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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

Ultime novita'

Commissione teologica del Patriarcato latino di Gerusalemme

Riflessioni sulla presenza della Chiesa in Terra santa

Fonte: "Il Regno" n. 3 del 2004

«Vengono innalzati muri nel paese e dentro i cuori e la speranza si trova ridotta a puro desiderio di sopravvivere giorno per giorno». Con un breve documento reso pubblico ai primi di decembre del 2003, Riflessioni sulla presenza della Chiesa in Terra santa. «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,11), la Commissione teologica del Patriarcato latino di Gerusalemme, presieduta dallo stesso patriarca mons. Sabbah, prende la parola per esprimere la condivisione, da parte dei cristiani, di un presente fatto di violenza e di disperazione.

Suddiviso in tre parti, «Violenza e terrosimo», «Ebrei, ebraismo e Stato d’Israele», «Musulmani, islam e società araba», il testo ribadisce nella sua analisi la condanna del terrorismo e l’insegnamento della Chiesa post-conciliare sui rapporti con gli ebrei e su quelli con i musulmani, calandolo nel contesto della «occupazione militare israeliana dei territori palestinesi e della violenza sanguinaria tra i due popoli» e delle «difficoltà e delle sfide» dell’essere «testimoni di Gesù Cristo nella nostra società araba e musulmana».

Per una più ampia analisi e contestualizzazione del documento, si veda Regno-att. 2,2004,25; sugli stessi temi gli ordinari cattolici di Terra santa hanno recentemente organizzato un incontro con rappresentanti di alcune conferenze episcpali d’America e d’Europa, di cui riportiamo nel riquadro a p. 107 la Dichiarazione conclusiva.

Originale: stampa da supporto magnetico in nostro possesso. Nostra traduzione dall’inglese.


Introduzione
1. Cristiani in Terra santa, Israele, Palestina e Giordania, condividiamo le speranze e le aspirazioni dei nostri popoli che vivono in mezzo alla violenza e alla disperazione. Qui siamo chiamati a riflettere in quanto credenti sulle questioni concrete con le quali ci confrontiamo. Insieme abbiamo la responsabilità di essere, con la parola e l’azione, testimoni della buona novella; dobbiamo impegnarci a condurre la nostra vita quotidiana come discepoli di Cristo al fine di diventare un più visibile segno di unità, di pace e di carità, all’interno di questa terra sconvolta dalla guerra e dall’odio.

2. Fratelli e sorelle, oggi vi presento questo documento, frutto di una riflessione comunitaria, condotta insieme ai membri della Commissione teologica diocesana, sacerdoti secolari e religiosi, riguardo ai problemi sia della nostra Chiesa locale, sia di quella universale, data l’importanza della Chiesa di Gerusalemme e di tutti gli avvenimenti che oggi vi si verificano. Ovviamente la nostra riflessione parte dall’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica su questioni che viviamo nel quotidiano; ed è alla luce di tali insegnamenti e del nostro contesto specifico in Terra santa che indirizziamo a voi questo documento, per aiutarvi a discernere in modo più chiaro le difficoltà della vostra vita di tutti i giorni. Ci siamo limitati a tre punti fondamentali: la violenza e il terrorismo, i rapporti con il popolo ebraico in Terra santa e i rapporti con i musulmani.

3. Tali questioni possono riguardare anche i nostri fratelli e sorelle delle varie Chiese nel mondo. Vogliamo condividere questa riflessione con tutti e pregare insieme, dal momento che viviamo ogni giorno queste situazioni difficili e complesse, in modo da trovare nella riflessione e nella preghiera comuni il coraggio di restare fedeli alla nostra vocazione in questa terra del Signore. Come membri delle nostre società e delle nostre Chiese, corriamo costantemente il rischio di semplificare e generalizzare. Una preghiera sincera e la nostra presenza tutti insieme davanti a Dio ci aiuteranno a prendere coscienza in modo più consapevole sia delle diverse prospettive, sia della verità da scoprire giorno per giorno nella complessità delle nostre situazioni.

Violenza e terrorismo. Condanna del terrorismo
4. Abbiamo sempre condannato e continuiamo a condannare ogni atto di violenza contro gli individui e la società,1 soprattutto il terrorismo, violenza estrema e organizzata, che ha lo scopo di colpire e uccidere degli innocenti per suscitare in tal modo sostegno alla propria causa. In un documento precedente lo abbiamo dichiarato apertamente: «Il terrorismo è illogico, irrazionale e inaccettabile come mezzo per risolvere un conflitto»;2 esso è anche immorale e peccaminoso.

