"Prevenire è meglio che curare"

di Kofi Annan

  1. Esiste un consenso pressoché universale sul fatto che prevenire sia meglio che curare, e sul fatto che le strategie di prevenzione debbano rivolgersi alle cause che sono alla base di un conflitto, e non semplicemente ai suoi sintomi violenti. Questo consenso, tuttavia, non viene sempre accompagnato da azioni pratiche. I leader politici trovano spesso sgradevole spiegare ai loro elettori le ragioni per le quali è opportuno sviluppare delle politiche di prevenzione in lontani paesi esteri, dal momento che i costi sono evidenti e immediati, mentre i benefici — un evento futuro indesiderabile o tragico che potrebbe anche non verificarsi — sono più difficili da comunicare e accettare. Per questa ragione la prevenzione è, in primo luogo e soprattutto, una sfida di leadership politica.

  2. Se vogliamo avere successo nel prevenire i conflitti mortali, dobbiamo avere una chiara comprensione delle loro cause. Non tutte le guerre si assomigliano; perciò nessuna singola strategia potrà essere universalmente efficace. Che cosa c’è di diverso nelle guerre che si sono svolte nel corso degli anni ’90?

  3. Molti dei principali conflitti che si sono svolti nel decennio scorso erano guerre di successione post-comuniste, nelle quali alcuni leader hanno sfruttato le forme più primitive di nazionalismo etnico e le differenze religiose per mantenere o conquistare il potere. Alcuni di questi conflitti sono già finiti nei libri di storia — assieme con gli uomini che le hanno causate — e c’è da sperare che le rimanenti vadano presto a far loro compagnia. La maggioranza delle guerre, oggi, sono guerre fra poveri. Perché questo avviene?

  4. I paesi poveri dispongono di minori risorse economiche e politiche con le quali possono gestire i conflitti. Mancano delle capacità necessarie a compiere importanti trasferimenti finanziari in favore di gruppi o regioni minoritarie, ad esempio, e possono temere che il loro apparato statale sia troppo fragile per controllare il decentramento amministrativo. Al contrario, ambedue queste misure sono degli strumenti abituali per stemperare le tensioni all’interno delle nazioni più ricche.

  5. Quel che questo significa è che ogni singola misura che ho descritto nella precedente sezione — ogni passo intrapreso per diminuire la povertà e raggiungere una crescita economica largamente diffusa — equivale a un passo verso la prevenzione dei conflitti. Tutti quelli che sono impegnati nella prevenzione dei conflitti e nello sviluppo, perciò — le Nazioni Unite, le istituzioni di Bretton Woods, i governi e le organizzazioni della società civile — debbono affrontare queste sfide in un modo maggiormente integrato.

  6. Possiamo fare di più. In numerose fra le nazioni povere che sono in guerra, la condizione di povertà si accoppia a delle evidenti sfaldature di tipo etnico o religioso. Pressoché invariabilmente, i diritti dei gruppi subordinati non vengono sufficientemente rispettati, le istituzioni di governo non sono sufficientemente rappresentative di tutti i gruppi, etnici o religiosi, e l’allocazione delle risorse favorisce la fazione dominante rispetto a tutte le altre.

  7. La soluzione è chiara, anche se è difficile da raggiungere in pratica: promuovere i diritti umani, proteggere i diritti delle minoranze e creare degli ordinamenti politici nei quali siano rappresentati tutti i gruppi. Ferite che hanno sanguinato per lungo tempo non potranno certo rimarginarsi nell’arco di una sola notte. Né tantomeno potranno essere costruite la fiducia o il dialogo mentre vengono inflitte delle nuove ferite. Non esistono rimedi rapidi, né scorciatoie. Ciascun gruppo deve convincersi che lo stato appartiene a tutta la popolazione.

  8. Alcuni dei conflitti armati odierni sono causati all’avidità, non dall’ingiustizia. Anche se la guerra è estremamente costosa per la società nel suo insieme, essa può, senza alcun dubbio, risultare profittevole per alcuni. In casi simili spesso è in gioco il controllo delle risorse naturali; il commercio delle droghe o la loro produzione sono altre volte il fine ultimo da raggiungere, talora i conflitti vengono istigati da confinanti opportunisti, e gli attori del settore privato sono complici — comprando beni di cui si è venuti in possesso illegalmente, aiutando a riciclare il denaro e alimentando i combattimenti con un flusso continuo di armamenti.

  9. In questo contesto, la migliore strategia preventiva consiste nella trasparenza: "scoprire e svergognare". A tale proposito, gli attori della società civile hanno un ruolo di fondamentale importanza da giocare, ma i governi e il Consiglio di Sicurezza debbono esercitare la propria responsabilità. Un maggior senso di responsabilità sociale da parte delle imprese globali, e specialmente delle banche, è altrettanto necessaria.

  10. Da ultimo, strategie di prevenzione di successo ci obbligano a garantire che i vecchi conflitti, una volta conclusi, non tornino a divampare, ma siano risolti una volta per tutte e che a questo scopo venga fornito il necessario supporto per la costruzione della pace nel periodo post-bellico.

  11. Mentre la prevenzione costituisce un aspetto essenziale dei nostri sforzi per promuovere la sicurezza umana, dobbiamo riconoscere che persino le migliori strategie di prevenzione e di deterrenza possono fallire. Altre misure, perciò, possono rendersi necessarie. Una è quella di rafforzare il nostro impegno per proteggere le persone più vulnerabili.

     

    estratto dal Millennium Report del Segretario Generale dell'ONU "Noi i Popoli: il ruolo delle Nazioni Unite nel ventunesimo secolo", presentato all'Assemblea Generale (A/54/2000)