Al parco della buona scienza <i>Dall'etica delle responsabilità alla sacra ideologia del progresso</i>




Una delle pagine clou di Jurassic Park si svolge attorno a un tavolo, dove i protagonisti discutono della legittimità di riprodurre «artificialmente» dinosauri. Come in ogni romanzo di Michael Crichton ci sono due posizioni che si fronteggiano in una situazione di imminente pericolo. La prima è del prometeico ispiratore del «parco a tema»: la scienza non può fermarsi di fronte a nulla, neppure a argomentazioni che hanno a che fare con l'etica o dio. Da qui l'imperativo a proseguire con le sofisticate manipolazioni genetiche per produrre in vitro velociraptor, tirannosauri rex, pterodattili. Seduto dall'altra parte del tavolo, un matematico cultore della teoria del caos sostiene invece che la produzione seriale di dinosauri è uno «stupro della natura» e che gli uomini non possono porsi al di sopra a dio e dell'evoluzione.
Ma gran parte dei romanzi dello scrittore americano sono costruiti attorno a conflitti sul rapporto tra scienza, tecnologia e società, sia che si tratti di viaggi nel tempo, che di nanotecnologie, che di realtà virtuale. In Jurassic Park fa però capolino una terza possibilità, che prevede sia la libertà dei ricercatori di esplorare terreni nuovi ma una pragmatica etica della responsabilità sulle conseguenze dei risultati ottenuti.

Anche nella fortunata serie televisiva di Er, i medici e gli infermieri discutono animatamente di scienza e di giuramento di Ippocrate - tema noto a chi, prima di passare alla tastiera, indossava un camice bianco e aveva quotidianamente a che fare con intubazioni, bisturi e anamnesi -, ma lasciando comunque aperta quella «terza possibilità» in cui la posta in gioco non è tanto se la scienza deve essere sottoposta o no al controllo di un comitato di saggi, quanto le conseguenze sociali di una scelta o di una ricerca scientifica. Colpisce dunque che nelle polemiche che hanno accompagnato l'uscita di State of Fear, il suo autore abbia brandito tastiera e mouse come una clava per lanciarsi contro chiunque esprimesse riserve sulle tesi presenti suo romanzo, cioè che la scienza ha sempre ragione e guai a manifestare qualche dubbio.
Una vis polemica che non stupisce dopo la sua «conversione repubblicana», avvenuta agli inizi degli anni Novanta. Democratico dichiarato, ma con una buona percezione degli umori del mercato editoriale lo scrittore ha spesso preso posizione contro la presidenza Reagan che riduceva i sussidi ai poveri e ai disoccupati o a favore di una sanità garantita a tutti senza guardare al conto in banca del malato. Posizioni ribadite nei suoi romanzi più «sociali» (Congo, Rivelazioni, Sol levante e Punto critico) dove venivano messi all'indice la deregulation e lo strapotere delle multinazionali.

Nel caso di State of fear Crichton ha sostenuto, in particolare modo durante un seminario del think thank neoconservatore «America Enterprise Institute», che bisogna combattere la «politicizzazione» della scienza operata dagli ambientalisti, «categoria», va detto, che non ha mai molto amata. Sta di fatto che quella terza possibilità - la responsabilità sulle conseguenze sociali della ricerca scientifica - è cancellata, operando dunque una «politicizzazione» anche se di segno contrario a quella che vuol combattere. Ma è noto che quando ci si avventura a discutere di scienza e si invoca la sua neutralità si sostiene una precisa politica della ricerca (in questo caso quella dell'amministrazione Bush) e si propagandano ideologie vetuste come quelle scientista e del progresso.
Benedetto Vecchi
Fonte:www.ilmanifesto.it
12.03.05