Un contesto di disperazione
5. Ci rendiamo conto comunque, con pena e sofferenza enormi, delle ingiustizie, delle ferite umane e del clima che spingono a tali atti di violenza, in particolare l’occupazione. L’abbiamo detto: «In caso di terrorismo, i colpevoli sono due: in primo luogo coloro che commettono tali atti, quelli che li ispirano e li appoggiano e, in secondo luogo, coloro che consentono il perdurare delle situazioni d’ingiustizia che provocano il terrorismo».3 Questo clima di violenza non conosce limiti; non fa distinzione tra israeliani e palestinesi. All’interno dei due popoli il sentimento d’impotenza, la frustrazione e la disperazione mettono in circolo collera e vendetta e conducono a una spirale di violenza senza fine. La legittima difesa diventa illegittima a causa del ricorso a mezzi sproporzionati ed essenzialmente malvagi, sotto il pretesto di dare sicurezza e libertà, come per esempio la punizione collettiva o il mantenimento dell’occupazione. La speranza reale di una pace autentica – conseguita attraverso la giustizia, il perdono e l’amore – è scambiata per mera illusione e facile ottimismo. La si rimpiazza con la paralisi d’un fatalismo cinico. Così vengono innalzati muri nel paese e dentro i cuori e la speranza si trova ridotta a puro desiderio di sopravvivere giorno per giorno. Alcuni dichiarano anche che la Terra santa è diventata una terra profanata.

La nostra ragione di speranza
6. Proprio in questa terra Dio ha donato suo figlio, il Cristo, all’umanità. Egli ha sparso il suo sangue nell’atto violento della crocifissione. Ci ha riconciliati con Dio e ha abbattuto i muri d’inimicizia che ci separavano. La sua resurrezione ha sconfitto l’odio, la violenza, la morte. «Egli è la nostra pace e ha fatto dei due un popolo solo» (cf. Ef 2,13-16; Rm 5,10-11).

Pedagogia della non-violenza
7. Dio chiama continuamente i discepoli di Gesù Cristo a essere una comunità di riconciliazione.4 Ispirati dallo Spirito Santo siamo chiamati a portare la profezia della buona novella di pace ai lontani e ai vicini (cf. 2Cor 13,13; Ef 2,17; Is 57,19), non con azioni di violenza ma con gesti concreti di pace, che si oppongono alla cultura della morte e contribuiscono a una cultura della vita. Questa difficile vocazione affidata da Dio alla Chiesa e ai suoi membri richiede una pedagogia specifica, un insegnamento progressivo di un Vangelo di non violenza attivo e creativo nelle nostre scelte, parole e azioni. Costruire la pace non è una tattica ma uno stile di vita.

Ebrei, ebraismo e Stato d’Israele. Insegnamento della Chiesa
8. Facciamo nostro l’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica romana riguardo agli ebrei e all’ebraismo. Con tutta la Chiesa meditiamo sulle radici della nostra fede: nell’Antico Testamento che condividiamo col popolo ebraico e nel Nuovo, scritto in larga misura da ebrei riguardo a Gesù di Nazareth.5 Insieme a tutta la Chiesa rigettiamo gli atteggiamenti di disprezzo, i conflitti e l’ostilità che hanno caratterizzato la storia dei rapporti cristiano-ebraici.

Il nostro contesto
9. Cerchiamo di vivere l’insegnamento universale della Chiesa cattolica e di applicarlo al nostro particolare contesto.6 Diversamente dai nostri fratelli e sorelle d’Europa, la nostra storia di cristiani in Terra santa è stata quella di una comunità minoritaria (situazione condivisa anche dagli ebrei mediorientali) all’interno di una società prevalentemente musulmana. Per molti secoli, a differenza che in Occidente, non siamo stati una maggioranza dominante rispetto al popolo ebraico.

10. Il nostro contesto contemporaneo è unico: siamo la sola Chiesa locale che incontra il popolo ebraico in uno stato definito ebraico dove gli ebrei sono la maggioranza, realtà perdurante dal 1948. Inoltre il conflitto in corso tra lo Stato d’Israele e il mondo arabo, e in particolare tra israeliani e palestinesi, significa che l’identità nazionale della grande maggioranza dei nostri fedeli è in conflitto con l’identità nazionale della maggioranza degli ebrei.

11. Siamo chiamati all’unità, alla riconciliazione e all’amore all’interno stesso della nostra Chiesa locale. In essa, facendone parte a tutti gli effetti, vi sono cristiani di espressione ebraica che sono ebrei o che hanno scelto di vivere in seno al popolo ebraico.7 Il santo padre ha appena nominato un vescovo ausiliare per questa comunità. La ricchezza della Chiesa di Gerusalemme è inoltre potenziata dalla presenza di numerosi cattolici di diversi paesi che hanno scelto di vivere in Terra santa. Desiderando vivere in comunione con arabi, ebrei e con quanti provengono da altre nazioni, la Chiesa di Gerusalemme impara a essere un segno visibile di unità per tutta l’umanità. Nella nostra ricerca costante del dialogo con i fratelli e le sorelle ebrei, dobbiamo avere piena consapevolezza di questo contesto particolare.

