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"Così è nata PeaceLink"

"Eravamo da tempo controllati dai servizi segreti e forse eravamo fuori dal controllo. Un gruppo di pacifisti si era costruito ciò che le forze armate non avevano ancora: una rete telematica". Intervista ad Alessandro Marescotti
23 novembre 2006

Per lui vale la massima di Maometto, ma rovesciata: se lui non va in giro per il mondo, è il mondo a entrare in casa sua. Letteralmente, cioè virtualmente.

La casa di Alessandro Marescotti non è né ricca né povera, il quartiere di Taranto dove abita non è né placido né tumultuoso. Proprio come la sua vita, almeno fino al ‘91, quando l’insegnante di lettere Alessandro Marescotti si imbatte, anzi si scontra con la guerra del Golfo.

È quasi impossibile per un quarantenne di sinistra non avere una storia politica alle spalle, e anche Alessandro ha la sua, ma non gli interessa dichiararla perché, dice, in PeaceLink conta quello che fai, non quello che sei. Figuriamoci quello che sei stato. Per lui, con quella tranquilla determinazione nella voce e nei modi, la decisione, all’indomani dello scoppio della guerra del Golfo, è immediata: non fare lo spettatore. Soldi pochi, ma, in compenso, un movimento che dovunque, dalle grandi alle piccolissime città, si ribella a quell’inutile massacro. Alessandro prende contatti con la Rete di informazione non violenta, che alla fine della guerra lancia l’idea di creare una banca dati per il movimento. Incontra a Taranto un esperto di telematica, Giovanni Pugliese e insieme decidono di realizzare quella banca dati per la pace, in modo artigianale, un computer 286 e qualche indirizzo: "Già allora - dice - andavo in giro con il portatile dentro una valigetta per poter scrivere ovunque mi trovassi".

Ora il portatile la mattina lo usa a scuola e la sera lo tiene in cucina, sulla tavola coperta da una tovaglia con disegnini di oche e orsetti. E da quel portatile, come dal computer centrale installato nella stanza del figlio, Alessandro riceve e invia messaggi, informazioni, lettere, appuntamenti a una bella fetta di mondo. Almeno a quella, sempre più grande, dove scoppia un conflitto, una crisi, una guerra.

Nel 1991 Internet non esisteva nelle case. La telematica era posseduta da pochi centri di potere e accedervi costava un occhio. "Scoprimmo i Bbs, una sorta di posta elettronica gestita dal basso e gratuita. E scoprimmo che la nostra stessa idea di usare il modem per la pace l’aveva avuta uno di Livorno, Marino Marinelli. Così partimmo: noi a Taranto, Marino a Livorno e altri due o tre in giro per l’Italia".

La guerra del Golfo aveva imposto le sue regole: in 50 giorni l’offensiva di Desert Storm vinceva. "E in 50 giorni i mensili pacifisti riuscirono ad arrivare nelle nostre case una sola volta, con i tempi da tartaruga dell’abbonamento postale", ricorda Alessandro.

Le ragioni del pacifismo "telematico" stavano lì, in quella inaccettabile lentezza, e avevano acceso l’entusiasmo del gruppetto che divenne sempre più numeroso: si aggiunsero presto Enrico Marcandalli, Carlo Gubitosa, Vittorio Moccia e altri ancora.

"Abbiamo tentato un’impresa che sembrava impossibile: eliminare il professionismo dall’associazionismo. Infatti in rete non c’era più bisogno di impegnarsi a tempo pieno, spostarsi in aereo o in treno, prendere parte a interminabili assemblee. Bastava collegarsi via modem, si poteva discutere di tutto e in ogni momento, senza che nessuno venisse escluso perché non era presente. Inoltre, finalmente, non era più obbligatorio stare a Roma per coordinare un’iniziativa nazionale. Si poteva vivere in qualsiasi luogo perché si era contemporaneamente in ogni luogo. Taranto come Roma".

