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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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LA NOSTRA ARMA SI CHIAMA NON VIOLENZA

L'esercito distrugge case, abitazioni ricavate in grotte, sistemi d'irrigazione, ma...

 

 

 


I pastori di Hebron
"LA NOSTRA ARMA SI CHIAMA VIOLENZA"


di Michelangelo Cocco
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/13-Dicembre-2008/art39.html

Hafez Huraini è il leader del comitato di pastori delle colline a sud di Hebron, una delle zone della Cisgiordania occupata (area C secondo gli accordi di Oslo: sotto completo controllo israeliano) maggiormente funestata dalla presenza dei coloni. Operazione colomba, l'ong d'ispirazione cattolica con una presenza permanente in Palestina, la settimana scorsa ha portato Huraini in Italia, per una serie d'incontri che ci ha dato modo di discutere di quella "pressione continua che - denuncia il palestinese - dagli anni '80 ha portato a uno spopolamento (il 20% in meno) dei villaggi dell'area, nei quali sono rimaste circa 3.000 persone".

Qual è la particolarità di at-Tuwani?
Il mio villaggio, at-Tuwani, e gli altri centri a sud di Hebron, sono abitati da gente semplice, quasi tutti pastori o agricoltori: la terra rappresenta la nostra unica fonte di sostentamento. Dal 1967 in poi, l'occupazione israeliana ha perseguito una "strategia di espulsione" dei palestinesi da quest'area, vicina alla Linea verde. L'esercito - che ci confisca le terre dopo averle dichiarate zone militari - e i coloni sono gli strumenti attraverso i quali viene messa in pratica questa strategia.

Come avvengono le demolizioni che denunciate?
L'esercito distrugge case, abitazioni ricavate in grotte, sistemi d'irrigazione: secondo le leggi dell'occupazione per costruire qualsiasi cosa dobbiamo ottenere un permesso, che però non ci viene mai accordato. Quindi tutto può essere demolito. Abitiamo un'area in cui le colonie più importanti (Karmel, Maon, Susia, beit Atir) sono popolate da settler tra i più estremisti, molti dei quali immigrati dagli Usa: provano a cacciarci picchiandoci, distruggendo le nostre proprietà, avvelenando le nostre pecore, tagliando i nostri ulivi.

Come nasce il vostro comitato?
Siamo quasi tutti pastori. Dopo anni d'occupazione, ci siamo posti il problema di come resistere alle violazioni del diritto umanitario da parte di Israele: abbiamo scelto la lotta nonviolenta, da praticare assieme ai nostri amici israeliani, singoli individui o pacifisti di organizzazioni come Rabbis for human rights, B'tselem, Taiush e altri. Agiamo nell'ambito legale, con i ricorsi alla Corte suprema e ai tribunali, e in quello mediatico.

Quando i palestinesi si sono rivolti alla "giustizia" dell'occupante, come nel caso del comitato popolare di Bilin contro il Muro, hanno ottenuto successi parziali. Non temete inoltre di legittimare il "sistema giuridico" che è alla base delle vostre sofferenze?
Noi intendiamo mostrare ai cittadini israeliani che il loro esercito non rispetta le loro stesse leggi. Le decisioni emesse dalla Corte suprema a volte sono in favore dei palestinesi, come quando nel 2000 stabilì che gli abitanti espulsi da 11 villaggi della nostra area dovessero far rientro nelle loro case. Semplicemente non vengono implementate.

Crede che a guidare la resistenza palestinese saranno lotte non-violente e di base come la vostra?
Ritengo che la questione palestinese sia una profonda ingiustizia e che per vincere dobbiamo creare una cultura di riconciliazione e pace tra palestinesi e israeliani. Attraverso la nostra battaglia (resistere alle violenze dei coloni, impedire la distruzione dei campi, etc.) alcuni israeliani vengono a conoscenza dei nostri diritti. L'occupazione vuole creare la massima tensione, affinché i palestinesi reagiscano con la violenza ai suoi crimini, dandosi così la scusa per ulteriori repressioni e per rubarci sempre più terra. Noi l'abbiamo capito e per questo abbiamo adottato un modello non-violento.

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