L'italico seme contro l'agrobusiness

Berlusconi silura il decreto Alemanno che limita le semine di mais modificato ma il 70% dei consumatori e 12 Regioni sono contrarie agli ogm

Ci risiamo. Ancora una volta gli organismi geneticamente modificati, meglio noti come ogm, si riaffacciano sulla scena per spaccare trasversalmente i poli e perfino i singoli partiti. Il cosiddetto decreto Alemanno, presentato dal ministro delle Politiche agricole per bloccare il via libera alla semina biotech deciso dall'Unione Europea, è stato silurato da Berlusconi. In realtà il Consiglio dei ministri si è limitato a rinviare il provvedimento di una settimana accusando il ministro di mettere i piedi nel piatto delle regioni, che ormai dovrebbero avere la piena autonomia in campo agricolo. In realtà Alemanno sa bene che ben dodici regioni sono dalla sua parte, e probabilmente spera di trarre forza dalle consultazioni che si terranno - sia con le regioni che con le associazioni di categoria - prima che il decreto torni al Consiglio dei ministri.


Inquinamento genetico

Due sono gli aspetti che hanno spinto Alemanno spingere sull'acceleratore. In primo luogo, dal punto di vista scientifico, è ormai dimostrata l'impossibilità di tenere segregate le coltivazioni. Numerosi studi hanno mostrato infatti che le piante transgeniche hanno la fastidiosa abitudine di contaminare i campi vicini con la propria discendenza. Come dire che, una volta imboccata questa strada, gli ogm sono per tutti e per sempre, essendo materialmente impossibile arginare l'inquinamento genico. Se durante la prossima semina verrà dato il via libera alla coltivazione di piante geneticamente modificate, i consumatori non troveranno più un solo produttore in grado di garantire una filiera ogm free. E il fatto che quasi il 70 per cento dei consumatori si siano dichiarati diffidenti nei confronti degli ogm (secondo un sondaggio di Observa) non può che incidere sulle scelte dei produttori.

Dodici regioni e 1100 comuni, sia di destra che di sinistra, hanno detto chiaramente la loro sulla questione dichiarando i propri territori "Ogm free". Una decisione che non è soltanto motivata dalla demonizzazione del "cibo di Frankenstein" quanto dalla constatazione che il made in Italy deve il suo successo commerciale alla qualità delle sue produzioni. Se le piante transgeniche sono nate per servire gli interessi della grande industria dell'agrobusiness, basata sulle coltivazioni intensive delle grandi pianure americane, che cosa possono ricavarci gli agricoltori italiani? La scelta delle 12 regioni, sostenuta dai nomi noti dell'ambientalismo, dalle associazioni dei consumatori e da alcuni marchi della grande distribuzione, riflettono una realtà produttiva basata appunto sulla qualità e sul piccolo appezzamento, scelte che il mercato sembra premiare. Ecco dunque la scelta della tolleranza zero, adottata da Alemanno fin dai primi giorni del suo mandato e portata avanti con coerenza - per esempio rafforzando i meccanismi di controllo della filiera necessari a bloccare il contrabbando dei semi transgenici.

Del resto non è molto chiaro perché l'Europa, che in pochi anni ha visto crescere le esportazioni di soia e grano ogm free in aperta concorrenza con le produzioni Usa, abbia deciso di abbandonare questa strada. Evidentemente la lobby dell'agrobusiness, capeggiata da giganti come Monsanto e Novartis, è talmente potente da spingere gli euroburocrati a ignorare le ragioni della prudenza e perfino quelle del portafoglio.


Un fronte trasversale

Come hanno riconosciuto le stesse aziende biotech, la campagna di promozione degli ogm è stata un errore. Importazioni di contrabbando, pressioni diplomatiche e un'estrema disinvoltura nelle valutazioni scientifiche hanno provocato prima diffidenza e poi aperta ostilità. Gli ogm sono diventati il simbolo dell'arrroganza delle multinazionali indifferenti sia alle scelte dei consumatori ricchi che alle condizioni di vita dei produttori poveri, sottoposti all'ennesima vessazione del pagamento delle royalties sui semi, e la lotta contro il biotech è diventata una bandiera del movimento globale.

Da sinistra l'impegno del ministro Alemanno è stato percepito nel migliore dei casi con diffidenza e nel peggiore come una pura trovata demagogica. Indubbiamente l'occhio del ministro cade sulla realtà produttiva, su di un soggetto sociale che si è andato aggregando intorno alla questione degli ogm e che, ovviamente, è un bacino di consenso elettorale. Ma la difesa della sovranità alimentare non si esaurisce in questo. Notoriamente la destra sociale di Alemanno e Storace fa propri alcuni temi di critica alla globalizzazione, prima fra tutte l'omologazione a una monocultura del pensiero e della produzione agricola cui contrappone il recupero di una sovranità che s'identifica con il tradizionale concetto di patria. Da questo punto di vista i "no global" di destra sono in perfetta sintonia con alcuni filoni di resistenza alla globalizzazione basati sull'identità religiosa o culturale - come la destra fondamentalista indù del Bjp o l'islam politico. Un'impostazione ovviamente molto differente da quella del movimento dei movimenti che oppone invece un modello transculturale e transreligioso di ben più ampio respiro basato su di una "globalizzazione dal basso" rispettosa delle scelte delle comunità. Una differenza profonda che, come nel caso italiano, non impedisce a queste due anime di fare un pezzo di strada insieme.

Sabina Morandi   
www.liberazione.it
http://www.liberazione.it/giornale/041012/LB12D6D1.asp
12.10.04