Nel 1994 arriva Internet in poche grandi città italiane, ma è costosa e non convince i "pacinformatici". Un ex paracadutista italiano, possessore di un sito a Londra, offre gratuitamente ospitalità a PeaceLink sul proprio sito. Nessuno "a sinistra" aveva fatto lo stesso, e tuttavia "a sinistra" si tessevano le lodi di Internet. Ma fare un sito Internet allora costava almeno 6 milioni. I pacifisti digitali accettano l’offerta dell’ex paracadutista. Giovanni Pugliese, che gestisce le caselle di posta elettronica di PeaceLink, riesce con sole seicentomila lire a creare un "gateway" , cioè una "porta di collegamento" fra la telematica povera dei Bbs e la telematica ricca [e per nulla "gratuita"] di Internet.

La storia di PeaceLink conosce il suo momento più difficile il 3 giugno del 1994 quando il computer centrale viene sequestrato dalla guardia di finanza e Giovanni Pugliese accusato di pirateria informatica.

Ricorda Alessandro: "Eravamo da tempo controllati dai servizi segreti e forse eravamo fuori dal controllo. Un gruppo di pacifisti si era costruito ciò che le forze armate non avevano ancora: una rete telematica. Ci sono voluti sei anni di processo penale. Pochi giorni fa Giovanni è stato assolto con formula piena. Non ci voleva molto a capire che si trattava di una montatura: un pirata guadagna fior di quattrini. Giovanni vive con la famiglia in una piccola casa in affitto, la casa che può permettersi un operaio, il mestiere che fa da tutta una vita".
Il grande salto arriva con il Kosovo. "Così come l’Iraq è stata la prima guerra televisiva, il Kosovo è stata la prima guerra telematica. Col computer potevi sapere davvero quel che stava succedendo là, sotto le bombe. Sono stati mesi intensi, impossibili, durissimi e irripetibili. Pensa che quando tutto finì, mi sono beccato la broncopolmonite".

Forse quella guerra non è finita, forse presto ce ne sarà un’altra. "È però tempo di diffondere la cultura della pace. È tempo di costruirci la nostra storia in positivo e smetterla con il vecchio vizio di fare la storia solo degli eventi negativi. Si sono costruiti interi testi sullo sgomento e sulla paura. Oggi con la telematica possiamo mettere nelle mani della società un enorme potere. Pensa cosa sarebbe potuto succedere se, durante la prima guerra mondiale, l’operaio socialista francese avesse potuto comunicare direttamente con l’operaio socialdemocratico tedesco".

Subito dopo l’estate, PeaceLink ha lanciato un appello: "Chi vuole aiutarci, si faccia avanti". E sono già 120, le nuove reclute del pacifismo via Internet messe al lavoro. Alessandro è convinto che la prossima volta, "perché ci sarà purtroppo una prossima volta", bisogna essere in tanti, organizzati in rete e non farsi cogliere impreparati: "Il primo passo è stato impossessarsi dell’informatica. Il secondo è imparare l’inglese. Non quello scolastico, ma una sorta di microlingua che serva al movimento pacifista. Per appropriarsi di un vocabolario sufficiente bastano tre mesi".

Il sito, già. Ma quanto tempo, quanta attenzione bisogna dedicargli perché sia una cosa viva? Per Alessandro "è come costruire una cosa che non finisce mai. Non mi chiedere quanti ‘contatti’ abbiamo al giorno perché non li ho mai contati; quello che so è che è molto diverso essere indaffarato nella vita reale ed esserlo nella rete. Il tempo stesso ha un peso diverso. Due ore su Internet possono avere un valore enorme. E, allo stesso tempo, c’è il rischio che troppi contatti generino rapporti superficiali. O ti dedichi totalmente ed esci fuori dalla vita reale o divieni più frettoloso e ti scordi a volte i nomi, un po’ come a scuola quando hai sei classi e 150 studenti. Non ti dico quanta gente mi ha mandato gli auguri di Natale. Io spesso non so bene chi sono, non so immaginarne il viso, non so neppure quando riuscirò a rispondere. Vorrei avere 30 ore al giorno al posto di 24. Don Milani diceva: non si può aiutare il mondo, si possono aiutare dieci, quindici persone. Forse aveva ragione".

Note: Questo articolo è apparso circa otto anni fa su Carta, firmato da Evelina Panna con il titolo "PeaceLink il pioniere del web", ma è frutto di un viaggio di Anna Pizzo a Taranto per "cercare la sede di PeaceLink" e di una intervista ad Alessandro Marescotti. Lo inseriamo in occasione dei 15 anni di PeaceLink.
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