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Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Peacebuilding: un manuale formativo Caritas

Aggiornamento del "Manuale di formazione alla pace", pubblicato nel 2002 da Caritas Internationalis, traduzione in italiano a cura di Caritas diocesana di Roma - Servizio Educazione Pace e Mondialità (S.E.P.M.).

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4 giugno 2013

Se c’è un conflitto dimenticato, o forse meglio ignorato e umiliato, è quello che oppone la popolazione saharauoi al Marocco. Originari dell’ex colonia spagnola del Sahara occidentale, sulla coste dell’Atlantico, il popolo saharaoui si vede garantita dalle Nazioni Unite (risoluzione 1514) il principio di autodeterminazione, alla partenza degli spagnoli nel 1975.

L’aspirazione all’indipendenza rimarrà un sogno, poiché il 6 novembre dello stesso anno il re Hassan II del Marocco, ritenendo che il territorio lasciato libero dagli spagnoli fosse parte integrante del suo paese, lo occupa. E’ la cosiddetta “marcia verde”, 250.000 marocchini che penetrarono nel paese come coloni. Per tutta risposta, decine di migliaia di Saharauoi abbandonarono il paese verso Tindouf, in Algeria, dove tuttora si trovano, in pieno deserto, e ormai sono diventati almeno 150.000, probabilmente anche di più.

Negli anni 80 il conflitto esplode tra il Marocco occupante e il fronte armato saharaoui, il Polisario. In questi anni viene costruito dal Marocco una specie di muro fra le sabbie che divide da nord a sud, per 2000 chilometri, la zona ovest, sotto amministrazione marocchina e la zona est circa il 20% del territorio, sotto controllo saharauoi. Le azioni militari fra Marocco e Polisario cessano nel 1991, quando viene promesso un referendum per stabilire se il popolo saharauoi voglia o no accedere all’indipendenza. L’inganno è proprio questo: il referendum verrà più volte rinviato dalle Nazioni Unite e finora non è stato fatto. L’assurdo politico è mostrato anche da questo fatto: la repubblica saharaui (RASD) è riconosciuta dall’Organizzazione dell’Unione Africana, e il Marocco per questo motivo ne è uscito. Ma la Lega Araba sostiene le ragioni del Marocco. Nel frattempo le reciproche accuse di vessazioni, torture e uccisioni fra cittadini marocchini e saharauoi non si contano.

Un altro fallimento della capacità della comunità internazionale - e delle Nazioni Unite - di risolvere un dramma umano. Intanto, al maggio 2013 i 150.000 rifugiati a Tindouf e quelli che vivono nelle zone sotto amministrazione marocchina, festeggiano, per così dire, i 40 anni del Polisario, e si chiedono: dovremmo aspettare il cinquantennio? Quaranta anni di attesa, di cui 38 in esilio per almeno metà della popolazione nelle lande di Tindouf, un deserto a 40° all’ombra di giorno e di freddo pungente di notte. Sfilano uomini donne,bambini, destinati a invecchiare dimenticati.

Sfilano, come ogni anno, in una prigione a cielo aperto. Tutte le risoluzioni internazionali sono lettera morta, l’età di ognuno segna contemporaneamente il tempo della propria condanna, ci dice un testimone: “venti anni, trenta anni, per molti è stato il carcere a vita. L’urgenza umanitaria nei 4 campi profughi di Tindouf è ormai la gestione cronica di un’emergenza, si vive solo con gli aiuti umanitari e le piccole azioni di sviluppo di qualche ONG. Sfilano con i cartelli che indicano gli anni che sono passati. Sfilano i bambini con il volto triste e lanciando slogan che chiamano alla speranza e all’aiuto. Alla sera torneranno a dormire nelle casupole di mattoni, avvolti da coperte Made in China. I loro genitori li accompagnano e non gli insegnano la violenza. Fino a quando durerà?

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