La realtà
12. In quanto Chiesa siamo testimoni della continua occupazione militare israeliana dei territori palestinesi e della violenza sanguinaria tra i due popoli. Insieme a tutti gli uomini e le donne di pace e di buona volontà, ivi compresi numerosi israeliani e palestinesi, ebrei, cristiani e musulmani, siamo chiamati a essere sia la voce della verità, sia una presenza che lenisce le ferite. La Chiesa cattolica nel mondo insegna che il dialogo col popolo ebraico è distinto dalle opzioni politiche dello Stato d’Israele. Inoltre «per quanto si riferisce all’esistenza dello Stato d’Israele e alle sue scelte politiche, esse vanno viste in un’ottica che non è di per sé religiosa, ma che si richiama ai principi comuni del diritto internazionale».8 La Chiesa è chiamata a essere testimone profetica nel nostro particolare contesto, testimone che osa immaginare un futuro differente, di libertà, giustizia, sicurezza, pace, prosperità per tutti gli abitanti della Terra santa, che è soprattutto la terra del Signore.9

Prospettive
13. Rispetto a questa grave responsabilità e a questo difficile compito, la Chiesa di Gerusalemme lotta, apprende, profonde i propri sforzi e fa affidamento su tutti i suoi fedeli, arabi, ebrei e fedeli giunti da altre nazioni, allo scopo di aiutare a discernere la volontà di Dio e a essere fedeli discepoli di Cristo. Siamo già impegnati con fratelli e sorelle ebrei in un dialogo che parte dai rispettivi contesti, in una terra tristemente sconvolta da guerra e violenza. I nostri fedeli in Israele vivono in dialogo permanente, continuo coi loro vicini ebrei, dialogo di vita e d’amicizia. Nei territori palestinesi le nostre istituzioni cattoliche (il seminario diocesano, l’Università cattolica di Bethléem ecc.) tengono corsi sugli ebrei e sulla loro eredità. La nostra Commissione diocesana per i rapporti col popolo ebraico è attiva e ci aiuta a saperne di più sugli ebrei e sull’ebraismo. In quanto Chiesa osiamo sperare che la nostra preghiera e la nostra testimonianza incoraggino e promuovano la giustizia, il perdono, la riconciliazione e la pace; esse contribuiscono anche al dialogo fraterno che può e deve svilupparsi tra ebrei e cristiani in Terra santa, nel loro contesto specifico.

Musulmani, islam e società araba
14. Siamo realisti riguardo alle possibilità di dialogo e collaborazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani e rispetto alle difficoltà di un simile progetto. La realtà concreta della società araba si differenzia di paese in paese: qui parliamo della nostra esperienza in Terra santa, dove, cristiani e musulmani, siamo vissuti insieme per 1.400 anni. La nostra società ha conosciuto giorni facili e giorni difficili e oggi affronta molte sfide importanti nella ricerca di equilibrio, rispetto alla modernità, al pluralismo, alla democrazia e alla ricerca della pace e della giustizia. Comunque, il nostro atteggiamento è radicato nell’insegnamento della Chiesa del concilio Vaticano II sui musulmani.10

Due principi
15. Le relazioni tra arabi e cristiani arabi in Terra santa11 sono regolate da due principi: primo, tutti, cristiani e musulmani, apparteniamo a un unico popolo; condividiamo la stessa storia, la lingua, la cultura e la società. Secondo, noi cristiani arabi siamo chiamati a essere testimoni di Gesù Cristo nella nostra società araba e musulmana, come pure nella società israeliana ebraica.

16. Nella vita quotidiana, nonostante i rapporti tra cristiani e musulmani siano generalmente buoni, siamo pienamente coscienti delle difficoltà e delle sfide che dobbiamo affrontare: ignoranza e pregiudizi reciproci, mancanza di autorità che produce insicurezza, discriminazione tendente all’islamizzazione all’interno di alcuni movimenti politici, che minacciano in tal modo non solo i cristiani ma anche numerosi musulmani desiderosi di una società aperta.12 Nel caso in cui l’islamizzazione costituisca una violazione della libertà dei cristiani, dobbiamo insistere sulla necessità che vengano rispettate la nostra identità e la nostra libertà religiosa. Comunque, attraverso il dialogo e altre iniziative, siamo chiamati, cristiani e musulmani, a collaborare per la costruzione di una società comune fondata sul mutuo rispetto e sulle reciproche responsabilità.

