Un romanzo antimilitarista dimenticato

La vita scorre normale tra la gente nell’Italia del 1915. L’edicolante, l’avvocato, il prete, lo studente e le loro famiglie sono divisi dalla condizione economica e sociale, ma i sentimenti di tutti i giorni sono simili. Poi un giorno si sparge una voce: scoppierà la guerra! Sembra strano, irreale, forse è non vero, e se fosse vero, forse non sarà così male. Solo gli uomini verranno chiamati. Le mogli, le figlie, le future spose e soprattutto le madri, si sentono già disperate e abbandonate. L’ultima guerra combattuta è un lontano ricordo per la società della fine della Belle Époque, si ha paura, ma non si deve dimostrare, si deve salire sul treno che porta a nord come tutti gli altri, senza troppe storie, rassicurando con un sorriso chi si lascia. Forse sarà breve questa guerra e i nostalgici spingono per battere, una volta per tutte, il nemico di sempre, l’Austria. Sarà al contrario una guerra lunga, assurda e crudele, che annienterà una generazione (tra quelli che moriranno e quelli che pur salvandosi, saranno per sempre segnati nel fisico e nella mente) che sarà chiamata la “generazione perduta”. "Mors tua" è l’ultimo romanzo pubblicato in vita da Matilde Serao, uscito un anno dopo la sua morte, nel 1927. Rimane il dubbio: se quest’opera fosse stata scritta in un’altra lingua, o in un’altra epoca, sarebbe oggi conosciuta con l’etichetta del “capolavoro”. Al contrario è stata dimenticata, prima dal fascismo, e poi da un dopoguerra intento a celebrale l’eroismo partigiano. Il romanzo pacifista e antimilitarista fu osteggiato e ignorato dal regime fascista al suo esordio. La spietata analisi della Serao, un tempo favorevole alla guerra, mette in luce gli effetti fisici e psicologici del conflitto, che non lascia spazio ad alcun lieto fine, e mai avrebbe potuto conciliarsi, in alcun modo, con la propaganda di regime. I personaggi maschili e femminili, i soldati, le madri di questo romanzo, come il resto degli italiani e di coloro coinvolti nella guerra, sono pedine inconsapevoli di un grande gioco assurdo, infinitamente più grande di loro, che non si può fermare se non con la morte stessa, “per conquistare una buca in più.” Tutte le certezze, piccole e grandi, banali o profonde vengono distrutte, gli appigli religiosi su cui aggrapparsi cedono di schianto e franano nella più assoluta insensatezza che porta allo squilibrio collettivo e poi alla pazzia. L’Italia è della parte dei vincitori nella Prima Guerra Mondiale, anche se non sembra così e finirà come le nazioni che hanno perso abbracciando una dittatura.

Massimo Serra