ostiNATI per la PACE
Iraq

Iraq: e la chiamano ricostruzione

Ma il paese è tutt’altro che pacificato, più vittime tra i soldati stranieri che in guerra. Si prospetta una situazione di guerra civile.
10 maggio 2004 - Simona Cavalca

L’Iraq ma anche l’Afghanistan, solo per citare i due conflitti che in ordine di tempo hanno fatto maggiormente notizia, senza perderne di vista le rispettive peculiarità e caratteristiche, possono essere considerati un esempio di ciò che comunemente stanno definendo “ricostruzione”. Se vogliamo anche solo per un attimo credere nella possibilità che un tale termine possa essere pronunciato da un sistema che, incarnando con crescente evidenza una logica di guerra e di violenza senza limiti, sembra poter parlare solo in termini di distruzione, dobbiamo cercare di capire quale significato gli viene attribuito. Ricostruzione nei fatti sta, per la popolazione irachena, comportando un costante e violento assedio. Se titoloni di giornale vengono dedicati all’uccisione di soldati statunitensi o britannici, tra le righe nessuno più riesce a nascondere che la causa va ricondotta al livello di esasperazione raggiunto da una popolazione che, per riferirci solo agli ultimi mesi e non anche alla guerra del ’91 e ai dodici anni di embargo, dopo aver visto distruggere le proprie città ed abitazioni e aver perso i propri cari, continua a subire violenze d’ogni sorta, come le quotidiane e minuziose perquisizioni delle proprie case in cui i soldati prendono di mira donne e bambini, puntando loro addosso le armi.
Quella irachena è una popolazione stremata ed esasperata dai soprusi che continua a subire da parte dei soldati ma che non è disposta a piegarsi. Il coraggio e la forza che quotidianamente, e non da oggi, sta dimostrando hanno più che mai bisogno di una solidarietà che impari a far leva su quelle stesse capacità e facoltà che nella storia degli uomini e delle donne hanno significato saper e poter resistere e reagire anche nei momenti più drammatici e che oggi possono diventare anche motivo di invenzione di una vita e un’esistenza migliori.
All’assedio la popolazione reagisce con manifestazioni di protesta e con tentativi di riorganizzazione della propria vita quotidiana in cui il grado di miseria e di disperazione non sono facilmente immaginabili. Siamo già difronte ad un salto di qualità: non sono più solo sporadiche azioni di guerriglia contro l’occupante, si prospetta una situazione di guerra civile.
Ancora più forza e valore assume allora il grido “Fuori subito” che dalla fine del conflitto gridiamo insieme ai nostri fratelli e sorelle iracheni, mentre Bush prende tempo di fronte alle evidenti difficoltà a trovare le armi di distruzione di massa, Blair si trova schiacciato tra l’inquietante vicenda del falso dossier sulle armi di distruzione di massa irachene, la morte di sei militari e la necessità di rinforzare il contingente con altri cinquemila soldati e il governo italiano prosegue nell’invio di altre forze impegnate nella missione “Antica Babilonia”.