Una pedagogia
17. In tale situazione cerchiamo di aiutare i nostri fedeli arabi, che costituiscono la maggioranza del nostro gregge, a integrare e vivere la loro identità plurima come cristiani, come arabi e come cittadini, in Giordania, in Palestina e in Israele. Il fatto che i cristiani siano poco numerosi non significa che non abbiano importanza o che debbano abbandonarsi allo scoramento. Incoraggiamo i nostri fedeli ad assumere il loro ruolo nella vita pubblica e a contribuire in ogni ambito alla costruzione della società.13

Conclusione. Con i musulmani e gli ebrei – Una vocazione
18. Siamo profondamente consapevoli della vocazione della Chiesa di Gerusalemme a essere una presenza cristiana in mezzo alla società, sia essa araba musulmana o ebraica israeliana. Crediamo di essere chiamati a essere un lievito, contribuendo alla positiva risoluzione delle crisi che stiamo attraversando. Siamo una voce che si leva dall’interno delle nostre società di cui condividiamo la storia, la lingua, la cultura. Cerchiamo di essere una presenza che promuove la riconciliazione, invitando i nostri popoli al dialogo che aiuta alla comprensione reciproca e che alla fine porterà la pace in questa Terra. «Se non c’è speranza per i poveri non ve ne sarà per nessuno, nemmeno per i cosiddetti ricchi».14

19. Avvicinandosi il Natale, fratelli e sorelle, indirizziamo a voi i nostri migliori auguri: possa questa festa essere fonte di pace nei vostri cuori e nelle vostre anime. Buon Natale! Durante queste feste, preghiamo Cristo il Messia, principe della pace, perché renda ciascuno di noi strumento di pace, per vivere e comunicare la pace cantata dagli angeli nel cielo della nostra Terra. Dio è nostro creatore e redentore e nel mistero di questa divina figliolanza che si è realizzata in noi, siamo tutti, fratelli e sorelle, chiamati a praticare la giustizia e a gioire della vera pace che Dio dona a quanti lo cercano.

3 dicembre 2003

Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme;
G. Boulos Marcuzzo, vescovo ausiliario; Frans Bouwen pb;
Gianni Caputa sdb;
Peter Du Brul sj;
D. Jamal Khader;
D. Maroun Lahham;
Frédéric Manns ofm;
David Neuhaus sj;
Jean-Michel Poffet op;
Thomas Stransky csp,
membri della Commissione teologica diocesana

1 Cf. M. Sabbah, Cerca la pace e perseguila, in Regno-doc. 1,1999,22. Si veda anche il discorso del patriarca dell’11 settembre 2002 all’Hebrew Union College di Gerusalemme nel primo anniversario dell’attacco negli Stati Uniti, in Jerusalem. Bollettino del Patriarcato latino, 4-5/8 (2000) 151-152.

2 Cerca la pace e perseguila, n. 15; Regno-doc. 1,1999,25.

3 Ivi.

4 Ivi, sez. VI, «La riconciliazione, il perdono e l’amore dei nemici», nn. 28-37; Regno-doc. 1,1999,28-29.

5 Cf. M. Sabbah, Leggere e vivere la Bibbia oggi nel paese della Bibbia, in Regno-doc. 3,1994,86.

6 Cf. Assemblea degli ordinari cattolici in Terra santa, «Rapporti con i credenti delle altre religioni: rapporti con gli ebrei», in Sinodo diocesano delle Chiese cattoliche. Piano pastorale generale, 2000, 153-157.

7 Ivi, 156.

8 Segretariato per l’unione dei cristiani (Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo), Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione, VI/1; EV 9/1655.

9 Cf. Sabbah, Cerca la pace e perseguila.

10 Cf. Vaticano II, dich. Nostra aetate, n. 3; EV 1/859-860.

11 Cf. Assemblea degli ordinari cattolici in Terra santa, «Rapporti con i credenti delle altre religioni: i nostri rapporti con i musulmani», in Sinodo diocesano delle Chiese cattoliche. Piano pastorale generale, 148-152.

12 Cf. M. Sabbah, Domandate pace per Gerusalemme, n. 58; Regno-doc. 19,1990,617.

13 Cf. Assemblea degli ordinari cattolici in Terra santa, «La presenza dei cristiani nella vita pubblica», in Sinodo diocesano delle chiese cattoliche. Piano pastorale generale, 150-169.

14 Giovanni Paolo II, esort. apost. post-sinodale Pastores gregis, 16.10.2003, n. 67; Regno-doc. 19,2003,629.


articolo tratto da Il Regno logo

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