costante discesa, elezione dopo elezione. L’attuale media attorno al 68% (in luogo dell’80% circa del 1999) segna una svolta in un paese in cui la partecipazione alla politica è stata a lungo una vibrante passione nazionale.

Governare con chi? Per fare cosa?
Nonostante la vittoria elettorale Sharon si trova in gravi difficoltà nel formare un nuovo governo. La sua proposta iniziale è stata di prospettare una riedizione dell’accordo di unità nazionale con i laburisti. Mitzna, che ha basato la sua campagna elettorale sul rifiuto di tornare al governo assieme al Likud, ha perciò respinto l’offerta. Altri esponenti del partito sembrano più possibilisti. All’atto dell’incarico ufficiale affidato a Sharon dal presidente della Repubblica Katzav (9.2.2003) l’atteggiamento laburista è stato comunque meno rigido, subordinando un’eventuale partecipazione al governo al cambio di politica nei confronti dei coloni e alla revisione del bilancio (vale a dire alla modifica dei due punti che hanno condotto all’uscita dei laburisti dal governo nell’autunno scorso; Regno-att. 20,2002,652).

Le alternative alla formazione di un governo che veda riuniti assieme Likud e laburisti sono poche. Alla sua seconda partecipazione elettorale lo Shinui («Cambiamento») ha registrato un successo notevolissimo, passando da 6 a 15 seggi e diventando il terzo partito d’Israele. D’orientamento radicaleggiante e guidato dall’ex giornalista Tommy Lapid, lo Shinui è un movimento politico che mette al centro del suo programma non temi legati alla sicurezza e ai rapporti con i palestinesi, ma questioni connesse a una laicizzazione integrale dello stato.

Appoggiato soprattutto dalla borghesia intellettuale e da liberi professionisti (un tempo per la quasi totalità favorevoli ai laburisti), lo Shinui rappresenta una vera e propria antitesi all’establishment religioso, che in Israele ha gran peso sia sul fronte dell’istruzione sia su quello del diritto civile.

I due grandi rabbini d’Israele, l’askenazita Lau e il sefardita Bakshi Doron, sono giunti alla scadenza del loro mandato decennale. Prima delle elezioni avevano entrambi espresso la loro viva preoccupazione per un’eventuale crescita dello Shinui. Né i loro successori potranno fare diversamente. Il più consistente partito religioso – il sefardita Shas – è uscito ridimensionato dalle elezioni (da 17 a 11 seggi), mentre gli altri due partiti religiosi mantengono le loro posizioni (5 seggi a testa).

L’impossibilità di pensare a una coabitazione governativa tra Shinui e religiosi lascia come sola alternativa all’alleanza tra Likud e laburisti la formazione di un governo che preveda la partecipazione dell’estrema destra dell’Unione nazionale dominata dagli immigrati russi (7 seggi). Si tratterebbe comunque di una maggioranza fragile e frammentata, che ridurrebbe gli spazi di manovra di Sharon più che l’auspicata alleanza con i laburisti. Non è detto che la mano decisiva in questa direzione non gli venga da quanto faranno le truppe americane nel Golfo. L’ormai probabilissima guerra tra USA e Iraq farebbe cadere ogni remora interna al governo di coalizione nazionale e riaprirebbe i giochi anche sul fronte palestinese. Difficile prevedere cosa sarà il Medio Oriente dopo Saddam, ma è chiaro che allo stato attuale una modifica significativa dei rapporti israelo-palestinesi può aver luogo solo all’interno di una situazione mediorientale profondamente ridisegnata nei suoi assetti complessivi.

1 La nuova Knesset è così composta, da sinistra a destra: Una nazione 4 seggi (nel Parlamento uscente 2); Meretz 6 (10); laburisti 19 (25); Partiti arabi 9 (10); Shinui 15 (6); Israel Be-Aliya 2 (4); Likud 37 (19); Shas 11 (17); Lista unificata Torah 5 (5); Partito nazionale religioso 5 (5); Unione nazionale 7 (7).


articolo tratto da Il Regno logo


Footer

A cura di Caritas Italiana (tel. +39 06 66177001 - fax +39 06 66177602 - e-mail comunicazione@caritasitaliana.it) e Pax Christi (tel. +39 055 2020375 - fax +39 055 2020608 - e-mail info@paxchristi.it)