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Mangiare con Dio

Pasqua 2017

Mai come in questo periodo storico che stiamo vivendo il dialogo interreligioso riveste un ruolo di primaria importanza. In passato i rapporti con le altre religioni erano una questione piuttosto teorica, che si poteva anche lasciare ai teologi e agli specialisti. Oggi invece diventa un’esigenza dettata dall’aumento delle occasioni di incontro e degli spazi comuni. Purtroppo, il diverso fa paura e spesso siamo portati a considerarlo più come una minaccia che come una risorsa. Certo, la delicata situazione internazionale, la paura del terrorismo, il linguaggio spesso approssimativo dei mass media che analizzano questioni prettamente politiche fomentando, ahimè, lo scontro fra religioni non fanno che erigere ulteriori barriere di reciproche incomprensioni. Quando non si conosce l’altro ci si lascia guidare dai luoghi comuni e dalla diffidenza. Solo dopo una reale conoscenza reciproca è possibile abbattere gli stereotipi. È un percorso che parte dalla propria identità, perché per condividersi, senza paura, bisogna sentirsi sicuri delle proprie radici.
È un processo molto faticoso, perché implica un viaggio nelle differenze e soprattutto dentro se stessi; significa, a volte, mettere in discussione le proprie categorie mentali e le proprie idee del mondo.
Non è un cammino semplice. A volte ci sono limiti invalicabili, esperienze che non possono essere condivise totalmente. Per altre invece ci si accorge di quanto simili e intrecciati siano i valori, i percorsi, le storie. Una cosa è certa: è un viaggio da cui si torna sempre più ricchi e con meno pregiudizi.
Il dialogo ecumenico e interreligioso più efficace, però, è quello che deve avvenire innanzitutto fra persone, più che tra religioni, dottrine o sistemi. Il dialogo si fa con le esperienze, attraverso la condivisione di un vissuto.
Mangiare con Dio

Possiamo iniziare questo viaggio parlando di cibo, perché il cibo è da sempre molto più che un semplice nutrimento dei bisogni del corpo, rivestendo importanti significati culturali e sociali rispetto ai quali, in particolare, le religioni hanno da sempre elaborato una moltitudine di simboli, prescrizioni e ritualità per interpretarne proprio la duplice natura – materiale e simbolica. Non a caso “alimentare”, secondo l’etimologia del verbo Alere significa nutrire in “materia e spirito”, quindi anche educare, crescere. Il rapporto con il cibo è nutrimento e gusto, ma anche scoperta di un collegamento tra la terra e l’uomo e tra l’uomo e il cielo.
Infatti in tutte le religioni il cibo non è solo un elemento naturale e materiale ma è considerato un dono di Dio o degli Dei, e l’atto di alimentarsi diventa, per questo motivo, un atto sacro, anche di ringraziamento all’Entità superiore che l’ha donato all’uomo per assicurarne la sopravvivenza.
Ebraismo e Islam sono religioni del fare, dell’ortoprassi. Mangiare con Dio La Torah per gli ebrei, insieme alla Mishnah e Ghemara (la legge orale commentata nella tradizione rabbinica raccolta nel Talmud) che compongono il Talmud, così come il Corano e la Sunna per i musulmani contengono norme e prescrizioni vincolanti che regolano i più diversi aspetti della vita dei fedeli, compresa naturalmente l’alimentazione. Rispettare queste norme è, per il fedele, un vincolo, perché esse traducono la volontà di Dio e sono vie sostanzialmente da percorrere quotidianamente per giungere alla santità (qedushash in ebraico, qadasa in arabo): non si distingue fra sfera religiosa e sfera profana della vita. La presenza divina, la sakina in arabo o la shekinah in ebraico, permea la vita del fedele.Il fedele musulmano fa precedere ogni sua azione e quindi ogni suo pasto con la invocazione bismillah (nel nome di Dio) e hamdulillah (grazie a Dio) alla fine.
Cristo apporta una vera “rivoluzione”. Da ebreo, ha operato una cesura nel millenario rapporto cibo - fede del mondo ebraico. Per Gesù è quello che esce dall’uomo a renderlo impuro, più che quello che entra in lui. Nel Cristianesimo c’è poi il grande mistero della transunstanziazione per cui il pane diventa corpo di Cristo.
Noi Cristiani d’occidente, però, non riusciamo forse più a credere che il rapporto con il cibo sia un luogo di esperienza spirituale. Invece non va dimenticato che Gesù proprio intorno alla mensa ha stabilito le cose più importanti della nostra fede.
Mangiare con Dio Enzo Bianchi, ex Priore del Monastero di Bose, ritiene che mangiare sia un atto di sapienza e che il detto “bisogna mangiare per vivere e non vivere per mangiare” è insipiente nel suo ignorare che l’umanizzazione dell’uomo è passata anche attraverso la tavola e, non a caso, dice Bianchi, le parole che indicano “sapere” e “sapore” hanno la stessa origine: conoscere qualcosa è anche gustarla, farne esperienza con i sensi e quindi con la bocca. L’importanza e la sacralità del cibo, e soprattutto di alimenti fondamentali come il pane, come veicolo di cultura, sono stati anche approfonditi da intellettuali laici come Pedrag Matvejevic, autore croato di Breviario Mediterraneo, morto qualche mese fa, che ha scritto anche “Pane nostro”, una saga, come ebbe a definire lui stesso la sua opera, in cui ha trasformato il pane da alimento umile che ha sfamato per millenni le popolazioni a metafora di incontro fra civiltà diverse.

Lucia